L’unico limite che la Soprintendenza competente incontra in tema di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica è costituito dal divieto di effettuare un riesame complessivo delle valutazioni compiute dall’ente competente tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell’autorizzazione; tale limite sussiste, però, soltanto se l’ente che rilascia l’autorizzazione di base abbia adempiuto al suo obbligo di motivare in maniera adeguata in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’opera; in caso contrario, sussiste un vizio d’illegittimità per difetto o insufficienza della motivazione e ben possono gli organi ministeriali annullare il provvedimento adottato per vizio di motivazione e indicare le ragioni di merito che concludono per la non compatibilità delle opere realizzate con i valori tutelati.
Sentenza 20 marzo 2018, n. 1798
Data udienza 22 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6844 del 2011, proposto da:
Al. Bi., rappresentato e difeso dagli avvocati Ni. Pa. e Ra. Ra., con domicilio eletto presso lo studio Pa. in Roma, via (…);
contro
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza Ambientale Verona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
nei confronti di
Comune di (omissis) non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA: SEZIONE II n. 02379/2010, resa tra le parti, concernente autorizzazione paesaggistica per concessione edilizia in sanatoria
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero per i Beni e le Attività Culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2018 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Gi. Pa., per delega di Ni. Pa., e M. Vi. Lu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – In data 9/4/1997, l’appellante chiedeva al Comune di (omissis) la concessione edilizia per l’ampliamento del fabbricato dove esercita la propria attività di realizzazione di impianti elettrici, su terreno classificato dal piano regolatore come zona artigianale e commerciale (D2) e soggetto a vincolo paesaggistico, in quanto in prossimità del Rio Ro..
1.1 – In data 24/7/1997, il Sindaco del Comune di (omissis) rilasciava la concessione edilizia n. 4305, dopo che il Genio Civile della Regione Veneto, in data 20/5/1997, aveva emanato l’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 7 della L 1497/1939.
2 – Il 20/10/1997, il Comune di (omissis) notificava all’appellante il decreto datato 8/7/1997 del Soprintendente per i Beni Culturali e Ambientali di Verona di annullamento dell’autorizzazione n. 4597 del 20/5/1997.
3 – L’appellante ha impugnato il provvedimento che ha disposto l’annullamento dell’autorizzazione con ricorso n. 3276/97 proposto al Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, il quale, con sentenza n. 2379/2010, l’ha rigettato.
3.1 – Avverso tale sentenza è stato proposto appello per i motivi di seguito esaminati.
4 – Con il primo motivo, l’appellante deduce violazione di legge: art. 82, comma 9°, del D.P.R. n. 616/1977, come modificato dall’art. 1, comma 6°, della L. n. 431/86 e dell’art. 2 del D.M. 18/12/1996; eccesso di potere per carenza di potere.
A tal fine, l’appellante cita il 6° comma dell’art. 1 della L. n. 431/1985, secondo il quale l’annullamento dell’autorizzazione ambientale può essere disposto dall’Amministrazione statale, con provvedimento motivato, entro 60 giorni dalla data di comunicazione dell’autorizzazione. Evidenzia inoltre che nel caso di specie l’autorizzazione datata 20/5/1997 è pervenuta alla Soprintendenza il 22/5/1997; mentre, il decreto di annullamento è datato 8/7/1997, ma è stato notificato al ricorrente il 20/10/1997.
4.1 – La sentenza impugnata ha ritenuto infondata tale censura, escludendo che l’autorizzazione ambientale possa qualificarsi come atto recettizio, e che la comunicazione dell’annullamento dovesse pervenire al ricorrente entro il termine di 60 giorni decorrenti dalla data in cui la Soprintendenza ha ricevuto l’autorizzazione.
