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3.2.2. Con il secondo motivo, la difesa di G. e C. censura, ex art. 606, comma 1, lett. B) ed E), cod. proc. pen., l’erronea applicazione del delitto di cui all’art. 348 cod. pen. nonche’ la mancanza della motivazione in relazione all’affermazione di responsabilita’ delle due imputate. In particolare, non sarebbe stata dimostrata l’esistenza degli elementi qualificanti della professionalita’ dell’attivita’ svolta, atteso il carattere meramente volontario e senza retribuzione della stessa.
3.2.3. Con il terzo motivo, le ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. B) ed E), cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e in particolare degli artt. 74 cod. proc. pen. e 185 cod. pen. nonche’ la manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta legittimazione alla costituzione di parte civile della Lega nazionale per la difesa del cane. La Corte territoriale avrebbe omesso qualunque riferimento alla concreta attivita’ svolta nel territorio cremonese dalla suddetta associazione, in violazione dei principi affermati, in proposito, dalle Sezioni unite di questa Corte. Ne’ potrebbe condividersi il riferimento, contenuto nella sentenza di primo grado, alla richiesta di gestire il Rifugio del cane di Cremona da parte della stessa associazione, trattandosi di istanza formulata a distanza di quasi tre anni dai fatti per cui e’ processo.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono manifestamente infondati.
2. Preliminarmente, e’ necessario affrontare la questione della legittimazione alla costituzione di parte civile della Lega nazionale per la difesa del cane, dedotta dalla difesa di N.C. con il primo motivo di impugnazione e, dalla difesa delle altre due imputate, con l’ultimo motivo di ricorso.
2.1. In argomento, va ricordato che l’art. 3 della legge 20 luglio 2004, n. 189, ha introdotto, nel corpo delle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale, gli artt. 19-ter e 19-quater. Quest’ultima disposizione, rubricata ‘affidamento degli animali sequestrati o confiscati’, stabilisce che ‘gli animali oggetto di provvedimenti di sequestro o di confisca sono affidati ad associazioni o enti che ne facciano richiesta individuati con decreto del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro dell’interno’. Inoltre, a mente dell’art. 7 della stesse legge, rubricato ‘diritti e facolta’ degli enti e delle associazioni’, ‘ai sensi dell’articolo 91 del codice di procedura penale, le associazioni e gli enti di cui all’articolo 19-quater delle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale perseguono finalita’ di tutela degli interessi lesi dai reati previsti dalla presente legge’. E in attuazione dell’art. 19-quater, disp. att. cod. pen., il Ministero della Salute ha emanato il D.M. 2 novembre 2006, pubblicato nella Gazz. Uff. n. 19 del 24/01/2007.
Ora, secondo quanto in passato affermato da questa Corte, il combinato disposto delle due norme non conferisce alle associazioni ed enti individuati con il citato decreto ministeriale, alcun diritto di costituirsi, in esclusiva, quale parte civile nei processi penali relativi ai reati commessi ai danni di animali.
Infatti, l’art. 7 della legge n. 189 del 2004 riconosce automaticamente, in favore di tali associazioni ed enti (individuate al solo fine di ottenere l’affidamento e la custodia degli animali), l’esistenza della finalita’ di tutela degli interessi lesi dai reati previsti dalla stessa legge, ma non esclude in alcun modo che tale finalita’ possa essere perseguita anche da associazioni diverse da quelle cosi’ individuate, le quali deducano di aver subito un danno diretto dal reato. Cio’ anche, e soprattutto, ove si consideri che persona danneggiata (legittimata a costituirsi parte civile) e persona offesa (legittimata a esercitare anche le facolta’ espressamente previste dal titolo VI del libro primo – parte prima dei codice di rito) non sono normativamente sovrapponibili e che mentre l’art. 91, cod. proc. pen., attribuisce agli enti e alle associazioni ivi indicati, i diritti e le facolta’ attribuiti alla persona offesa dal reato, l’art. 74, cod. proc. pen. riconosce a chiunque assuma di avere subito un danno in conseguenza del reato, la legittimazione all’azione civile nel processo penale.
Ne consegue che e’ pienamente ammissibile la costituzione di parte civile di un’associazione, anche non riconosciuta, che avanzi, iure proprio, la pretesa risarcitoria, assumendo di aver subito, per effetto del reato, un danno, patrimoniale o non, consistente nell’offesa all’interesse perseguito dal sodalizio e posto nello statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza ed azione, con la conseguenza che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione di un diritto soggettivo inerente alla personalita’ o all’identita’ dell’ente (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014, Espenhahn, Rv. 261110). Cio’ sul presupposto che determinati organismi abbiano ‘fatto di un determinato interesse’ collettivo ‘l’oggetto principale della propria esistenza’, tanto che esso sia ‘diventato elemento interno e costitutivo del sodalizio e come tale ha assunto una consistenza di diritto di soggettivo’. Nondimeno, perche’ questo accada e’ necessario, secondo la giurisprudenza di questa Corte, fare riferimento ad una situazione storica determinata, al ruolo concretamente svolto dall’organismo che si costituisce nel giudizio e alla sua capacita’ di rappresentare, in un contesto ben determinato, gli interessi per la cui tutela si intende esercitare, nel processo penale, l’azione civile.
