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In definitiva, per le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto.
3.1. All’accoglimento dell’appello dell’amministrazione consegue la necessità di esaminare i motivi di ricorso dichiarati assorbiti dalla sentenza impugnata e riproposti dal dott. Ca. nel presente grado di giudizio con memoria del 16 dicembre 2015 (pagg. 7 – 14).
3.2. Quanto al primo motivo riproposto – con il quale si lamenta la composizione della sottocommissione nella seduta del 13 aprile 2015, dove, applicandosi il principio di fungibilità tra commissari titolari e supplenti, a prescindere dalla categoria di provenienza, si sarebbe verificata una presenza “sproporzionata” di avvocati – occorre osservare che la giurisprudenza di questa Sezione ha chiarito i termini di ultrattività dell’art. 22, co. 3 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, e, quindi, il principio della piena fungibilità fra membri effettivi e membri supplenti delle commissioni dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, con la possibilità di sostituzione di ciascun componente da parte di altro componente, senza alcun riguardo alla qualifica professionale dagli stessi posseduta, posto che gli stessi non sono portatori di interessi settoriali, ma concorrono al raggiungimento del preminente interesse pubblico alla più sollecita definizione della procedura abilitativa (Cons. Stato, sez. IV, 21 aprile 2017 n. 1873; Sez. IV, 8 febbraio 2017, n. 558; Sez. IV, 21 ottobre 2016, n. 4406 e 5 agosto 2005, n. 4165).
Né è fondato sostenere che, con riguardo alla predetta composizione della III sottocommissione presso la Corte di Appello di Firenze, si realizzerebbe – per effetto dell’art. 22 R.D. n. 1578/1933 e del principio di fungibilità dei componenti della Commissione – una violazione dei principi comunitari di concorrenza.
Come ha chiarito la stessa Corte di Giustizia delle Comunità Europee (sez. II, ord. 17 febbraio 2005 n. C-250/2003, Ma., citata anche dalla parte appellata):
“31. anche a voler ritenere che gli avvocati, in quanto membri delle commissioni degli esami di Stato, possano essere qualificati come imprese ai sensi degli artt. 81 CE e 82 CE, non risulta che… lo Stato abbia tolto alla propria normativa attinente all’accesso alla professione forense il suo carattere statale delegando ad avvocati la responsabilità di prendere decisioni in ordine all’accesso alla loro professione”, anzi “il controllo esercitato dallo Stato in ogni fase dell’esame… consente, pertanto, di concludere che esso non ha delegato l’esercizio del proprio potere ad operatori privati”…;
“45. Tale partecipazione (degli avvocati alle Commissioni esaminatrici: ndr) risponde infatti ad un motivo imperativo di interesse generale, vale a dire la necessità di valutare al meglio le attitudini e le capacità dei soggetti chiamati ad esercitare la professione forense”.
3.3. Anche il secondo motivo riproposto – con il quale si lamenta la violazione della regola dell’anonimato e quindi dell’art. 97 Cost., con riferimento all’imparzialità dell’amministrazione, per effetto del previo inserimento degli elaborati delle prove scritte in un’unica busta cui è assegnato un numero – è infondato.
Come è noto, l’art. 22, co. 4, R.D. 22 gennaio 1034 n. 37 prevede:
“4. Nel giorno immediatamente successivo all’ultima prova e nell’ora indicata dal presidente, la commissione in seduta plenaria, alla presenza di almeno di cinque candidati designati dal presidente e tempestivamente avvertiti, constata l’integrità dei sigilli e delle firme, apre i pacchi contenenti le buste con i lavori, raggruppa le tre buste aventi sui rispettivi tagliandi lo stesso numero e, dopo aver staccato i tagliandi, le chiude in un’unica busta più grande, nella quale viene apposto un numero progressivo soltanto quando é ultimata l’operazione di raggruppamento per tutte le buste con i lavori, avendo cura di rimescolare le buste stesse prima di apporvi il predetto numero progressivo”.
Questo Consiglio di Stato (sez. IV, 8 febbraio 2017 n. 558), ha già avuto modo di affermare che:
“una volta acclarato l’avvenuto rimescolamento anche presso una sola Corte d’appello, il vizio denunciato dal privato, anche se accertato, degrada comunque a semplice irregolarità non viziante, perché sarebbe comunque fatta salva l’esigenza sostanziale di garanzia dell’assoluto anonimato dei candidati, neppure potenzialmente suscettibile di essere messa in pericolo dall’omissione dell’operazione nella diversa sede”.
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