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La controversia in esame, come precisa anche la sentenza impugnata, trae origine da una procedura di infrazione comunitaria avviata dalla Commissione UE contro l’Italia nel 2003, per inadempienze alle direttive in tema di gestione dei rifiuti e delle discariche.
In particolare, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con due sentenze (26 aprile 2007 n. C-135/05 e 2 dicembre 2014 n. C-196/13), ha:
– dapprima accolto il ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione ed accertato che la Repubblica Italiana è venuta meno in modo generale e persistente agli obblighi previsti dalla normativa europea in tema di rifiuti;
– successivamente, ha condannato la Repubblica Italiana al pagamento di una sanzione pecuniaria, attesa la perdurante esistenza di 198 discariche non ancora bonificate, di cui 14 contenenti rifiuti pericolosi, localizzate in 18 delle 20 regioni italiane.
Al fine di dare attuazione agli obblighi comunitari e dare attuazione alle sentenze indicate, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con atto del 21 dicembre 2015, ha avviato l’iter procedimentale previsto per l’esercizio del potere sostitutivo straordinario, di cui all’art. 120, co. 2, Cost. ed ha diffidato gli enti sub-statali a bonificare le discariche abusive situate nei rispettivi territori, ai sensi degli artt. 8, l. n. 131/2003 e 250 d.lgs. n. 250/2006.
Questo atto è stato impugnato, con separati ricorsi, dalla Regione Veneto e dai Comuni di Venezia, (omissis) e (omissis) e su di essi, previa riunione, ha pronunciato la sentenza impugnata, concludendo per la loro inammissibilità.
Secondo la sentenza “l’interesse azionato dagli enti sub-statali ricorrenti difetta dei requisiti di attualità e concretezza, essendo stato impugnato un atto endoprocedimentale, che non produce in via immediata e diretta effetti pregiudizievoli per i destinatari”.
Ciò in quanto:
– “la diffida impugnata non arreca una lesione definitiva e irreversibile alla sfera giuridica degli enti ricorrenti ed è, dunque, priva di autonoma e immediata efficacia lesiva”;
– essa, in base all’art. 8 l. n. 131/2003, “ha un contenuto ancora interlocutorio, limitandosi a prefigurare l’esercizio di un potere sostitutivo, che in concreto tuttavia potrebbe non essere esercitato dal Governo, in esito all’audizione dell’organo dell’ente locale interessato e del Presidente della Regione”;
– del resto, il potere sostitutivo “ha natura eccezionale e facoltativa; è un potere e non un dovere di intervento”, di modo che “la nomina del Commissario, in funzione surrogatoria, è rimessa a valutazioni di opportunità del Governo e non costituisce lo sbocco ineludibile della procedura”.
La Regione Veneto – precisato che i ricorsi proposti innanzi al TAR Veneto sono sette, relativi ad altrettante diffide per un numero corrispondente di siti, e che la sentenza di tali ricorsi ha deciso solo quello relativo al sito Malcontenta in Comune di Venezia – ha proposto il seguente motivo di appello:
error in iudicando; ammissibilità del ricorso di I grado; violazione art. 100 c.p.c.; illogicità e contraddittorietà della motivazione; poiché, nel caso di specie “l’atto impugnato, nonostante il nome, non è una diffida ma un vero e proprio provvedimento, più precisamente un comando”, poiché “solo con la diffida impugnata i soggetti obbligati a realizzare l’intervento sono divenute le amministrazioni territoriali, mentre il proprietario nell’atto non è neppure citato” (laddove detto proprietario – società Sy. – era destinatario di un decreto del Ministero dell’ambiente 10 novembre 2008 che lo individuava come obbligato alla bonifica). In definitiva, è da escludere che l’atto impugnato costituisca una mera diffida, “poiché con tale provvedimento si sposta l’obbligo ad intervenire di due livelli: dal proprietario al Comune di Venezia e dal Comune di Venezia fino alla Regione (in sostituzione del Comune)”.
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