Osserva, sul punto, il Collegio come non possa dubitarsi che un’associazione, la quale, come nel caso di specie, sia statutariamente deputata alla protezione di una determinata categoria di animali (cani), debba riconoscersi come tendenzialmente portatrice degli interessi penalmente tutelati, tra gli altri, dai reati di cui agli artt. 544-bis, 544-ter, 544-quater, 544-quinquies e 727 cod. pen. (cosi’ Sez. 3, n. 34095 del 12/05/2006, dep. 12/10/2006, P.O. in proc. Cortinovis ed altro, in motivazione). In una siffatta ipotesi, infatti, l’ente, per l’attivita’ concretamente svolta e, appunto, per la sua finalita’ statutaria primaria, coincidente con la tutela dei cani, ovvero degli interessi lesi dai reati contestati, si fa portatore, secondo il ricordato meccanismo di immedesimazione, di una posizione di diritto soggettivo che lo legittima a chiedere il risarcimento dei danni derivati dalle violazioni della legge penale. Nondimeno, onde evitare forme di abnorme dilatazione nella legittimazione alla tutela civilistica, e’ necessario che vi sia anche una forma di collegamento territoriale tra l’associazione e il luogo in cui l’interesse e’ stato inciso.
Muovendosi lungo il crinale interpretativo teste’ riassunto, le ricorrenti hanno dedotto, per un verso, che l’associazione in questione, pur avendo un ‘aggancio’ territoriale nella provincia di Cremona, non fosse in realta’ operativa nella struttura del canile (N. ) e, per altro verso, che la richiesta di gestire il Rifugio del cane di Cremona da parte dell’associazione de qua, ricordata nella sentenza di primo grado per giustificare il riconoscimento della legittimazione a costituirsi parte civile, non sarebbe pertinente, trattandosi di un’istanza formulata a distanza di quasi tre anni dai fatti per cui e’ processo.
E, tuttavia, osserva il Collegio che la Corte di appello ha precisato, facendo riferimento ad un elemento di fatto non sindacabile in questa sede, come la Lega Nazionale per la difesa del Cane avesse una precisa articolazione territoriale nella provincia di Cremona, nella quale si trovava il canile ove operavano le tre imputate, con cio’ venendo soddisfatto il menzionato requisito elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte, non essendo, invece, richiesto un radicamento dell’associazione nello specifico contesto operativo in cui la lesione sia maturata, pena una inammissibile neutralizzazione delle istanze di tutela, attesa l’impossibilita’ che enti esponenziali di un interesse collettivo o diffuso possano avere una capillare articolazione in qualunque realta’ ove possano determinarsi situazioni di danno all’interesse rappresentato.
Ne consegue, pertanto, la manifesta infondatezza delle relative doglianze.
3. Per quanto, ancora, concerne la concreta configurabilita’ del delitto di cui all’art. 544-bis cod. pen. (oggetto del terzo motivo del ricorso della N. e del primo dei ricorsi delle altre due imputate), le censure concernono, sotto un primo profilo, la mancata dimostrazione che l’uccisione degli animali avesse avuto luogo con ‘crudelta’’ ovvero in ‘assenza di necessita’’.
Tuttavia, osserva il Collegio che, in realta’, la Corte territoriale ha ricordato le puntuali testimonianze di Ce.En. e D.G. , i quali avevano riferito di avere visto N.C. sopprimere numerosi esemplari di cani senza alcuna necessita’, in assenza di visita o di certificazione veterinaria che ne giustificasse l’abbattimento e, nel caso della sola Ce. , di avere visto la G. eliminare dei cuccioli e la C. portare dei cani dietro un container constatando, subito dopo, che le loro carcasse erano state racchiuse in sacchi custoditi in una cella frigorifera; di M.G. , che aveva visto la N. e la G. eseguire infezioni ai danni di animali che il giorno dopo, con significativa puntualita’, venivano rinvenuti morti. Testimonianze, quelle appena riassunte, che sono state complessivamente riscontrate alla luce delle dichiarazioni, sottoposte ad attento vaglio, dei testi Ca.Ma.Gr. , B.L. e Bo.Da. ; ma soprattutto, come ammesso dalla stessa difesa di G. e C. , alla stregua di una serie di elementi indiziari in grado di far emergere l’avvenuta soppressione ‘senza necessita’’ di decine e decine di animali: dalla indicazione, sui cartellini identificativi degli animali soppressi a seguito di ‘eutanasia ufficiale’, di cause non riconducibili tra le legittime ipotesi di soppressione per ragioni veterinarie, all’assenza di patologie fisiche negli animali soppressi, fino al mancato rispetto degli obblighi certificativi. Senza contare, poi, che i documenti di trasporto delle carcasse di animali avviati allo smaltimento riportavano un peso complessivo di gran lunga superiore al numero degli animali morti emergente dai registri ufficiali e che, presso il canile, erano state rinvenute dosi di farmaci letali in quantita’ abnormi rispetto alle esigenze della struttura.
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