4.2 – L’appellante censura tale statuizione, sostenendo che il provvedimento di annullamento deve necessariamente pervenire al titolare dell’autorizzazione – e deve anche essere notificato – entro il termine di 60 giorni ex lege fissati per l’eventuale esercizio del potere di annullamento. A sostegno della tesi, cita il D.M. 18/12/1996, che all’art. 2 ha affermato la perentorietà del termine previsto dall’art. 1 della L. n. 431/1985, ed ha prescritto che entro tale termine l’annullamento debba essere comunicato all’interessato. Evidenzia inoltre che all’epoca in cui fu adottato l’impugnato provvedimento di annullamento dell’autorizzazione ambientale, il paradigma normativo del procedimento non consentiva in alcun modo al titolare dell’autorizzazione ambientale di conoscere l’inizio del sub procedimento dell’eventuale annullamento dell’autorizzazione stessa, né tanto meno di evincere da quando iniziava a decorrere il perentorio termine di 60 giorni per l’esercizio del potere di annullamento.
5 – Il motivo di appello è infondato, essendo condivisibile quanto argomentato dal Tar nella sentenza impugnata.
5.1 – Al riguardo, è sufficiente richiamare la giurisprudenza costante secondo la quale il termine di 60 giorni ha carattere perentorio (cfr. Cons. St., sez. VI, 12 agosto 2002; n. 4182 e 3 febbraio 2000, n. 629); tuttavia, prima della relativa scadenza, è necessario che abbia luogo soltanto l’adozione, non anche la comunicazione agli interessati, dell’eventuale annullamento (cfr. Cons. St., sez. VI, 11 agosto 2000, n. 4465; 24 maggio 2000, n. 3010; 8 marzo 2000, n. 1162; 17 febbraio 2000, n. 885).
5.2 – Non risulta rilevante nemmeno l’invocato art. 2 del D.M. 18.12.1996, che, a parere dell’appellante, imporrebbe all’Amministrazione l’obbligo non solo di adottare, ma anche di comunicare nel termine di 60 giorni il provvedimento di annullamento. Sul punto, la giurisprudenza, già da tempo, ha chiarito che le previsioni della citata disposizione non mutano la qualificazione giuridica non recettizia dell’atto di annullamento. E, tenuto conto della sua natura di fonte secondaria, la norma medesima non può, secondo tale giurisprudenza, avere effetti su una disposizione di rango primario come quella dettata dall’art. 82 del D.P.R. n. 616/1977(cfr. Cons. St., sez. VI, n. 121/99 e n. 737/99).
5.3 – Anche recentemente (Cons. St., Sez. VI, 4 luglio 2016, n. 2958) è stato infatti affermato che: “il termine fissato alla Soprintendenza competente per l’eventuale annullamento della autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Regione (ovvero dall’ente subdelegato), nel regime transitorio di cui all’art. 159, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (che riproduce la norma già contenuta dapprima nell’art. 82 d.PR 24 luglio 1977, n. 616 – come modificato dall’art. 1 l. 8 agosto 1985, n. 431, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 – e poi nell’art. 151 del d.lgs. 29 ottobre1999, n. 490), per quanto di natura perentoria, è previsto dalla legge soltanto ai fini dell’adozione dell’eventuale provvedimento di annullamento e non anche per la sua comunicazione ai soggetti interessati. In altri termini, perché possa dirsi rispettato il suddetto termine è sufficiente che l’atto sia adottato nel termine per provvedere, non dovendosi ricomprendere nel computo del termine stesso l’attività successiva di partecipazione di conoscenza dell’atto ai suoi destinatari. Ciò in considerazione della natura non recettizia di questo tutorio annullamento, che è espressione di cogestione attiva del vincolo paesaggistico e della conseguente ininfluenza, ai fini della sua validità, della comunicazione ai diretti interessati nell’arco temporale fissato dalla legge per l’adozione del provvedimento”.
5.4 – Infine, non è determinante nemmeno l’ulteriore obiezione dell’appellante, che lamenta di non avere avuto alcuna contezza dell’avvio del procedimento, tenuto conto del fatto che il provvedimento comunale esplicitava chiaramente la necessità del vaglio Ministeriale, facendone salvi i relativi effetti.
