segue pagina antecedente
[…]
ssità di una base previsionale, nella procedura di gara svoltasi a monte, anche delle condizioni ulteriori, nella specie non ravvisabile.
Deve adesso verificarsi se il modus operandi di ESTAR possa trovare legittimazione normativa nel disposto dell’art. 311 d.P.R. n. 207/2010, dettato in materia di varianti contrattuali, con particolare riferimento alla previsione di cui al comma 3, ai sensi del quale sono ammesse “le varianti, in aumento o in diminuzione, finalizzate al miglioramento o alla migliore funzionalità delle prestazioni oggetto del contratto, a condizione che tali varianti non comportino modifiche sostanziali e siano motivate da obiettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto”.
Al quesito deve darsi, ad avviso della Sezione e come correttamente ritenuto dal T.A.R., risposta negativa.
La norma, come è evidente, va letta ed interpretata in relazione al comma 1, ai sensi del quale “la stazione appaltante non può richiedere alcuna variazione ai contratti stipulati, se non nei casi di seguito previsti”: ciò che ne impone una interpretazione restrittiva, rispettosa delle sue tassative condizioni applicative.
Ebbene, il T.A.R. ha fatto leva, al fine di risolvere il suindicato quesito, su argomentazioni attinenti alla ratio della norma, evidenziando che essa è funzionale a contemperare interessi (quello alla tutela della concorrenza da un lato, quello all’adeguamento del contratto alle esigenze della stazione appaltante con la quale è stato stipulato dall’altro) non ricorrenti nella fattispecie in esame, in cui l’interesse perseguito con l’ipotetica variante non appartiene alla medesima Amministrazione parte del contratto da modificare.
In realtà, il complesso normativo contenuto nell’art. 311 d.P.R. n. 207/2010, piuttosto che alla tutela della concorrenza, risulta principalmente finalizzato a prevenire le derive contrattuali caratterizzate dalla incontrollata dilatazione degli oneri economici per la stazione appaltante, conseguente alle inefficienze della fase progettuale.
L’inidoneità della norma a regolare, in funzione legittimante di eventuali integrazioni e/o modifiche contrattuali, la fattispecie dell’affidamento fondata sull’applicazione della clausola di adesione si coglie quindi, più agevolmente, già sul piano strutturale della fattispecie.
L’attivazione della clausola di adesione, infatti, non integra l’evento modificativo di un contratto in essere, ai sensi dell’art. 311 d.P.R. n. 207/2010, ma realizza un collegamento procedimentale, sostitutivo del meccanismo di gara, tra due contratti, quello preesistente e quello da stipulare con altra stazione appaltante, sebbene contenutisticamente definito sul modello del primo: ne consegue che, mentre l’art. 311 d.P.R. n. 207/2010 presuppone uno iato logico-temporale, non meramente fittizio, tra la stipulazione del contratto e le esigenze sopravvenute che la variante è tesa a soddisfare, l’operatività della clausola di adesione si innesta nel momento genetico del rapporto contrattuale instaurato in estensione ed è destinata a soddisfare le esigenze (non della stazione appaltante parte del contratto originario, ma quelle) della stazione appaltante beneficiaria dell’estensione.
Del resto, lo stesso carattere “imprevedibile” delle esigenze giustificative dell’integrazione, con i servizi de quibus, del contratto originario appare difficilmente predicabile, ove si consideri che, al momento della stipula dello stesso (rectius, dell’avvio del relativo procedimento di gara), la centrale di committenza, proprio per la sua posizione centrale nel sistema di affidamento regionale (quindi, tenuta diligentemente a prefigurare le possibili esigenze di approvvigionamento di tutte le stazioni appaltanti afferenti al relativo circuito operativo), ben avrebbe potuto tenere conto delle suddette esigenze “sopravvenute”, modulando l’oggetto del contratto, sebbene nella sua proiezione futura ed eventuale, anche in (ragionevole) previsione delle stesse.
Deve solo osservarsi, per concludere sul punto, che la qualificazione dei servizi de quibus come legittima variante, ai sensi dell’art. 311 d.P.R. n. 207/2010, non potrebbe trovare fondamento, come sostiene la parte appellante principale, nel rinvio operato al d.lvo n. 163/2006 dalla lex specialis della gara all’esito della quale ha stipulato il contratto oggetto di estensione (basti evidenziare in proposito che il rinvio non implica che gli istituti richiamati, compreso quello delle varianti, possano essere applicati derogando ai relativi presupposti legittimanti) né nella discrezionalità della stazione appaltante in ordine alla decisione di procedere all’estensione contrattuale (atteso che le valutazioni discrezionali dell’Amministrazione devono comunque svolgersi entro i limiti fissati dalle norme imperative, tanto più se dettate a tutela della concorrenza, né la pur apprezzabile volontà di “procedimentalizzare” l’esercizio di quella discrezionalità, invocata dalla appellante incidentale, può giustificare l’incompiuta attuazione delle prevalenti esigenze concorrenziali).
Quanto poi alla tesi, sostenuta dall’Amministrazione appellante, secondo cui i due contratti di ristorazione utilizzati per la comparazione, in vista della scelta di quello da estendere, “risultavano entrambi estensibili di per sé, senza alcuna necessità di ampliarne l’oggetto”, atteso che “l’interesse della A.S.L. Toscana Sud Est sarebbe stato soddisfatto dall’adesione ad uno qualsiasi di tali contratti di ristorazione, che avrebbe potuto essere integrato in qualunque momento, in corso di esecuzione, ex art. 311 del D.P.R. n. 207/2010” (cfr. pag. 13 dell’appello incidentale di ESTAR), deve solo osservarsi, per dimostrarne l’erroneità, che essa urta con il carattere “particolarmente importante” dei servizi integrativi (cfr., sul punto, la relazione istruttoria del R.U.P.), tale da determinarne il carattere decisivo ai fini del soddisfacimento ab initio dell’interesse rappresentato dalla A.S.L. beneficiaria dell’estensione, mentre la deduzione secondo cui l’integrazione sarebbe potuta avvenire in qualsiasi momento si scontra con il rilievo secondo cui la legittimità dell’attività amministrativa va valutata sulla scorta del suo concreto (e non ipotetico ed alternativo) svolgimento, senza considerare che l’ipotizzato ricorso postumo alla variante, di cui non sussistano ab origine le condizioni, apparirebbe come una mera modalità elusiva delle pertinenti disposizioni (in tema di limiti applicativi della clausola di adesione).
Gli appelli, in conclusione, devono essere respinti, dovendo confermarsi la sentenza di primo grado anche laddove ha statuito l’improcedibilità del ricorso proposto da Al. s.r.l. (ora Ci. Fo. s.c.).
Le parti appellanti devono essere condannate, in solido tra loro, alla refusione delle spese di giudizio a favore di CA. soc. coop. a r.l. e di Co. It. di Ri. s.c. – CI. FO. soc. coop., nella misura di Euro 3.000,00 per la prima e di Euro 2.000,00 per la seconda, oltre oneri di legge.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello principale di Se. Ri. s.p.a. e su quello incidentale di ESTAR, li respinge.
Condanna le parti appellanti, in solido tra loro, alla refusione delle spese di giudizio a favore di CA. soc. coop. a r.l. e di Co. It. di Ri. s.c. – CI. FO. soc. coop., nella misura di Euro 3.000,00 per la prima e di Euro 2.000,00 per la seconda, oltre oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani – Presidente
Umberto Realfonzo – Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere, Estensore
Leave a Reply