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6. Il Ministero della giustizia, a mezzo dell’Avvocatura generale, ha depositato memoria. Soffermandosi sul disposto di cui all’articolo 616 cod. proc. pen., osserva che la “parte privata” non e’ mai identificabile con lo Stato, che, nell’articolazione del Ministero della giustizia, abbia proposto ricorso per cassazione. Considera che la Cassa delle ammende e’ un ente pubblico istituito presso il medesimo Ministero della giustizia. Rileva che in caso di ricorsi per cassazione in materia di reclami ex articoli 35-bis e 35-ter Ord. pen., proposti dal Ministero della giustizia, deve trovare applicazione la regola generale di cui all’articolo 616 cod. proc. pen., con conseguente esenzione della parte pubblica dal pagamento di spese e somme a favore della cassa delle ammende.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Occorre in primo luogo censire il contenuto del ricorso proposto dal Ministero della giustizia avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Firenze. Come rilevato dalla Sezione rimettente, infatti, la questione di diritto sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite, che involge il regime delle spese processuali ex articolo 616 cod. proc. pen., presuppone lo scrutinio dei motivi di doglianza ai quali il presente ricorso e’ affidato.
2. Va innanzi tutto esaminata, d’ufficio, la questione attinente all’ammissibilita’ del reclamo proposto dall’Amministrazione nella fase di merito del procedimento che occupa.
Il Magistrato di sorveglianza di Pisa, in accoglimento parziale dell’istanza presentata dal detenuto (OMISSIS), ha disposto a titolo di risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 35-ter Ord. pen. una riduzione di ottantasei giorni di pena detentiva ancora da espiare e il pagamento della somma di Euro 16,00 per compensazione monetaria.
Il Tribunale di sorveglianza di Firenze, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha respinto il reclamo che era stato proposto dall’Amministrazione penitenziaria. Detto reclamo risulta sottoscritto dal dirigente del servizio legale regionale dell’Amministrazione penitenziaria, senza l’assistenza dell’Avvocatura generale.
Viene, pertanto, in rilievo il tema relativo alla possibilita’ o meno per l’Amministrazione penitenziaria di esercitare la facolta’ di impugnazione prevista dall’articolo 35-bis Ord. pen., comma 4, senza l’assistenza dell’Avvocatura generale dello Stato, giacche’ l’eventuale inammissibilita’ del reclamo, se pure non rilevata dal Tribunale di sorveglianza di Firenze, dovrebbe essere dichiarata dalla Corte di cassazione (Sez. 2, n. 40816 del 10/07/2014, Gualtieri, Rv. 260359).
In merito, la giurisprudenza di legittimita’ ha affermato che l’atto di impugnazione proposto dall’Amministrazione penitenziaria avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza, ai sensi dell’articolo 35-bis Ord. pen., comma 4, e’ inammissibile in mancanza del patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato (Sez. 1, n. 11248 del 17/11/2016, dep. 2017, Arfaoui, Rv. 269377; Sez. 1, n. 11249 del 17/11/2016, dep. 2017, Condello, Rv. 269513).
2.1. L’assunto non puo’ essere condiviso per le ragioni che si vengono ad esporre.
Come noto, le disposizioni contenute negli articoli 35-bis e 35-ter Ord. pen. traggono origine dalla sentenza della Corte EDU 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia, ove si e’ rilevato che il sovraffollamento carcerario in Italia ha un “carattere strutturale e sistemico”. Nel caso, la Corte ha accertato la violazione dell’articolo 3 CEDU, per le condizioni disumane e degradanti nelle quali erano stati ristretti in carcere i ricorrenti; ed ha rilevato l’inadeguatezza delle misure esistenti nell’ordinamento italiano per far fronte alle predette condizioni.
Per dare attuazione alla citata sentenza Torreggiani, con il Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2014, n. 10, e’ stato quindi introdotto l’articolo 35-bis Ord. pen., rientrante tra le disposizioni finalizzate alla eliminazione preventiva del pregiudizio costituito dalla detenzione in violazione dell’articolo 3 CEDU. Nel medesimo ambito funzionale, se pure sul piano delle misure compensative, volte a riparare il pregiudizio derivante dalle condizioni di detenzione disumane e degradanti, il Decreto Legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 117, ha introdotto l’articolo 35-ter Ord. pen..
Come rilevato dalla Corte costituzionale (sent. n. 204 del 2016), l’articolo 35-ter Ord. pen. costituisce la risposta del legislatore nazionale alla sollecitazione proveniente dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, Torreggiani c. Italia e, successivamente, dalla pronuncia della medesima Corte costituzionale (sent. n. 279 del 2013), affinche’ fosse garantita una riparazione effettiva delle violazioni della CEDU, derivate dal sovraffollamento carcerario in Italia.
2.2. Occorre sinteticamente richiamare la disciplina dettata dall’articolo 35-ter Ord. pen..
Il comma 1 indica i presupposti dei rimedi risarcitori e disciplina la riparazione in forma specifica ottenibile dal danneggiato che si trovi detenuto. Quando la detenzione in condizioni disumane e degradanti si sia protratta per almeno quindici giorni, il detenuto puo’ ottenere una riduzione della pena detentiva ancora da espiare, in misura pari a un giorno ogni dieci di detenzione pregiudizievole.
Il comma 2 disciplina il ristoro economico in due ipotesi: quella del detenuto che abbia subito il pregiudizio derivante dalla violazione dell’articolo 3 CEDU per almeno quindici giorni e debba tuttavia espiare un periodo di pena che non consente la riduzione nella misura percentuale sopra indicata; e quella del detenuto che abbia subito una detenzione pregiudizievole per meno di quindici giorni. In entrambe queste ipotesi, il detenuto ha diritto a una somma di denaro, a titolo di risarcimento del danno, pari a 8 Euro per ogni giorno di detenzione pregiudizievole; nella prima di esse, tuttavia, il ristoro riguarda solo il periodo residuo non riparabile in forma specifica.
Le ipotesi ora richiamate si applicano quando il danneggiato che propone l’azione si trova detenuto. La legittimazione spetta a lui personalmente o al difensore munito di procura speciale. Competente a provvedere e’ il magistrato di sorveglianza.
Il comma 3 disciplina l’ipotesi in cui il danneggiato abbia subito il pregiudizio in stato di custodia cautelare non computabile nella determinazione della pena da espiare ovvero abbia terminato di espiare la pena. In tali casi, l’azione di riparazione in forma specifica non e’ proponibile, mentre l’azione volta al risarcimento del danno per equivalente – da liquidare nella stessa misura prevista al comma 2 – deve essere proposta, personalmente o tramite il difensore munito di procura speciale, davanti al tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio l’attore ha la residenza, entro il termine di sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia in carcere. Il tribunale decide in composizione monocratica nelle forme dei procedimenti in camera di consiglio (ex articoli 737 cod. proc. civ. e segg.), con decreto non soggetto a reclamo.
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