In ogni caso, l’appellante non svolge alcun argomento al fine di dimostrare che l’esito del procedimento avrebbe, in ipotesi, potuto avere un esito differente, se avesse avuto comunicazione di inizio del procedimento. Al riguardo, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che, ancor prima delle modifiche introdotte alla l. n. 241/1990 dalla l. n. 15/2005, la comunicazione di avvio può avere una sua utilità (con la conseguenza che la sua mancanza rende illegittimo il provvedimento) quando il contraddittorio procedimentale con il privato interessato del procedimento avrebbe potuto fornire all’Amministrazione elementi utili ai fini della decisione (cfr. Cons. St., sez. VI, 15 marzo 2010, n. 1427).
Tale assunto risulta avvalorato dalle considerazioni che seguono, ove sostanzialmente si evidenzia come l’esito del controllo ministeriale appare obbligato, stante l’assoluta carenza di motivazione dell’atto comunale.
6 – Con il secondo motivo di appello si deduce violazione del principio di corretta amministrazione, eccesso di potere per difetto di presupposto, sviamento, elusione della sentenza n. 542/94 del Tar Veneto.
6.1 – In riferimento a tale censura, l’appellante argomenta nel senso che il potere ministeriale sarebbe stato esercitato in sovrapposizione alla valutazione della Provincia di Vicenza, deducendo che, con la precedente sentenza n. 542/94, il Tar Veneto avrebbe già rilevato che il Ministero aveva condotto una diversa valutazione di merito in ordine alla compatibilità del progetto con l’interesse ambientale, mentre il potere di riesame riconosciuto all’amministrazione statale non è esteso al merito.
Secondo l’appellante, nonostante il precedente annullamento giurisdizionale, l’Amministrazione statale avrebbe nuovamente sovrapposto il proprio giudizio di merito a quello della Commissione Consultiva del Genio Civile competente ex L.R. n. 63/94, senza tenere conto della sentenza del Tar Veneto e quindi senza astenersi dall’esercitare un potere di riesame nel merito.
6.2 – Il motivo è palesemente infondato, invero, la citata sentenza del Tar Veneto non contiene alcun accertamento circa la valutazione effettuata dalla Sovrintendenza, avendo annullato il relativo provvedimento per ragioni procedurali. Ne consegue che l’attività dell’amministrazione non risulta in alcun modo vincolata da tale pronuncia, così che non è in alcun modo ravvisabile un’elusione del relativo giudicato (Cfr. Cons. St., sez VI, n. 1105/2016: qualora il giudicato comporti l’annullamento del provvedimento solo per vizi formali, è indubbio che residui uno spazio pieno per il rinnovo della valutazione dell’amministrazione).
Inoltre, l’amministrazione statale, contrariamente a quanto supposto dall’appellante, non ha affatto esercitato un riesame nel merito dell’autorizzazione ambientale, come meglio di seguito illustrato.
7 – Con il terzo motivo di appello si deduce violazione di legge: art. 82, comma nono, del D.P.R. 616 del 1977; eccesso di potere per sviamento.
Al riguardo, l’appellante ricorda che nel decreto impugnato, tra l’altro, si legge: “L’edifico in questione qualora realizzato verrebbe a compromettere un’ampia veduta del contesto paesaggistico del Comune di (omissis), occupando un ampio settore di quello che storicamente era il territorio agricolo la cui tessitura organizzata in funzione del monumentale insediamento del complesso villa Da Po. e del corso del fiume Ch.”.
Tanto precisato, l’appellante ribadisce che il potere ministeriale di annullamento non si configura affatto come potere di riesame delle determinazioni già assunte, né come esercizio di una competenza di secondo grado, ma solo come annullamento per ragioni che ineriscono alla legittimità dell’autorizzazione.
8- E’ opportuno esaminare congiuntamente a tale motivo anche il quarto motivo di appello con il quale si deduce eccesso di potere, perplessità, difetto dì istruttoria e sviamento.
Secondo l’appellante, la vera ragione del decreto di annullamento deriverebbe dal fatto che secondo la Soprintendenza l’edificio occuperebbe un settore di quello che era il territorio agricolo organizzato in funzione del complesso Villa Da Po.. L’appellante lamenta l’erroneità di tale assunto, dal momento che il terreno non ha destinazione agricola, ma produttiva – commerciale ZTO “02”, ed è deputato all’insediamento di edifici industriali e commerciali per grandi superfici di vendita.
