Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 8 febbraio 2018, n. 3115. L’appellante che intenda dolersi di una erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado puo’ limitarsi a chiedere al giudice d’appello di valutare ex novo le prove gia’ raccolte

L’appellante che intenda dolersi di una erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado puo’ limitarsi a chiedere al giudice d’appello di valutare ex novo le prove gia’ raccolte, e sottoporgli le argomentazioni difensive gia’ spese nel primo grado, senza che cio’ comporti di per se’ l’inammissibilita’ dell’appello

Ordinanza 8 febbraio 2018, n. 3115
Data udienza 22 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2863-2016 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);

(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrenti –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1130/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 15/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/11/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2008 (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Pescara (OMISSIS), (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) s.p.a. (che in seguito mutera’ ragione sociale in ” (OMISSIS) s.p.a.”; d’ora innanzi, sempre e comunque, “la (OMISSIS)”), esponendo che il (OMISSIS) aveva patito danni alla persona in conseguenza d’un sinistro stradale, occorsogli allorche’ era trasportato sul ciclomotore “Piaggio NRG” condotto da (OMISSIS), di proprieta’ di (OMISSIS) ed assicurato contro i rischi della r.c.a. dalla (OMISSIS).

Chiese la condanna dei convenuti al risarcimento del danno.

2. (OMISSIS) e (OMISSIS) si costituirono eccependo che, al momento del sinistro, era (OMISSIS) a guidare il ciclomotore, mentre (OMISSIS) vi era trasportato.

Soggiunsero che comunque la responsabilita’ del sinistro andava ascritta non alla persona che guidava il ciclomotore, ma a (OMISSIS), che alla guida dell’autoveicolo Fiat 600 (di proprieta’ di (OMISSIS) ed assicurato anch’esso contro i rischi della r.c.a. dalla societa’ (OMISSIS)), aveva tagliato la strada al ciclomotore.

Chiesero, di conseguenza, la condanna di (OMISSIS) e di (OMISSIS) al risarcimento dei danni da essi convenuti rispettivamente patiti in conseguenza del sinistro.

Chiamarono altresi’ in causa, per ottenerne la condanna al risarcimento, i genitori esercenti la potesta’ sul minore (OMISSIS) ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), nonche’ il proprietario ed il conducente dell’autoveicolo antagonista ( (OMISSIS) e (OMISSIS)).

Tutti e quattro i chiamati in causa si costituirono, ciascuno negando la propria responsabilita’ ed attribuendola vuoi al chiamante ( (OMISSIS)), vuoi all’attore principale ( (OMISSIS)).

3. Con sentenza 5.1.2012 n. 87 il Tribunale di Pescara ritenne che: (-) al momento del sinistro il ciclomotore fosse condotto da (OMISSIS);

(-) la responsabilita’ del sinistro andasse ascritta in via esclusiva a (OMISSIS);

(-) (OMISSIS), trasportarto sul ciclomotore, avesse fornito un concorso colposo alla causazione del danno nella misura del 25%, per avere egli stesso chiesto di essere trasportato, ed accettato di esserlo, su un veicolo non omologato per il trasporto di persone.

4. La sentenza venne appellata da (OMISSIS) e (OMISSIS).

La Corte’ d’appello de L’Aquila, con sentenza 15.10.2015 n. 1130, respinse il gravame.

Ritenne la Corte d’appello che l’atto d’appello non fosse conforme ai requisiti formali richiesti dall’articolo 342 c.p.c., in quanto contenente “piu’ che una motivata critica della sentenza impugnata, una mera riproposizione delle argomentazioni svolte in primo grado e motivatamente disattese dalla sentenza stessa”.

Tale sentenza e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS) e (OMISSIS), con ricorso basato su due motivi.

Hanno resistito con controricorso la (OMISSIS) e (unitariamente) (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

Tutti e quattro i controricorrenti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’articolo 342 c.p.c..

Deducono che erroneamente la Corte d’appello avrebbe dichiarato aspecifico l’atto di gravame.

