Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 13 novembre 2017, n. 5191. Ai fini della verifica di legittimità dei verbali di correzione e dei conseguenti giudizi

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Inoltre, la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sez. III, 21 dicembre 2011 n. 482, causa C-482/10), con riferimento all’obbligo di motivazione degli atti amministrativi, ha affermato:
“20. Nel caso di specie (legge n. 241/1990, n. d.r.), è pacifico che la controversia di cui alla causa principale verte su disposizioni di diritto nazionale che si applicano in un contesto puramente nazionale e di cui sono controverse nella causa principale segnatamente quelle relative alla motivazione dei provvedimenti amministrativi”;
“25… la legge n. 241/1990, all’art. 1, rinvia in modo generale ai “principi dell’ordinamento comunitario”, e non specificamente agli artt. 296, secondo comma, TFUE e 41, n. 2, lett. c), della Carta, a cui si riferiscono le questioni pregiudiziali od ancora ad altre disposizioni del diritto dell’Unione inerenti l’obbligo di motivazione dei provvedimenti.
26 In queste circostanze non si può considerare che le disposizioni interessate dalle questioni proposte, in quanto tali, siano state rese applicabili in modo diretto dal diritto italiano.
27 Del pari, non si può ritenere, in tali circostanze, che il rinvio al diritto dell’Unione per disciplinare situazioni puramente interne sia, nel caso di specie, incondizionato, sicché le disposizioni interessate dalle questioni proposte sarebbero applicabili senza limiti alla fattispecie di cui alla causa principale.
28 A tal proposito, occorre rilevare che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, non ha affatto affermato che tale rinvio comporta la conseguenza di escludere l’applicazione delle norme nazionali relative all’obbligo di motivazione, in favore degli artt. 296, secondo comma, TFUE e 41, n. 2, lett. c), della Carta, i quali sono diretti, peraltro, alla luce della loro formulazione, non già agli Stati membri, bensì unicamente alle istituzioni ed agli organi dell’Unione, o ancora di altre disposizioni del diritto dell’Unione relative all’obbligo di motivazione, anche allorquando venga in considerazione una situazione puramente interna, sì da trattare in modo identico le situazioni puramente interne e quelle disciplinate dal diritto dell’Unione.
29 Di conseguenza, né la decisione di rinvio, né la legge n. 241/1990 apportano indicazioni sufficientemente precise dalle quali potrebbe dedursi che, richiamandosi, all’art. 1 della legge n. 241/1990, ai principi del diritto dell’Unione, il legislatore nazionale abbia inteso, con riferimento all’obbligo di motivazione, realizzare un rinvio al contenuto delle disposizioni degli artt. 296, secondo comma, TFUE e 41, n. 2, lett. c), della Carta o ancora ad altre disposizioni del diritto dell’Unione inerenti all’obbligo di motivazione dei provvedimenti, al fine di applicare un trattamento identico alle situazioni interne e a quelle disciplinate dal diritto dell’Unione. Non si può dunque concludere che, nel caso di specie, sussista un interesse certo dell’Unione a che sia preservata l’uniformità di interpretazione di dette disposizioni”.
4.4. Quanto alla questione relativa alla compatibilità con la disciplina dell’Unione Europea dell’art. 22, co. 5, r.d. 27 novembre 1933 n. 1578 – in disparte ogni considerazione in ordine alla omessa indicazione delle norme del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea che risulterebbero specificamente violate – giova richiamare quanto affermato dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea con la già citata ordinanza sez. II, 17 febbraio 2005 n. 250/03 (innanzi succintamente riportata), essendo appena il caso di sottolineare ancora:
a) che la Corte (punto 31) dubita della possibilità di ritenere che “gli avvocati, in quanto membri della commissione per gli esami di Stato, possano essere qualificati come imprese ai sensi degli artt. 81 CE e 82 CE”, con conseguente applicazione dei principi a tutela della concorrenza;
b) che, anche a volere ciò concedere, non risulta alla Corte (punto 31) che “lo Stato abbia tolto alla propria normativa attinente all’accesso alla professione forense il suo carattere statale delegando ad avvocati la responsabilità di prendere decisioni in ordine all’accesso alla loro professione”, anzi (punto 36) “il controllo esercitato dallo Stato in ogni fase dell’esame oggetto della causa principale consente, pertanto, di concludere che esso non ha delegato l’esercizio del proprio potere a operatori privati;
c) infine che, secondo la Corte (punto 45) la partecipazione degli avvocati alle commissioni di esame di abilitazione “risponde ad un motivo imperativo di interesse generale, vale a dire la necessità di valutare al meglio le attitudini e le capacità dei soggetti chiamati ad esercitare la professione forense. Essa è atta a garantire la realizzazione di tale obiettivo, nel senso che gli avvocati possiedono un’esperienza professionale che li rende particolarmente idonei a valutare i candidati rispetto alle esigenze specifiche della loro professione.
5. Per tutte le considerazioni esposte, l’appello del Ministero della Giustizia deve essere accolto, mentre devono essere rigettati i motivi riproposti dall’appellato con memoria del 16 dicembre 2015.
Da ciò consegue che, in riforma della sentenza impugnata, deve essere rigettato il ricorso instaurativo del giudizio di I grado.
In considerazione della novità delle questioni e delle oscillazioni giurisprudenziali sottese al gravame in trattazione, il Collegio, ex artt. 26, co. 1, c.p.a. e 92, co. 2, c.p.c., compensa le spese di ambedue i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta),
definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Ministero della Giustizia (n. 10672/2015 r.g.):
a) accoglie l’appello;
b) rigetta i motivi riproposti dalla parte appellata;
c) per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso instaurativo del giudizio di I grado;
d) dichiara integralmente compensate le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere

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