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In sede di verifica del possesso dei requisiti è emersa l’erroneità della dichiarazione negativa resa con riguardo alla posizione del socio di maggioranza, che aveva invece riportato in data 9 aprile 1974 una condanna (da parte della Corte di Appello di Salerno) per il delitto di falsità materiale in atti pubblici, con beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione, non risultante peraltro dal casellario giudiziale acquisito ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 313 del 2002.
La revoca dell’aggiudicazione è motivata in ragione della violazione dell’obbligo di dichiarazione di cui all’art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, di per sé causa di esclusione incidente sulla moralità professionale.
Con il ricorso di primo grado la Le. Broker ha censurato la revoca dell’aggiudicazione deducendo che la dichiarazione relativa all’assenza di condanna penale del socio di maggioranza è dipesa dalla mancata menzione della stessa nel certificato del casellario giudiziale; in ogni caso la stazione appaltante avrebbe dovuto attivare il procedimento di sanatoria in considerazione del fatto che si tratta di una sentenza di condannarisalente a circa 36 anni prima dell’indizione del procedimento di gara.
2. – La sentenza qui appellata ha respinto il ricorso nell’assunto che i concorrenti ad una gara di appalto devono attestare con apposita autodichiarazione, oltre alla mancanza delle sentenze di condanna indicate nel certificato del casellario giudiziale, anche l’assenza degli altri provvedimenti giudiziali non riportati ai sensi dell’art. 689, comma 2, Cod. proc. pen., per i quali non è stata ottenuta la riabilitazione.
3. – L’appello critica le sentenze deducendone l’erroneità sotto plurimi profili, che verranno di seguito esaminati.
4. – Si è costituito in resistenza il Comune di Potenza eccependo l’inammissibilità dei motivi quarto, quinto e sesto, e comunque l’infondatezza nel merito dell’appello.
5. – All’udienza pubblica del 13 aprile 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.- Con il primo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente anche al settimo in ragione della loro reciproca complementarietà, la società appellante deduce l’illegittimità dell’esclusione dalla gara disposta con riguardo ad una dichiarazione sostitutiva riguardante il fatto del terzo, e cioè la condanna penale a carico del socio di maggioranza, soggetto diverso rispetto al dichiarante, senza tenere conto dei limiti propri dell’atto notorio, enucleati dall’art. 47 del d.P.R. n. 445 del 2000.
I motivi sono infondati.
Si desume dall’art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, in tema di requisiti di ordine generale, che il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva redatta in conformità del d.P.R. n. 445 del 2000, «in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione». La dichiarazione, in relazione a quanto stabilito dal comma 1, lett. c), dello stesso art. 38 deve riguardare, oltre al legale rappresentante, anche il socio di maggioranza. Ed infatti è causa di esclusione dalla partecipazione alla procedura di gara la situazione del soggetto nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, tra l’altro, per reati gravi che incidono sulla moralità professionale, nei confronti del legale rappresentante o del socio di maggioranza.
Per giurisprudenza costante, nel caso di omessa dichiarazione di condanne penali riportate dal concorrente è legittimo il provvedimento di esclusione ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, non sussistendo in capo alla stazione appaltante l’ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione, conseguendo il provvedimento espulsivo all’omissione della prescritta dichiarazione, che invece deve essere resa completa ai fini dell’attestazione del possesso dei requisiti di ordine generale e deve contenere tutte le sentenze di condannasubite, a prescindere dalla gravità del reato e dalla sua connessione con il requisito della moralità professionale, la cui valutazione compete esclusivamente alla stazione appaltante.
Tale soluzione trova ulteriore conferma sul piano del diritto positivo nell’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, in forza del quale la non veridicità della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la decadenza dai benefici conseguiti, senza che tale disposizione lasci alcun margine di discrezionalità all’Amministrazione.
Ciò significa che la norma esclude ogni valutazione circa il dolo o la colpa grave del dichiarante, facendo leva sul principio di autoresponsabilità (Cons. Stato, V, 3 febbraio 2016, n. 404).
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