Sostengono che nell’atto d’appello la critica alla sentenza di primo grado puo’ consistere anche soltanto in una prospettazione totalmente incompatibile con quella posta a fondamento della decisione impugnata, la quale contesti (vuoi esplicitamente, vuoi implicitamente) i presupposti su cui quella decisione si fondi.

Soggiungono che, in ogni caso, il loro atto d’appello aveva analiticamente censurato l’iter logico seguito dal Tribunale di Pescara, lamentando che il primo giudice:

(-) aveva erroneamente dato credito ad un testimone inattendibile;

(-) aveva ritenuto decisive le deposizioni di testimoni che non avevano assistito direttamente all’accaduto;

(-) aveva acriticamente condiviso una consulenza tecnica d’ufficio in realta’ lacunosa, e non aveva per contro esaminato le analitiche censure mosse ad essa dai consulenti di parte.

1.2. Prima di esaminare il motivo nel merito, v’e’ da rilevare come il suo contenuto non sia coerente con la sua intitolazione.

I ricorrenti infatti, pur prospettando formalmente un “vizio di violazione di legge”, di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nella sostanza lamentano la violazione d’una regola processuale, cosi’ prospettando il differente vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4.

Questo errore nell’inquadramento della censura, tuttavia, non e’ di ostacolo all’esame del secondo motivo di ricorso.

Infatti, nel caso in cui il ricorrente incorra nel c.d. “vizio di sussunzione” (e cioe’ erri nell’inquadrare l’errore che si assume commesso dal giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall’articolo 360 c.p.c.), il ricorso non puo’ per cio’ solo dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l’errore di cui si duole, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).

Nel caso di specie, l’illustrazione contenuta nelle pp. 18-23 del ricorso e’ sufficientemente chiara nel prospettare la violazione,.,da parte della Corte d’appello, dell’articolo 342 c.p.c.: e dunque il motivo e’ ammissibile.

1.3. Nel merito, la censura e’ fondata.

Col proprio appello (OMISSIS) e (OMISSIS) impugnarono la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva: (a) ritenuto che (OMISSIS) fosse il conducente del ciclomotore; (b) ritenuto che (OMISSIS) fosse il solo responsabile del sinistro.

Avevano motivato tali censure sostenendo che il primo giudice avesse malamente valutato le prove (scientifiche, storiche e critiche) raccolte nel corso dell’istruttoria.

Avevano, in particolare, sostenuto che:

(-) la perizia disposta dall’autorita’ Inquirente nel corso delle indagini preliminari scaturite dal sinistro evidenziava una condotta colposa di (OMISSIS), ovvero il conducente dell’autoveicolo Fiat 600 (cosi’ l’atto d’appello, p. 12);

(-) la circostanza che fosse (OMISSIS) il conducente del ciclomotore si sarebbe dovuta desumere da vari indizi, tra cui le lesioni riportate dal suddetto (OMISSIS) (ibidem, p. 14-15);

(-) la consulenza tecnica d’ufficio svolta in primo grado era carente sul piano del metodo e dei contenuti, dal momento che il consulente non aveva ispezionato i veicoli coinvolti, aveva ispezionato i luoghi sette anni dopo il fatto, ed aveva riempito la propria relazione principalmente trascrivendo gli atti di causa (ibidem, p. 16-18).

1.4. A fronte d’una impugnazione cosi’ strutturata, la Corte d’appello ha ritenuto che essa “non fosse conforme” ai precetti contenuti nell’articolo 342 c.p.c., in quanto contenente una “mera riproposizione delle argomentazioni gia’ svolte dinanzi al Tribunale”.

Questa affermazione non e’ condivisibile. Nessuna norma ne’ alcun principio dell’ordinamento, infatti, vieta all’appellante di riproporre in grado di appello non solo le domande, ma anche le argomentazioni difensive che non fossero state condivise dal giudice di primo grado. Cio’ per tre ragioni.

