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4.1 Le conclusioni negative non mutano, in relazione alla prima domanda, analizzandola secondo la prospettazione del danno in termini di ritardo. In proposito, se in linea generale il principio tradizionale affermato dall’Adunanza plenaria con la decisione 15 settembre 2005 n. 7 era nel senso che l’intervenuto riconoscimento, da parte dell’amministrazione pubblica, di aver pronunciato in ritardo su alcune istanze non comporta, per ciò solo, l’affermazione della sua responsabilità per danni, ancora di recente la giurisprudenza (anche della sezione: cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI 10 luglio 2017 n. 3392) ha ricordato che per “ danno ingiusto “ risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico.
In materia, quindi, va ribadito (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. IV 30 giugno 2017 n. 3222) che la pretesa risarcitoria, relativa al danno da ritardo, deve essere ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito, con l’avvertenza che, nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697 comma 1, c.c., opera con pienezza, e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento.
In tale contesto va ritenuto in astratto possibile configurare un danno da ritardo, derivante dall’incertezza illegittimamente causata sul modo in cui regolarsi nell’attesa che l’amministrazione si pronunci sulla stessa spettanza del bene della vita: anche in tali fattispecie, infatti, è possibile configurare l’esistenza della lesione, che comunque andrebbe rigorosamente provata, di un interesse economicamente rilevante. Tale prospettazione, peraltro, è preliminare e distinta rispetto a quella con cui si domandi il risarcimento di un danno emergente e di un lucro cessante pieni ed attuali, rispetto all’illegittimo diniego adottato dall’amministrazione avverso l’iniziativa privata. Se ciò nel caso di specie comporta l’assenza del ne bis in idem, per ciò solo non esime dalla necessaria prova degli elementi concernenti la sussistenza della fattispecie risarcitoria.
4.2 Nel caso di specie per entrambe le domande è mancata in primo luogo la dimostrazione della colpa della p.a., anche facendo ricorso ai più consolidati parametri presuntivi.
Da un lato è evidente che l’annullamento del diniego, disposto in accoglimento del reputato assorbente profilo meramente procedurale dell’illegittima espressione del parere negativo della competente Soprintendenza al di fuori del modulo della conferenza di servizi, non era di per sé in grado di costituire automatico presupposto del danno invocato, il quale restava oggetto di necessaria specificazione e prova. Infatti, lungi dal contestare nella sostanza l’esito del procedimento, il vizio accolto – di carattere eminentemente procedimentale – imponeva il riavvio della procedura dal momento in cui era intervenuto il dato reputato illegittimo dal Tar con l’esame da parte delle amministrazioni competenti al fine di giungere all’esito della pratica. Né quest’ultimo poteva ritenersi vincolato alla luce delle limitate statuizioni contenute in sentenza, rese nei più ristretti ambiti derivanti dall’assorbimento delle restanti censure. La mancata riproposizione in appello di queste ultime non consente il necessario relativo approfondimento; né l’odierna parte appellante risulta aver attivato il percorso della tutela esecutiva, in sede di ottemperanza, dinanzi al giudice che ha accolto l’originario ricorso in parte qua.

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