9 – Tali motivi non possono portare all’accoglimento dell’appello.
Invero, l’annullamento ministeriale si fonda chiaramente sul difetto di motivazione dell’autorizzazione, avendo rilevato che l’autorità preposta alla tutela del vincolo non ha rispettato l’obbligo motivazionale in ordine alla compatibilità con il valore estetico tutelato dal vincolo paesaggistico posto sull’area interessata dall’opera. Invero, testualmente, nelle premesse del provvedimento si legge: “considerato che nel provvedimento in esame l’Autorità decidente non spiega come e perché l’intervento autorizzato sia compatibile con la tutela del sito”; mentre nella parte motiva si sottolinea (con il grassetto) quanto segue: “si evidenzia la carenza di una valutazione di impatto ambientale in sede di pianificazione urbanistica”, nonché: “per quanto esposto il provvedimento succitato è viziato da eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione”.
9.1 – Tanto precisato, non può che prendersi atto di come l’autorizzazione annullata sia effettivamente carente di motivazione circa la compatibilità ambientale. Invero, la stessa si limita a citare nelle premesse, ma senza neppure farne propri i contenuti, il parere della Commissione Consultiva (“Considerato che la Commissione Consultiva in materia di lavori pubblici costituita presso questo Ufficio nella seduta del 7/5/1997 ha esaminato l’istanza esprimendo con voto n. 303/97 parere favorevole sull’argomento in oggetto indicato”), senza altro aggiungere.
Correttamente tale mero richiamo è stato ritenuto insufficiente a giustificare la valutazione di compatibilità dell’intervento con le esigenze di tutela legate alla presenza del vincolo sull’area in questione.
9.2 – Alla luce di tale precisazione, le ulteriori considerazioni contenute nel provvedimento e citate dall’appellante, lungi dal costituire una indebita valutazione di merito, valgono solo a dimostrare l’assoluta carenza di ogni approfondimento da parte dell’autorità competente rispetto alla compatibilità del manufatto con l’ambiente circostante. Al riguardo, giova ricordare che secondo la giurisprudenza amministrativa consolidata (Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9 e, più di recente, “ex multis”, Cons. Stato, sez. VI, n. 300/2012), l’eventuale annullamento del nulla osta paesaggistico, da parte della Soprintendenza, risulta riferibile a qualsiasi vizio di legittimità, riscontrato nella valutazione formulata in concreto dall’ente territoriale, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni sua figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta). L’unico limite che la Soprintendenza competente incontra in tema di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica è costituito dal divieto di effettuare “un riesame complessivo delle valutazioni compiute dall’ente competente tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell’autorizzazione” (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 9/2001; Cons. Stato, sez. VI, 14 agosto 2012, n. 4562). Tale limite sussiste, però, soltanto se l’ente che rilascia l’autorizzazione di base abbia adempiuto al suo obbligo di motivare in maniera adeguata in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’opera. In caso contrario, sussiste un vizio d’illegittimità per difetto o insufficienza della motivazione e ben possono gli organi ministeriali annullare il provvedimento adottato per vizio di motivazione e indicare – anche per evidenziare l’eccesso di potere nell’atto esaminato – le ragioni di merito che concludono per la non compatibilità delle opere realizzate con i valori tutelati (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2014, n. 1034, 18 gennaio 2012, n. 173 e 21 settembre 2011, n. 5292).
9.3 – Alla luce delle considerazioni che precedono, deve precisarsi che non è precluso all’autorità competente di rideterminarsi sull’istanza a suo tempo presentata da parte appellante, motivando adeguatamente circa la valutazione che intenderà adottare. Ne deriva che la questione sottesa al quarto motivo di appello non può essere esaminata in questa sede, ben potendo la stessa essere rimessa al vaglio dell’amministrazione in sede di riedizione del potere.
10 – In definitiva l’appello deve essere respinto nei sensi di cui in motivazione. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico dell’appellante soccombente.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello come in epigrafe proposto.
Condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite in favore del Ministero appellato, che si liquidano in complessivi Euro3.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Carbone – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore
Italo Volpe – Consigliere
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