1.4.1. La prima ragione e’ di tipo logico: se l’attore invoca l’esistenza del fatto “A” fondato sulla prova “B”, e il giudice di primo grado rigetti la domanda negando l’attendibilita’ della prova “B”, il soccombente che intenda dolersi di tale statuizione non puo’ che riproporre al giudice d’appello quanto gia’ dedotto in primo grado: ovvero l’attendibilita’ della prova “B”.

Sostenere il contrario significherebbe pretendere dall’appellante di introdurre sempre e comunque in appello un quid novi rispetto agli argomenti spesi in primo grado, il che – a tacer d’altro – non sarebbe coerente col divieto di uova prescritto dall’articolo 345 c.p.c..

1.4.2. La seconda ragione e’ di tipo sistematico.

La Corte d’appello, con la propria decisione, parrebbe avere ritenuto che il giudizio d’appello abbia ad oggetto non il rapporto dedotto in giudizio, ma la sentenza di primo grado, che per tale ragione dovrebbe dunque impugnarsi con argomentazioni nuove ed ad hoc, senza potersi limitare a riproporre gli argomenti gia’ spesi in primo grado.

L’opinione cui la Corte d’appello mostra di avere aderito viene talora suffragata da certa dottrina o certa pratica, secondo cui tale conclusione sarebbe imposta dal fatto che il giudizio d’appello, per effetto delle riforme avvenute nel 1995 (L. 27 novembre 1990, n. 353, articolo 50) e nel 2012 (Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera 0a, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), non costituirebbe piu’ un novum ma una revisio prioris instantiae.

Cosi’, tuttavia, non e’.

Iniziamo col ricordare che il ricorso a formule come “novum iudicium”o “revisio prioris instantiae” per risolvere problemi concreti in tanto ha senso, in quanto di tali formule si sia preventivamente stabilito in modo inequivoco il significato, altrimenti “il richiamo a termini il cui significato resta oscuro serve solo ad aumentare la confusione ed a favorire l’ambiguita’ concettuale nonche’ la pigrizia esegetica, inducendo a cedere alla tentazione sbrigativa e autoritaria della formuletta” (sono parole di Sez. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015).

Ebbene, e’ certamente vero che il giudizio d’appello e’ oggi una revisio prioris instantiae: ma lo e’ non dal 2012, e tanto meno dal 1995. Il giudizio d’appello, sin da quando entro’ in vigore il vigente codice di procedura civile, e’ sempre stato una revisio prioris instantiae.

Tale sua caratteristica era resa evidente – tra l’altro – sia dall’obbligo di specificita’ dei motivi d’appello (articolo 342 c.p.c., nel testo originario), sia dal principio di acquiescenza alle parti della sentenza non appellate (articolo 329 c.p.c.).

La concezione del giudizio d’appello quale revisio prioris instantiae fu espressamente voluta dal legislatore del 1940: nel sistema del codice del 1865, infatti, l’appello devolveva al giudice di secondo grado la cognizione piena della causa, a prescindere dai mezzi di impugnazione, sicche’ il giudizio d’appello finiva per “ridurre quello di primo grado ad un semplice saggio preliminare”, riservando la trattazione dei “problemi piu’ salienti e le prore piu’ importanti” alla fase d’appello (cosi’ la Relazione del Guardasigilli al sul progetto definitivo al codice di procedura, 244).

Le riforme del 1990-1995-2012 hanno accentuato tale aspetto, ma non lo hanno affatto introdotto.

E’, pertanto erroneo affermare che il giudizio d’appello abbia oggi una natura od un oggetto diverso da quello clic aveva nel 1940. Revisio prioris instantiae il giudizio d’appello e’ oggi, e revisio prioris instantiae era allora (come affermato gia’, tra le tante, da Sez. 3, Sentenza n. 2229 del 13/08/1966).

Stabilito dunque che l’oggetto del giudizio d’appello non e’ affatto mutato per effetto delle riforme degli ultimi anni, deve ora rilevarsi come l’attribuzione al giudizio d’appello – della natura di revisio prioris instantiae non vuol affatto dire che esso costituisca un giudizio sulla sentenza di primo grado, e non sul rapporto.

