Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza n. 6064 dell’8 febbraio 2018. Il reato di molestia o disturbo alle persone non ha natura di reato necessariamente abituale

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1.1.3 Per la soluzione della questione sollevata dalla difesa assume rilievo
anche la sentenza n. 85 del 4/4/2008, con la quale la Corte costituzionale ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46
(Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze
di proscioglimento), nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 del codice di procedura
penale, esclude che l’imputato possa appellare contro le sentenze di
proscioglimento relative a reati diversi dalle contravvenzioni punite con la sola
ammenda o con pena alternativa, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art.
603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva.
Nella sua corposa motivazione la pronuncia in esame ha escluso di poter
rimuovere, tramite lo strumento della declaratoria di incostituzionalità in via
consequenziale, la previsione del comma 3 dell’art. 593 cod. proc. pen. in modo
tale da consentire all’imputato di appellare anche le sentenze di condanna alla sola
pena dell’ammenda; ha rilevato che questa soluzione assumerebbe carattere
marcatamente “creativo”, determinando l’eliminazione di ogni limite oggettivo alla
proponibilità dell’appello avverso sentenz& che abbiano affermato la responsabilità
per reati di minore gravità, che resta priva di riscontro nell’assetto dell’istituto
antecedente alla legge n. 46 del 2006 ed estraneo alla stessa finalità deflattiva.
Deve dunque rilevarsi l’inammissibilità per manifesta infondatezza
dell’incidente d’incostituzionalità sollevato dal ricorrente.
2.Nel merito l’impugnazione si appunta sulla mancata integrazione del reato
contestato, sostenendo l’insufficienza di tre soli contatti telefonici tra imputato e
persona offesa. In tal modo ignora però che le condotte moleste, secondo quanto
esposto nella sentenza contestata, che ha valorizzato la deposizione della persona
offesa in relazione ai dati emersi dai tabulati del traffico telefonico, erano consistite
anche in sms provenienti dall’utenza in uso all’imputato, alcuni trascritti in atti e
fotocopiati e che il contenuto dei messaggi alludeva ad un relazione sentimentale
della ex moglie con l’imputato o con altri uomini, argomento sgradito e trattato al
solo fine di infastidire e dileggiare il destinatario.
Correttamente nella condotta siffatta sono stati riconosciuti i tratti
caratteristici della petulanza per l’insistente intromissione da parte dell’imputato
nella sfera privata del denunciante, a nulla rilevando le pretese preoccupazioni per
la situazione della moglie dello stesso, esposta ad imprecisate violenze, che non
avrebbero potuto essere impedite o rimediate mediante i comportamenti intrusivi e
molesti oggetto di imputazione.
2.1 La sentenza al riguardo offre corretta applicazione dei principi
interpretativi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali il reato
di molestia o disturbo alle persone, secondo consolidato insegnamento
giurisprudenziale, non ha natura di reato necessariamente abituale, sicché può
essere realizzato anche con una sola azione (Cass., Sez. 1, n. 29933
dell’08/07/2010,Arena, rv. 257960), purché particolarmente sintomatica dei requisiti
della fattispecie tipizzata. L’atto per essere molesto deve non soltanto risultare
sgradito a chi lo riceve, ma dev’essere anche ispirato da biasimevole, ossia
riprovevole, motivo o rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo
di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera
privata di altri. In particolare, si è affermato che, per integrare il delitto di molestie,
commesso per petulanza, è richiesto “un atteggiamento di arrogante invadenza e di
intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà, con la
conseguenza che la pluralità di azioni di disturbo integra l’elemento materiale
costitutivo del reato” (Cass. sez. 1, n. 6908 del 24/11/2011, Zigrino, rv. 252063;
sez. 1, n. 29933 del 08/07/2010, Arena, rv. 247960).
2.2 Piuttosto va rilevato che, in ossequio al principio sopra esposto, nel caso
di specie non è configurabile l’ipotesi del reato continuato, perchè la pluralità di
azioni disturbanti integra il carattere tipico dell’abitualità, il che comporta
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e l’eliminazione dell’aumento
di pena stabilito a tale titolo e pari ad euro 100,00 di ammenda.
2.3 I superiori rilievi circa l’abitualità della condotta danno conto anche
dell’esclusione della possibilità di applicare la speciale causa di non punibilità,
prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il cui testo esclude espressamente dal suo
ambito di applicazione il comportamento abituale.

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