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Ad ulteriore conferma di quanto sopra, ai fini della configurabilita’ del reato, peraltro, deve essere evidenziato come la stessa Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 140 pubblicata in data 15 novembre 2017 (nelle more della stesura del presente provvedimento la cui rilevanza dunque ha solo valenza interpretativa), nel prendere posizione sulla legittimita’ del pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta a seguito del c.d. “accollo fiscale”, ha fornito una risposta negativa. L’operazione in questione, osserva l’Ufficio, deve infatti essere ritenuta elusiva (e, nel caso di specie, precisa il Collegio, ha rilevanza penale, essendo stato commesso attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale) non solo della disciplina sulla compensazione, ma anche di quella relativa alla cessione dei crediti d’imposta. L’Agenzia delle Entrate richiama innanzitutto la L. n. 212 del 2000, articolo 8, comma 2, secondo cui e’ ammesso l’accollo del debito d’imposta, senza liberazione del contribuente originario. Tuttavia, nel momento in cui l’accollante paga mediante compensazione con un proprio credito, entra in gioco la compensazione, disciplinata dalla normativa tributaria di riferimento (in primis dal Decreto Legislativo n. 241 del 1997, articolo 17), che, allo stato attuale, non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti.
Come rammentato piu’ volte dalla giurisprudenza, peraltro, l’estinzione del debito mediante compensazione puo’ avvenire, nel settore tributario, solo ove la legge lo ammetta espressamente. Si e’ infatti affermato che, in materia tributaria, la compensazione e’ ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, riscossione e rimborso ed ogni deduzione sono regolate da specifiche e inderogabili norme di legge. Tale principio non puo’ considerarsi superato per effetto della L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 8, comma 1, (cd. statuto dei diritti del contribuente), il quale, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall’anno di imposta 2002 (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17001 del 09/07/2013, Rv. 627180 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 10207 del 18/05/2016. Rv. 639988 – 01).
Dunque, non essendo tale modalita’ consentita dalla legge, l’operazione e’ illecita e, nei casi come quello qui esaminato, assume anche rilevanza penale.
8. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:
“Integra il delitto di indebita compensazione di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10 quater, il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta a seguito del c.d. accollo fiscale ove commesso attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale, in quanto il Decreto Legislativo n. 241 del 1997, articolo 17, non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti”.
9. Orbene, proprio analizzando i modelli F24, il c.t. del PM, ricorda il tribunale del riesame, evidenzia come nella sezione “contribuente” vengono riportati sia i dati identificativi del soggetto debitore d’imposta, sia i dati del soggetto coobbligato, ossia del soggetto che effettua il pagamento delle imposte, mediante compensazione, in veste di coobbligato, figura, quest’ultima, prevista dal modello F24 che prevede anche l’utilizzo di un codice che identifichi l’operazione (in particolare, il cod. 62 si riferisce a “soggetto diverso dal fruitore del credito”, ossia quando il debito tributario venga pagato da un soggetto diverso dall’effettivo debitore, come nel caso dell’accollo); e’ dunque evidente come nello stesso modello F24 e’ espressamente indicato un soggetto coobbligato, che riveste necessariamente la posizione di debitore, anche se, in via derivata, tanto da operare la compensazione con i propri crediti.
10. Quanto, infine, al profilo afferente al profitto del reato il tribunale ritiene condivisibile l’impostazione del PM; si osserva, in particolare, che se nei reati tributari il profitto del reato si identifica nel c.d. risparmio di spesa, nel caso in esame esso coincide con il totale dell’importo portato a compensazione, ossia con il 100% del debito, proprio perche’ il credito e’ inesistente; con la compensazione, cioe’, l’agente ottiene un beneficio, il risparmio totale di spesa, utilizzando crediti inesistenti; tale 100% indebitamente risparmiato viene ripartito tra accollante e accollato con una regolamentazione tra privati antecedente rispetto alla materiale compensazione; essa infatti, precisa il tribunale, costituisce il comportamento tipico che fa conseguire il risparmio del 100%, che viene ripartito anticipatamente, nella misura del 30% all’accollato, pari al risparmio ottenuto con l’accollo, e nella misura del 70 all’accollante, con il pagamento ottenuto dall’accollato.
