Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 9 febbraio 2018, n. 831. La disciplina dettata dal D.Lgs. n. 159 del 2011 consente l’applicazione delle informazioni antimafia anche a rapporti a contenuto autorizzatorio

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Nel caso in esame ricorreva la presenza di un quadro indiziario sufficiente, coerente e coordinato. Tra i vari elementi, in questa sede, basta ricordare:

— la indubbia circostanza per cui il Comune di Reggio Calabria era stato sciolto per infiltrazione mafiosa anche a causa dell’ingerenza della famiglia -OMISSIS-;

— che la titolare della licenza era circondata da un particolare contesto familiare di notevole spessore criminale, composto dal padre (condannato per violenza privata e altro); dal marito (esponente condannato all’ergastolo per omicidio, associazione a delinquere, estorsione, traffico d’armi ecc. ecc.); dai cugini, tutti elementi di spicco appartenente alla cosca “-OMISSIS-” (condannati per 416-bis c.p. e altro);

–dalla circostanza singolare pe cui tutti erano titolari di licenza di taxi.

Il dato obiettivo costituito dall’infiltrazione mafiosa nel Comune e la circostanza relativa alla ricordata concessione di licenze di taxi a numerose imprese appartenenti a soggetti legati alla presenza mafiosa, davano logico fondamento ad una seria valutazione probabilistica circa i rischi di infiltrazione.

Esattamente la sentenza impugnata dunque conferma la piena legittimità del provvedimento prefettizio, in presenza di elementi sintomaticamente rivelatori di una possibile collateralità dell’impresa della sig.-OMISSIS-alla ‘ndrangheta. Come è stato già affermato dalla Sezione, tali situazioni peraltro possono anche andare al di là, e persino contro, la stessa volontà dei singoli titolari di licenza (Cfr.: Cons. Stato, sez. III, 31 agosto 2016, n. 3754; id., 2 agosto 2016, n. 3505; id., 29 settembre 2016, n. 4030).

Proprio alla luce del criterio del “più probabile che non” (per cui il giudizio ben può essere integrato da dati di comune esperienza evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, quale è, anzitutto, anche quello mafioso: cfr. Consiglio di Stato, Sez. III 9 maggio 2016, n. 1743), i singoli elementi — nel loro complessivo valore oggettivo, storico, sintomatico e nel relativo contesto ambientale – sono stati esattamente giudicati rivelatori di un indubbio oggettivo e fattuale collegamento dell’impresa dell’appellante con elementi della famiglia facenti organicamente parte della ‘ndrangheta.

La documentazione posta a base dell’interdittiva indica infatti non solo meri sospetti, ma una molteplicità di circostanze della cui veridicità non vi è motivo di dubitare e che confermano una indubbia vicinanza ad un nutrito numero di esponenti di spicco della criminalità organizzata coinvolti nelle tipiche attività criminali ‘ndranghetiste. Si tratta di rapporti che concernono una tipologia di relazioni che comunque non possono essere neanche volontariamente interrotte.

A tal riguardo, è notorio che in una citta di non rilevanti dimensioni i clienti normalmente ben conoscono i soggetti direttamente o indirettamente collegati con la malavita organizzata.

In ogni caso, contrariamente a quanto vorrebbe l’appellante, l’interdittiva può essere sorretta anche solo da fattori sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi per far presumere una possibile ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata (cfr. infra multa Consiglio di Stato sez. III 23 febbraio 2015 n. 898).

Infatti, ai sensi degli artt. 84 comma 4 e 91 comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, gli elementi posti a base dell’informativa antimafia possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (cfr. Consiglio di Stato sez. III 14 febbraio 2017 n. 669).

Per quanto poi riguarda la doglianza di cui quarto capo di doglianza, relativa alla risalenza nel tempo della licenza si rinvia alle motivazioni che seguono (cfr. al punto 3.3).

La complessiva considerazione della concreta situazione, anche alla luce dei tradizionali rapporti gerarchici impostati sul rapporto familiare che sono tipici della ‘ndrangheta, portano dunque a ritenere logicamente la presunzione circa la sussistenza di una relazione, anche solo di collateralità, dell’impresa dell’appellante con determinati ambienti malavitosi, con la persistente permeabilità del rischio di infiltrazione o, per lo meno, di ingerenza, della “famiglia” nella sua attività.

3.§. Devono essere esaminati congiuntamente anche la sesta e settima rubrica in quanto anche questi attengono ad un unico nucleo sostanziale di censura.

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