Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 9 febbraio 2018, n. 831. La disciplina dettata dal D.Lgs. n. 159 del 2011 consente l’applicazione delle informazioni antimafia anche a rapporti a contenuto autorizzatorio

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Né è vero che i provvedimenti di cui all’art. 84 abbiano carattere sanzionatorio.

Al contrario si ricorda che il legislatore, allontanandosi dal modello della repressione penale, ha impostato l’interdittiva antimafia come strumento di interdizione e di controllo sociale, al fine di contrastare le forme più subdole di aggressione all’ordine pubblico economico, alla libera concorrenza ed al buon andamento della pubblica Amministrazione. Il carattere preventivo del provvedimento, prescinde quindi dall’accertamento di singole responsabilità penali, essendo il potere esercitato dal Prefetto espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata (cfr. Cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 30 gennaio 2015 n. 455 Consiglio di Stato sez. III 23 febbraio 2015 n. 898).

Per questo deve negarsi che sia assolutamente necessaria la presenza di nuovi fatti ovvero che l’informativa debba essere agganciata a eventi concreti ed a responsabilità addebitabili con un profilo probatorio di livello penalistico.

Infine si deve ricordare che l’art. 83, c) del d.lgs., n. 159/2011 esclude l’applicabilità della normativa antimafia per il rilascio o rinnovo delle autorizzazioni o licenze di polizia solo nel caso in cui queste siano “di competenza delle autorità nazionali e provinciali di pubblica sicurezza”.

Il che è escluso nel caso di specie, relativo ad una licenza taxi di competenza dell’autorità locale.

Inoltre, se i soli i rapporti di parentela non sono sufficienti a radicare stretti legami con la malavita organizzata, non si può nemmeno ignorare che, nel particolare contesto socio-ambientale in questione, costituisce comunque elemento sintomatico di contiguità l’essere figlia di boss e sorella di un soggetto con una stabile partecipazione nell’organizzazione criminale (ma sul punto vedi anche infra).

2.§. Per ragioni di economia processuale possono essere esaminati congiuntamente il primo, il quarto ed il quinto capo di doglianza, in quanto afferenti a censure ontologicamente connesse.

2.§.1. Con il primo motivo l’appellante contesta che la decisione avrebbe fatto riferimento ad una motivazione del provvedimento inesistente e mai espressa, e non avrebbe considerato che l’attività sin dal 1989 si era svolta in maniera individuale, pertanto ogni criterio probabilistica prognostico non poteva avere riflessi per il futuro.

Il provvedimento del Prefetto, peraltro mai comunicato all’appellante, come risulta dal fatto che nella produzione di controparte risulterebbe la “notifica non eseguita”, si sarebbe limitato all’elencazione delle parentele della -OMISSIS-.

Il provvedimento di interdittiva non farebbe alcun riferimento alle motivazioni introdotte dal Tar per cui il gruppo familiare-OMISSIS-avrebbe interferito nell’espletamento del servizio pubblico della gestione del territorio e sulle modalità di accesso al rilascio delle licenze.

Il provvedimento si sarebbe limitato: a) alla elencazione delle parentele e dei precedenti dei parenti; b) alla considerazione della necessità di preservare il territorio reggino dalle infiltrazioni; c) alle considerazioni circa la necessità della prevenzione dalla criminalità organizzata delle varie riunioni interforze.

2.§.2. Con la quarta rubrica si lamenta la violazione degli artt. 84-91 del D. Lgs. n. 159/2011, in quanto l’infiltrazione mafiosa non potrebbe essere desunta da meri rapporti di parentela o di frequentazione ma dovrebbe concretizzarsi in un’effettiva interferenza nella vita di relazione (cfr. Consiglio di Stato Sez. VI n. 4574/2006 e n. 2441/2010).

Il Tar non avrebbe tenuto conto che l’appellante era stata titolare per ben 27 anni di un’autorizzazione della guida taxi, pur in presenza di una parentela in essere da sempre senza che le Forze dell’Ordine avessero sollevato alcunché al riguardo.

Ne avrebbe rilievo il fatto che la signora risulti coniugata con il sig. -OMISSIS-, soggetto condannato, in via definitiva, alla pena dell’ergastolo sia perché la medesima avrebbe conseguito la licenza in data antecedente al matrimonio e sia perché non vi sarebbe alcuna convivenza dato che il marito fin dal 1994 sarebbe in stato di detenzione.

Per cui tali rapporti parentali sarebbero del tutto ininfluenti in quanto: l’appellante sarebbe convivente solo con i due figli, studenti universitari e non dediti all’espletamento di attività delinquenziali; non avrebbe effettuato investimenti immobiliari ma avrebbe ricevuto in donazione dal padre la casa dove vive; non avrebbe alcuna frequentazione con le sue parentele.

In ogni caso le sue casuali frequentazioni “non ripetitive” con elementi appartenenti alla malavita organizzata sarebbero comunque inidonee a provare la sudditanza della sua impresa.

Non sarebbe sufficiente affermare la vicinanza di alcuni parenti a soggetti mafiosi ma avrebbe dovuto essere chiarito in che modo tale rapporto di parentela implichi il coinvolgimento nelle attività economiche del soggetto inciso (cfr. C.G.A. per la regione siciliana n. 257/2016).

2.§.3. Con la quinta rubrica si lamenta che erroneamente si sarebbe applicato il principio giurisprudenziale del “più probabile che non” introducendo elementi di fatto che non hanno avuto alcuna rilevanza nel corso di 27 anni di attività espletata dalla ricorrente, la quale non aveva avuto alcuna valenza nell’ambito delle scioglimento del consiglio comunale, né avrebbe frequentato politici o altri.

Erroneamente il Tar avrebbe sottolineato che nessun segno contrario sarebbe stato evidenziato dalla -OMISSIS-. In base al D.lgs. n. 159/2011 il principio sarebbe applicabile solo in presenza di elementi oggettivi di raffronto o di contrapposizione che siano potenzialmente verificabili quali ordini di arresto, pendenza di procedimenti di prevenzione, possibile esistenza di un pericolo di infiltrazione e che la fattispecie dell’interdittiva sia configurabili nei riguardi di attività che durano da 27 anni.

2.§.4. L’assunto è complessivamente privo di fondamento.

Al riguardo sussistevano indubbiamente considerevoli indizi che rendevano logicamente attendibile l’esistenza di un possibile condizionamento da parte della criminalità organizzata.

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