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In termini esplicativi, relativi all’intero giudizio amministrativo, va ribadito che nell’eventualità in cui davanti al medesimo ufficio giudiziario la stessa causa venga proposta due volte, si verifica una vicenda processuale anomala, in vista della quale l’ordinamento processuale appronta lo specifico rimedio disciplinato dall’art. 273 c.p.c. (che obbliga il giudice, davanti al quale siano pendenti più procedimenti relativi alla stessa causa, a ordinarne la riunione); l’applicazione al giudizio amministrativo impugnatorio della su menzionata norma è possibile, per analogia legis, in quanto espressiva di una esigenza comune a tutti i processi, ovvero di rimediare ad una semplice anomalia del procedimento, da eliminarsi con mezzi interni onde prevenire l’inutile ripetizione di attività processuali ed eventuali contrasti di giudicati; tale conclusione è rafforzata, dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, dal rinvio operato dall’art. 39, comma 1, dello stesso codice, alle disposizioni del c.p.c. compatibili con la disciplina processuale amministrativa ed espressive di principi generali; conseguentemente, se il giudice amministrativo non ha disposto la riunione di due cause identiche, deve essere dichiarata l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso proposto successivamente, onde prevenire la violazione del principio del ne bis in idem.
Applicando tali coordinate alle domande risarcitorie, la giurisprudenza (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V 21 maggio 2010 n. 3218) ha avuto modo di evidenziare che la parte, la quale in sede di decisione giurisdizionale non abbia ottenuto dal giudice adito il risarcimento del danno richiesto, non può riproporre con un giudizio di ottemperanza il petitum che gli era stato espressamente negato dalla sentenza ottemperanda, ostandovi non solo il principio del ne bis in idem, ma anche i confini propri del giudizio di ottemperanza.
In definitiva, al fine di reputare sussistente la violazione del principio del ne bis in idem è necessario rilevare l’identità nei due giudizi delle parti in causa e degli elementi identificativi dell’azione risarcitoria proposta.
3.2 Nel caso di specie i danni paventati e richiesti non risultano coincidenti, in quanto relativi a due fasi procedimentali – e conseguentemente processuali – differenti, una successiva all’altra.
Con la prima domanda, come emerge dalla stessa sentenza appellata, la società ricorrente ha proposto, in via consequenziale a quella di annullamento, domanda risarcitoria per i danni conseguenti all’aumento dei costi di realizzazione dell’impianto ed al mancato guadagno nel periodo di mancato funzionamento.
Con la seconda domanda la società chiedeva i danni derivanti dal fatto che, in ragione della tardività nel rilascio dell’autorizzazione unica e dell’imminenza della scadenza temporale nelle more fissata ex lege (d.lgs 28/2011, con l’obbligo giuridico di realizzare l’impianto entro e non oltre il 29 marzo 2012, termine questo per altro anticipato al 24.01.2012 dal d.l. n. 1/2012), l’impianto fotovoltaico progettato non poteva essere realizzato dalla ricorrente con gravissimo pregiudizio economico per la stessa.
Pertanto, in assenza della necessaria identità fra gli elementi identificativi dell’azione proposta va accolto l’appello in parte qua con la conseguente riforma della sentenza appellata che ha dichiarato l’inammissibilità per violazione del ne bis in idem.
4. Peraltro, anche alla luce degli elementi acquisiti anche in via istruttoria, le domande risarcitorie proposte appaiono infondate nel merito.
Infatti, dall’analisi degli atti prodotti nonché dell’approfondimento istruttorio svolto emerge, già in fatto, la mancanza della prova della colpa della p.a. nonchè del presupposto inerente la probabilità della spettanza del bene della vita.
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