L’appello resta un giudizio di merito pieno sul rapporto dedotto in giudizio, sia pure nei limiti dei motivi proposti dall’appellante.

La Corte d’appello, entro tali limiti, e’ chiamata a stabilire se la pretesa dell’attore sia fondata, non se il Tribunale abbia correttamente applicato la legge. Anzi, proprio la modifica dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, e l’abrogazione della sindacabilita’ in sede di legittimita’ del vizio di motivazione, ha accentuato la delicatezza del compito affidato al giudice di secondo grado, i cui accertamenti di fatto ben difficilmente potranno essere ulteriormente censurati.

Tali principi sono stati ripetutamente affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, sebbene – a quanto consta – con sentenze talora fraintese nella pratica.

1.4.2.1. Infatti sia Sez. U, Sentenza n. 3033 del 08/02/2013, sia Sez. U, Sentenza n. 28498 del 23/12/2005, la’ dove hanno affermato che l’appello ha natura di repisio prioris instantiae, non hanno affatto inteso sostenere che esso fosse un giudizio a critica vincolata, ma compirono quell’affermazione al limitato fine di stabilire come si ripartisse l’onere della prova in appello, e comunque ribadendo che la natura di repisio prioris instantiae del giudizio d’appello. impedisce all’appellante di impugnare la sentenza di primo grado limitandosi ad una denuncia generica dell’ingiustizia della sentenza, ma non trasforma il sindacato sul rapporto in un sindacato sull’atto impugnato.

1.4.3. La terza ragione e’ di tipo letterale.

L’articolo 342 c.p.c., nel testo novellato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, cit., non ha affatto comportato alcun mutamento nella natura del giudizio d’appello, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017), le quali hanno espressamente affermato che “ove le argomentazioni della sentenza impugnata dimostrino che le tesi della parte non sono state in getti vagliate, l’atto di appello potra’ anche consistere, con i dovuti adattamenti, in una ripresa delle linee difensive del primo grado”.

1.5. Da questi principi discende che l’appellante, vistosi affermare dal primo giudice l’esistenza d’un fatto che egli assume inesistente, o l’inesistenza d’un fatto che egli proclama esistente, quanto intenda lamentare una disattenta ponderazione delle prove da parte del primo giudice, ben puo’ limitarsi a sottoporre al giudice di merito le stesse prove e gli stessi argomenti infruttuosamente impiegati per convincere il primo giudice.

In simili evenienze, infatti, il giudice d’appello e’ chiamato a valutare ex novo le prove e soppesare ex novo gli argomenti non considerati nel precedente grado, e non a stabilire se il giudice di primo grado abbia correttamente motivato la propria valutazione di quelle prove.

1.6. Resta da aggiungere che la Corte d’appello, dopo avere negato (p. 7) l’ammissibilita’ dell’appello sul presupposto che esso non fosse conforme ai precetti dell’articolo 342 c.p.c., ha comunque dedicato ampio spazio ad esaminare e confutare alcuni degli argomenti spesi dagli appellanti (pp. 7-9).

Questa parte della motivazione, tuttavia, non vale a sanare l’errore di procedura gia’ rilevato.

Infatti il giudice, pronunciando una statuizione di inammissibilita’, si spoglia per cio’ solo della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia: con la conseguenza che se inserisca nella sentenza anche argomentazioni sul merito, queste debbono ritenersi tamquam non essent, ne’ la parte soccombente ha l’onere di impugnarle (Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007).

2. I restanti motivi di ricorso.

2.1. I restanti motivi di ricorso restano assorbiti dall’accoglimento del primo.

3. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello de la duale nell’esaminare l’appello proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS) applichera’ il seguente principio di diritto:

“l’appellante che intenda dolersi di una erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado puo’ limitarsi a chiedere al giudice d’appello di valutare ex novo le prove gia’ raccolte, e sottoporgli le argomentazioni difensive gia’ spese nel primo grado, senza che cio’ comporti di per se’ l’inammissibilita’ dell’appello”.

3. Le spese.

Le spese del presente giudizio di legittimita’ saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

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