Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 9 febbraio 2018, n. 831. La disciplina dettata dal D.Lgs. n. 159 del 2011 consente l’applicazione delle informazioni antimafia anche a rapporti a contenuto autorizzatorio

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3.§.1.Con la sesta rubrica si lamenta che il Tar avrebbe errato escludendo la necessità di avvisare la ricorrente dell’avvio del procedimento e ci si duole dell’applicazione in materia dell’articolo 7 della l. n. 241/1990 in quanto non si tratterebbe di provvedimenti connaturati dal criterio dell’urgenza e comunque consisterebbero non in un mancato rilascio ma in una revoca del provvedimento già emesso, in assenza di fatti nuovi o di comportamenti indicati dalla norma generale quale motivo di decadenza dell’autorizzazione. La revoca di un atto legittimamente emesso avrebbe dovuto essere preceduta dall’avviso di avvio del procedimento onde consentire all’interessato di svolgere le sue difese, in quanto la preesistenza da oltre 27 anni dell’autorizzazione escludeva la sussistenza dei motivi di necessità ed urgenza.

3.§.2. Con la settima rubrica si assume che la sentenza avrebbe illegittimamente confermato una revoca in violazione dei presupposti richiesti dell’articolo 91 del D.lgs. n. 159/2011.

La revoca avrebbe potuto essere pronunciata solo in presenza di fatti nuovi concernenti l’attività o le modalità di espletamento del servizio, ma il comune di Reggio Calabria non poteva ritenere l’interdittiva come presupposto sufficiente alla revoca.

3.§.3. Entrambe le censure vanno respinte.

Nella fattispecie in esame non può configurarsi una violazione, procedimentalmente rilevante degli artt. 7 s. e 10 bis in quanto il procedimento volto all’adozione dell’interdittiva antimafia, è intrinsecamente caratterizzato da “particolari esigenze di celerità” (cfr. Consiglio di Stato sez. III 28 giugno 2017 n. 3171) e tende ad evitare che le fasi procedimentali possano essere influenzate dalla capacità pervasiva che il fenomeno mafioso sa assumere in determinate circostanze e in precisi contesti.

Quanto alla assenza di fatti nuovi direttamente addebitabile alla ricorrente, nel rinviare anche alle considerazioni che precedono, si deve ricordare che l’art. 88 che impone al Prefetto di rilasciare sempre la comunicazione antimafia interdittiva quando emerga — e venga accertata — la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto ex art. 67,

Sussiste dunque un collegamento immediato e necessitato tra situazione preesistente e la verifica del sopravvenire di fattori di ambientamento rilevanti sotto il profilo della prevenzione.

Per questo è poi anche inconferente la preesistenza dell’attività fin dal 1989: l’art. 2, comma 1, lettera c), della legge delega n. 136 del 2010, come ricordato anche dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 4 del 18/01/2018) “…ha inteso allargare il campo di applicazione dell’informazione antimafia, stabilendo che la sua “immediata efficacia” potesse esplicarsi “con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione”.

Il diretto riferimento ai rapporti già in essere della legge delega elimina ogni dubbio relativamente all’applicazione dell’interdittiva anche ai rapporti preesistenti (cfr. anche Consiglio di Stato, sezione III, 8 marzo 2017, n. 1109).

A tal riguardo, anche nel campo dei servizi diretti ai privati, deve dunque essere valorizzato il profilo finalistico della disciplina antimafia la quale tende a preservare la libertà di impresa economica dalle distorsioni ai comportamenti dei clienti, causate dalla presenza di imprese, direttamente o indirettamente, anche solo condizionate dalla malavita organizzata.

Anche le conclusioni del Giudice delle Leggi, confermano che tale tematica “si riconnette a una situazione di particolare pericolo di inquinamento dell’economia legale” per cui non è “manifestamente irragionevole che …. a fronte di un tentativo di infiltrazione mafiosa, il legislatore, rispetto agli elementi di allarme reagisca attraverso l’inibizione, sia delle attività contrattuali con la pubblica amministrazione, sia di quelle in senso lato autorizzatorie, prevedendo l’adozione di un’informazione antimafia interdittiva che produce gli effetti anche della comunicazione antimafia”(cfr. Corte Cost. sentenza n. 4/2018 cit.).

4.§. Infine, in relazione al respingimento del ricorso in primo grado, deve essere respinto anche l’ultimo motivo con cui vanamente l’appellante contesta la condanna al pagamento delle spese del giudizio di primo grado che è stata legittimamente statuita in applicazione del principio generale della soccombenza di cui all’art. 26 del c.p.a..

5.§. In definitiva l’appello è integralmente infondato e deve essere respinto e per l’effetto conferma integralmente la sentenza impugnata.

Le spese, secondo le regole generali seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), definitivamente pronunciando:

1. Respinge l’appello, come in epigrafe proposto.

2. Condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio che sono liquidate:

2.a) per e 1.250,00 oltre all’IVA ed alla C.P.A in favore dell’Avvocatura Generale dello Stato.

2.b) per e 1.250,00 oltre all’IVA ed alla C.P.A in favore del Comune di Reggio Calabria,

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti interessate.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Franco Frattini – Presidente

Umberto Realfonzo – Consigliere, Estensore

Giulio Veltri – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Stefania Santoleri – Consigliere

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