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3.3.1 Sotto il primo profilo deve rilevarsi innanzi tutto che trattasi di delitto di pura condotta, atteso che il procacciamento indebito delle immagini e delle notizie non e’ l’evento naturalistico del reato, bensi’ e per l’appunto l’intrinseco contenuto della condotta punita e non gia’ un risultato autonomo e distinto da essa, fermo restando che l’utilizzo degli strumenti visivi o sonori e’, come gia’ ricordato, solo il mezzo che ne connota i limiti di tipicita’. Cio’ non toglie che proprio l’imprescindibilita’ del ricorso ai suddetti strumenti riveli come, per l’appunto tendenzialmente, la condotta si frazioni in una pluralita’ di atti funzionali a garantire l’indiscrezione tecnologica. Ne consegue che, almeno quando in concreto cio’ avvenga, sia configurabile il tentativo, integrato dal compimento di atti idonei ed univocamente diretti a procurarsi le immagini e le notizie descritte dalla norma incriminatrice.
3.3.2 Con riguardo all’altro aspetto menzionato, deve rilevarsi come la consumazione della condotta tipica determini la effettiva lesione del bene giuridico tutelato e non lo esponga soltanto a pericolo, posto che la riservatezza domiciliare e’ inevitabilmente compromessa proprio dalla indebita percezione, con le modalita’ stabilite, degli atti di manifestazione della vita privata compiuti nei luoghi predefiniti dalla norma incriminatrice.
4. Cio’ precisato, deve rilevarsi che nel caso di specie risulta che l’imputato abbia introdotto nel bagno riservato al personale femminile di un ufficio una microtelecamera, la quale ha funzionato per circa due ore prima di andare in avaria, registrando soltanto l’immagine dell’ambiente in cui era stata collocata, atteso che alcuna delle utenti legittimate a servirsene aveva fatto ingresso nel locale nell’arco di tempo indicato. Sul punto invero il ricorso ha formalmente eccepito anche che la telecamera non avrebbe funzionato per nulla, evocando in tal senso la questione del reato impossibile ed un difetto di motivazione in proposito da parte del giudice dell’appello. Rilievo che e’ in realta’ manifestamente infondato ed anche generico, posto che nello svilupparlo il ricorrente ha fatto riferimento alle medesime risultanze dell’istruttoria dibattimentale sostanzialmente la testimonianza dell’operante che ha esaminato il contenuto della registrazione – evocate dalla sentenza, non contestando effettivamente la ricostruzione del loro contenuto da parte dei giudici dell’appello nel senso sopra descritto, dovendosi dunque ritenere che in tal modo la sentenza abbia invece confutato l’eccezione ex articolo 49 c.p.. Lo stesso ricorrente ha pero’ posto, come gia’ ricordato, anche la questione della mancata registrazione di immagini relative allo svolgimento di atti della vita privata da parte delle potenziali persone offese del reato contestato. Questione che per l’appunto la sentenza ha sostanzialmente aggirato qualificando come reato di pericolo quello configurato dall’articolo 615-bis c.p.: soluzione questa che per le ragioni illustrate in precedenza deve ritenersi errata e che in pratica si traduce nell’omessa verifica della sussistenza dei presupposti fattuali che connotano la tipicita’ della condotta, invece contestata con il ricorso.
4.1 Non e’ in dubbio che il bagno di un ufficio possa essere annoverato tra i luoghi di privata dimora evocati dal citato articolo 615-bis, atteso che al suo interno le persone vi svolgono attivita’ della vita privata. E’ quindi indiscutibile che la indebita registrazione di immagini mentre una persona se ne serve integri il reato di cui si tratta (Sez. 3, n. 27847 del 30 aprile 2015, R., Rv. 264196).
4.2 Deve peraltro considerarsi come l’uso esclusivo da parte del singolo di un siffatto locale sia temporaneo e saltuario, mentre il diritto a servirsene, seppure stabile, sia condiviso con altre persone. Circostanze queste che devono essere considerate nell’ipotesi in cui l’intrusione tecnologica non abbia consentito di procurare immagini dirette dei titolari del diritto alla riservatezza, ma soltanto, come nel caso di specie, soltanto del luogo in cui questo e’ stato esercitato. Secondo l’insegnamento di questa Corte, infatti, il reato di cui all’articolo 615-bis c.p. sussiste anche nell’ipotesi in cui le riprese vengono effettuate in assenza del soggetto la cui riservatezza domiciliare viene violata, ma a condizione che il luogo ove avviene la captazione sia per l’appunto rimasto connotato dalla sua personalita’, sia cioe’ in grado di restituire una effettiva e concreta testimonianza della vita privata del medesimo, atteso che oggetto di punizione ai sensi della disposizione citata non e’ la mera intrusione nel domicilio altrui (cfr. in motivazione Sez. Un., n. 26795 del 28 marzo 2006, Prisco e Sez. 5, n. 46509 del 27 novembre 2008, Quilici e altri).
4.3 Non e’ pertanto “immagine” rilevante ai sensi dell’articolo 615-bis c.p. quella che rappresenti un luogo in cui terzi abbiano svolto atti della vita privata senza lasciare alcuna traccia visibile della loro presenza, senza, cioe’, che dal luogo traspaiono informazioni relative alla loro vita privata. Ed in tal senso la sentenza Quilici citata, che ha per l’appunto affermato il principio per cui integra gli estremi del reato anche la sola ripresa di immagini di un domicilio privato in assenza del suo titolare, aveva ad oggetto il caso di fotografie ritraenti numerosi effetti personali appartenenti alla persona offesa, che consentirono agli autori degli scatti (dei giornalisti) di esprimere giudizi sull’ordine dell’abitazione e sulle abitudini di vita dei suoi occupanti (cfr. ancora Sez. 5, n. 46509 del 27 novembre 2008, Quilici e altri).
4.4 E’ allora evidente che, con riferimento al caso di specie, la Corte territoriale ha per l’appunto omesso di motivare sulla sussistenza dei presupposti di fatto in grado di comprovare l’effettiva consumazione del reato e cioe’, tenuto conto della natura del luogo in cui sono state effettuate le riprese illecite e del reale oggetto di queste ultime, della presenza al suo interno di qualsivoglia cosa o condizione in grado di rivelare la personalita’ dei soggetti che vi avevano accesso. Ne’ ha valutato conseguentemente se la condotta accertata integri eventualmente ed alternativamente gli estremi del tentativo di interferenza illecita nella vita privata, in astratto configurabile alla luce di quanto osservato in precedenza.
5. Le evidenziate lacune impongono l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione Corte d’appello di Reggio Calabria, la quale si atterra’ ai principi affermati in questa sede.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria per nuovo esame
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