Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 13 novembre 2017, n. 5191. Ai fini della verifica di legittimità dei verbali di correzione e dei conseguenti giudizi

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Orbene – a prescindere dal rilievo che parte appellata ha specificato il motivo riproposto solo con le memorie del 16 aprile e 2 maggio 2017, introducendo, quindi, una specificazione circostanziata del motivo non ammissibile in grado di appello – occorre osservare che:
– in primo luogo, il testo dell’art. 22, co. 4, non depone in senso univoco per poter affermare che il numero deve essere inserito nella busta e non apposto sulla medesima, posto che da un lato si afferma che le buste con i lavori sono chiuse “in un’unica busta più grande nella quale viene apposto un numero progressivo” (il che fa propendere per l’inserimento); dall’altro si afferma (subito dopo nel testo) che, a tal fine, la commissione deve procedere all’indicazione del numero dopo aver ultimato l’operazione di raggruppamento “per tutte le buste con i lavori, avendo cura di rimescolare le buste stesse prima di apporvi il predetto numero progressivo” (il che fa propendere per l’apposizione esterna);
– in secondo luogo, l’aspetto censurato dalla parte è comunque irrilevante ai fini della garanzia dell’anonimato, poiché ciò che in concreto rende non riferibile la busta “finale” al candidato è l’operazione di rimescolamento di tutte le buste “finali”, nelle quali sono state inserite le singole buste, previo distacco dei tagliandi (questi sì) identificativi, prima dell’attribuzione di un numero (inserito all’interno o apposto all’esterno che sia). E l’identità del candidato risulterà solo dopo che, a procedura ultimata, si aprirà la busta piccola, prevista dal comma 2 e contenente il suo nome.
Per le ragioni esposte, anche questo motivo riproposto deve essere rigettato, stante la sua infondatezza.
4.1. Il Collegio non ritiene di sollevare le questioni pregiudiziali innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, così come indicate e richiesto dalla parte appellata, stante la loro manifesta infondatezza.
4.2. In sostanza, l’appellato chiede (pagg. 15-20 memoria del 16 dicembre 2015) che vengano sottoposti al vaglio della Corte di Giustizia:
– gli articoli 17-bis, co. 2,, 23, co. 5, 24, co. 1, r.d. n. 37/1934; l’art. 49 l. 31 dicembre 2012 n. 247 “solo per quel che riguarda il differimento del disposto dell’art. 46, co. 5”, prospettando la violazione dell’art. 41 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea. In sostanza, si lamenta l’inadeguatezza del giudizio mediante espressione di voto in termini numerici ad adempiere all’onere di motivazione degli atti amministrativi;
– l’art. 22, co. 5, r.d. 27 novembre 1933 n. 1578, al fine di verificarne la compatibilità con “le norme del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea anche, nell’interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sanciscono la tutela del principio di concorrenza e di non discriminazione”.
4.3. Innanzi tutto, quanto alle problematiche inerenti alla motivazione degli atti amministrativi (e, più in generale, al procedimento volto all’abilitazione forense) giova ricordare che la Corte costituzionale, con sentenza 8 giugno 2011, n. 175 – avente ad oggetto proprio la problematica del giudizio sulle prove di esame espresso con voto numerico – ha chiarito (considerando n. 3.2) che “la disciplina degli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense non rientra nel campo di applicazione del diritto comunitario.”, per cui l’entrata in vigore, dall’1 dicembre 2009, del Trattato di Lisbona, ratificato con l. n. 130 del 2008, recante l’espressa equiparazione della Carta di Nizza al “valore giuridico dei Trattati” (art. 6 c. 1 Trattato UE), e che ha elevato l’obbligo di motivazione a principio comunitario, quale parte integrante del “diritto ad una buona amministrazione” garantito dall’art. 41 comma 2 della suddetta Carta non spiega refluenza nella presente controversia” (nello stesso senso, del resto, si era orientata in precedenza la giurisprudenza di questa Sezione, cfr. 10 aprile 2008, n. 1564, secondo cui è “?pacifico che la disciplina degli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense non attiene certo alla attuazione del diritto comunitario”).

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