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9. Secondo l’art. 4 della stessa, in particolare, gli interventi volti ad eliminare le barriere architettoniche previsti dall’art. 2 della legge, ovvero quelli volti a migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate nel senso descritto, si possono effettuare anche su beni sottoposti a vincolo come beni culturali, e la relativa autorizzazione, come previsto dal comma 4, “può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato”, precisandosi al comma 5 che “Il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l’opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall’interessato”.
Si tratta di un onere di motivazione particolarmente intenso, poiché l’interesse alla protezione della persona svantaggiata può soccombere di fronte alla tutela del patrimonio artistico solo in casi eccezionali: così C.d.S. sez. VI 12 febbraio 2014 n. 682, 28 dicembre 2015 n. 5845 e 7 marzo 2016 n. 705, quest’ultima relativa ad un caso del tutto simile al presente, in cui si è ritenuto illegittimo il diniego di autorizzazione ad installare un ascensore in un palazzo sito nella stesa zona di quello per cui è causa, osservando che mancava un serio pregiudizio, trattandosi di impianto non visibile dalla pubblica strada.
10. Applicando i principi appena ricostruiti al caso di specie, il diniego va annullato, dato che la sua motivazione non tiene conto della circostanza, non contestata in causa, per cui la ricorrente appellante incidentale era ultrasettantenne già all’epoca della domanda, e quindi poteva con ogni verosimiglianza beneficiare della disciplina di favore di cui all’art. 4 commi 4 e 5 della l. 13/1989. L’annullamento, lo si ricorda per chiarezza, riguarda il provvedimento indicato in dispositivo, e non la nota 30 agosto 2012 prot. n. 13952 di preavviso del diniego, che è pacificamente atto endoprocedimentale non autonomamente lesivo.
L’amministrazione, nel riesaminare la pratica, dovrà allora tenere conto delle circostanze suindicate, ovvero della situazione personale dell’istante e della conseguente applicabilità delle norme della l. 13/1989 di cui si è detto.
11. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano così come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 4443/2013 R.G.), accoglie l’appello principale, accoglie l’appello incidentale e per l’effetto accoglie il ricorso e annulla, ai sensi di cui in motivazione, la nota 17 ottobre 2012 prot. n. 16292 del Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici per il Comune di Roma.
Condanna l’amministrazione intimata appellante a rifondere alla ricorrente appellata le spese dell’intero giudizio, spese che liquida in ? 5.000 (cinquemila/00) complessivi, oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8 d.lgs. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
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