Orbene, che di tale meccanismo e, dunque, del danno cagionato all’erario, debba rispondere anche il ricorrente, deriva dall’impostazione sopra data alla partecipazione della stessa alla commissione del reato, quale autore diretto in quanto il soggetto agente e’ soggetto che assomma in se’ la figura di debitore coobbligato e creditore, a prescindere dal rapporto di debito originario tra debitore ed Erario. Se, cioe’, il debitore ritorna a essere per l’Erario; l’unico referente per il debito tributario originario (non essendo l’accollo liberatorio), l’autore dell’indebita compensazione, e, dunque, l’autore del reato, dovra’ comunque rispondere verso l’Erario per le conseguenze economiche derivanti dal fatto-reato da lui commesso, per un quantum determinato in base al debito totale indebitamente compensato. L’Erario, dunque, potrebbe essere legittimato nel processo di merito a costituirsi parte civile nei confronti degli autori del reato, soggetti diversi dall’originario debitore, rispetto al quale la pretesa resta ancorata al titolo originario, in quanto responsabili di una condotta fraudolenta penalmente rilevante che ha comportato l’indebito azzeramento della propria pretesa verso il debitore originario, estraneo alla condotta fraudolenta medesima. Sarebbe del tutto illogico, del resto, ipotizzare che sia proprio l’autore della condotta fraudolenta, cui il debitore e’ estraneo, a beneficiare della permanenza del debito in capo al debitore accollato, quando, invece, e’ proprio la condotta fraudolenta da lui posta in essere ad avere cagionato un danno all’Erario.
11. Alla stregua di quanto sopra, pertanto, deve anzitutto respingersi il motivo di ricorso che ruota attorno alla presunta mancanza del dolo in capo all’ (OMISSIS), essendo emerso indubbiamente dagli atti il contributo causale arrecato dal medesimo, quale consulente fiscale delle societa’ riconducibili alla (OMISSIS), e quale domiciliatario di varie societa’ beneficiarie dell’indebita compensazione, alla realizzazione del fatto illecito posto in essere dal cliente-contribuente; non puo’ dubitarsi, infatti, della sua partecipazione attiva e consapevole alla condotta illecita, protrattasi per un arco temporale di diversi anni e, perdipiu’, attraverso meccanismi fraudolenti di indebita compensazione di crediti inesistenti effettuata mediante la trasmissione telematica di modelli F24 accollandosi il debito tributario riferibile a terzi, in cio” consentendo l’apparente regolarizzazione della propria posizione fiscale, utilizzando crediti fittizi.
Del resto, non puo’ dubitarsi circa la responsabilita’ concorsuale del professionista in consimili ipotesi. Deve, infatti, ritenersi responsabile in concorso il consulente fiscale, per la violazione commessa dal cliente (come nel caso di specie, di indebite compensazioni: v., in termini, Sez. 3, sentenza n. 24166 del 2011, ud. 5/05/2011 – dep. 16/06/2011, ric. Cascino, non massimata), quando sia l’ispiratore della frode, ed anche se per avventura solo il cliente abbia beneficiato della frode. Pertanto, la responsabilita’ penale del commercialista a titolo di concorso di persone nel reato sussiste solo in caso di dolo. La condotta dolosa da parte del consulente, consiste infatti nell’essere consapevole e cosciente del fatto che sta ponendo in essere una frode fiscale.
Nella fattispecie sottoposta a questa Corte, il tribunale aveva rilevato che il professionista, anche in proprio, si era avvalso del medesimo sistema di indebita compensazione utilizzato per le societa’ e l’aveva poi utilizzato per i clienti. Non si era comportato da consulente fiscale che, nell’ambito della propria attivita’, fornisce suggerimenti alle societa’ assistite ma, partecipando in pieno alle operazioni illecite, invece, ne aveva assunto il ruolo di regista e aveva ideato lo schema dell’indebita compensazione, tramite F24, di crediti inesistenti, con la finalita’ di omettere i versamenti Iva dovuti. Ne’ questi risulta essere riuscito a fornire prova della sua estraneita’ ai fatti contestati, anche perche’ sarebbe stato piuttosto difficile per il medesimo dimostrare un suo ruolo non attivo nella vicenda, sia perche’ curando la contabilita’ di certo era conoscenza dei crediti dal momento della formazione fino al loro utilizzo, sia perche’ la compilazione “tecnica” e la trasmissione del modello F24 erano adempimenti eseguiti dal consulente. Inoltre, la sua condotta e’ sanzio-nabile, nonostante la fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 quater, preveda un reato proprio che, in ambito societario, viene generalmente e principalmente commesso dagli amministratori (giacche’ su di loro gravano gli oneri di natura tributaria), cio’ per il particolare meccanismo descritto in precedenza.
12. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:
“In tema di reati tributari, e’ responsabile a titolo di concorso il consulente fiscale per la violazione tributaria commessa dal cliente (nella specie, per il delitto di indebita compensazione), quando il primo sia l’ispiratore della frode, ed anche se solo il cliente abbia beneficiato della operazione fiscalmente illecita”.
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