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Del pari infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, il quale lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 115 c.p.c., in relazione alla nullita’ dell’espletata CTU.
Si deduce che erroneamente e’ stato rigettato il terzo motivo di appello con il quale si denunziava la invalidita’ della CTU perche’ l’ausiliare non aveva esaminato il testamento in originale.
A tal riguardo la Corte distrettuale ha invece evidenziato che il consulente d’ufficio aveva esaminato l’originale presso lo studio del notaio che ne aveva curato la pubblicazione, ma a detta dei ricorrenti tale affermazione non risulterebbe idonea a consentire il separamento delle doglianze mosse con l’atto di appello.
A tal fine si richiama la giurisprudenza di questa Corte che ritiene necessario che la CTU grafologica debba necessariamente compiersi sull’originale, laddove nel caso di specie non risultava agli atti proprio l’originale della scheda testamentaria.
Il motivo e’ evidentemente destituito di fondamento.
La censura si fonda sull’erroneo presupposto secondo cui lo svolgimento delle operazioni grafologiche sull’originale presupponga che il testamento in originale sia a sua volta stato prodotto in originale, non essendo a tal fine sufficiente che il perito d’ufficio abbia potuto compiere le proprie indagini mediante il riscontro diretto dell’originale stesso.
A tal fine appare confacente il richiamo a quanto di recente affermato da questa Corte (Cass. n. 14755/2016), la quale nel fare riferimento alla precedente giurisprudenza in materia, ha rigettato un analogo motivo di ricorso, con il quale si contestava che la perizia d’ufficio non era stata effettuata sull’originale del testamento.
Nel ribadire il principio per il quale (cfr. Cass. n. 1831/00) il giudizio di verificazione deve necessariamente svolgersi con un esame grafico espletato sull’originale del documento (conf. Cass. n. 6022/07), poiche’, e proprio in relazione all’accertamento dell’autenticita’ del testamento (cfr. Cass. n. 1903/09), soltanto sull’originale possono rinvenirsi quegli elementi la cui peculiarita’ consente di risalire, con elevato grado di probabilita’, al reale autore della sottoscrizione, ha osservato che non e’ necessario che tutte le operazioni debbano sempre svolgersi sugli originali, essendo sufficiente che a monte l’ausiliare abbia verificato sull’originale i dati che reputi necessari, ben potendo il prosieguo delle operazioni svolgersi su eventuali copie o scansioni.
Ne consegue che ai fini della validita’ della CTU e’ sufficiente che il perito abbia potuto avere diretta visione dell’originale, riscontrando quei dati essenziali per l’accertamento dell’autenticita’ della grafia (come ad esempio l’incidenza pressoria sul foglio della penna), che le copie di norma non consentono, e cio’ a prescindere dal fatto che l’originale sia stato prodotto da una delle parti, soprattutto laddove l’originale si trovi presso un pubblico depositario che garantisce appunto, anche in funzione del ruolo ricoperto, la genuinita’ dell’atto conservato.
Il ricorso principale deve essere rigettato.
Il primo motivo di ricorso incidentale denunzia la violazione dell’articolo 132 c.p.c., con il difetto di motivazione e con la conseguente nullita’ del procedimento e della sentenza.
Si rileva che in relazione all’appello si era dedotta l’inammissibilita’ dello stesso per la violazione delle prescrizioni di cui all’articolo 342 c.p.c., ma che la Corte d’Appello non ha motivato in alcun modo in merito al mancato accoglimento di tale eccezione.
Orbene, considerato che viene dedotta la nullita’ della decisione per l’omessa motivazione in merito all’eccezione de qua, deve farsi riferimento all’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte che a seguito della riforma del 2012 ha ritenuto che l’obbligo di motivazione sia ridotto al cd. minimo costituzionale (Cass. SS.UU. nn. 803 ed 8054 del 2014), cosi’ che la disamina e l’accoglimento del primo motivo dell’appello principale equivalgono ad un, quanto meno, implicito rigetto dell’eccezione di inammissibilita’ de qua, avendo quindi ritenuto, anche con la precisa indicazione delle circostanze addotte dagli appellanti al fine di individuare una diversa data di decorrenza degli interessi, che il motivo contenesse una specifica indicazione delle ragioni idonee a confutare la correttezza della soluzione del Tribunale in parte qua.
Il motivo deve quindi essere rigettato.
Il secondo motivo del ricorso incidentale denunzia invece la violazione falsa applicazione degli articoli 1189 e 2033 c.c., e articolo 1224 c.c., comma 2, nonche’ motivazione carente ed illogica ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
La censura investe la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui ha individuato la diversa decorrenza degli interessi legali sulle somme da restituire da parte dei ricorrenti principali, non piu’ in quella del ritiro delle somme, bensi’ in quella della notifica dell’atto introduttivo del giudizio, essendosi altresi’ escluso che potesse essere attribuito il riconoscimento del maggior danno, determinato dal Tribunale in misura pari alla rivalutazione monetaria, in quanto la presunzione di buona fede, non vinta da parte degli attori, escludeva altresi’ che fosse richiedibile il danno di cui all’articolo 1224 c.c., comma 2, che parimenti richiede l’elemento soggettivo della responsabilita’.
Il motivo e’ innanzi tutto inammissibile nella parte in cui lamenta la carenza o illogicita’ della motivazione, facendo evidentemente riferimento alla non piu’ applicabile formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mentre risulta del pari inammissibile laddove denunzia l’omessa disamina del fatto decisivo, omettendo pero’ di indicare qual specifico fatto sia stato trascurato da parte del giudice di appello.
Passando quindi alla violazione dell’articolo 2033 c.c., la censura che investe il mancato rilievo della mala fede degli accipientes si risolve in una contestazione evidentemente di merito, investendo un apprezzamento dei fatti riservato esclusivamente al giudice di merito (e cio’ anche a tacere del fatto che, attesa la mancata affermazione anche in sede penale della riconducibilita’ della falsificazione del testamento ai (OMISSIS), si pretende nel motivo di poter evincere la prova della loro mala fede o dal solo fatto di avere riscosso le somme condotta alla quale i convenuti erano in apparenza legittimati atteso il tenore del testamento poi rivelatosi falso, occorrendo quindi provare la loro consapevolezza della falsita’ – ovvero da comportamenti successivi alla notifica dell’atto di citazione, posti in essere quindi in epoca successiva al momento a decorrere dal quale e’ stata riconosciuta la debenza degli interessi sulle somme da restituire).

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