Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 24 gennaio 2019, n. 2050.
La massima estrapolata:
Nell’ambito dell’universo condominiale, la realizzazione di una opera, rientrante nella categoria giuridica delle innovazioni, che implicherebbe una notevole alterazione della entità sostanziale e della destinazione originaria della cosa comune – come, ad esempio, un ascensore – può scatenare interrogativi riguardanti la necessità o meno della maggioranza dei condomini per ottenere il permesso alla sua realizzazione.
Ordinanza 24 gennaio 2019, n. 2050
Data udienza 11 ottobre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10746/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS) e rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS) per procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS) e rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS) per procura speciale a margine del controricorso;
nonche’
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS) e rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS) per procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 4229/2013 della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI, depositata il 2/12/2013;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO nell’adunanza camerale non partecipata dell’11/10/2018;
lette le conclusioni depositate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica, Dott. TRONCONE Fulvio, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS), con ricorso depositato in data 13/3/2006, dopo aver premesso di essere una delle due condomine del condominio di Napoli, (OMISSIS), ha impugnato la delibera con la quale, in data 23/2/2006, l’assemblea del predetto condominio ha approvato, a maggioranza semplice, il progetto di realizzazione dell’impianto di ascensore, chiedendone l’annullamento sul rilievo che, al contrario, la delibera doveva essere adottata con la maggioranza qualificata di cui all’articolo 1136 c.c., ed all’articolo 3 del regolamento condominiale e che il progetto approvato dalla delibera aveva previsto la riduzione della larghezza delle scale sotto il limite di legge di 120 cm.
Nella iniziale contumacia del condominio, (OMISSIS), l’altra condomina, ha spiegato intervento volontario in giudizio, chiedendo il rigetto dell’impugnativa e formulando autonoma domanda nei confronti dell’attrice con la richiesta che la stessa fosse dichiarata obbligata all’installazione dell’ascensore ai sensi dell’accordo di cui all’allegato B dell’atto di divisione per notaio (OMISSIS) del 23/12/1988. Si e’, quindi, costituito il condominio, il quale si e’ riportato alle difese dell’interventrice. L’interventrice ed il condominio hanno sostenuto che non era necessario il rispetto della maggioranza invocata dalla ricorrente in quanto l’installazione dell’ascensore costituiva l’esecuzione di un impegno negoziale gia’ assunto dalle originarie ed uniche proprietarie del fabbricato in data 23/12/1988, contestualmente all’atto con il quale le stesse avevano sciolto la comunione tra loro sulle varie unita’ immobiliari costituenti il condominio. Inoltre, trattandosi di un’opera volta al superamento delle barriere architettoniche, poteva essere approvata con la maggioranza semplice di cui alla L. n. 13 del 1989, articolo 2.
La ricorrente, dal suo canto, ha eccepito, relativamente alla domanda della (OMISSIS), l’esistenza nella scrittura privata invocata dalla controparte di una clausola compromissoria.
Il tribunale di Napoli, con sentenza dell’8/9/2008, ha accolto l’impugnativa ed ha, per l’effetto, annullato la delibera assembleare del 23/2/2006, dichiarando, per contro, improponibile la domanda proposta dall’interventrice (OMISSIS).
Il tribunale, in particolare, dopo aver dato atto che (OMISSIS) e (OMISSIS) con l’allegato B dell’atto di divisione del 23/12/1988 si erano accordate per l’installazione della ascensore, cedendo o destinando in proprieta’ comune parti di proprieta’ esclusiva e creando servitu’ sulle rispettive proprieta’ individuali proprio al fine di garantire la realizzazione dell’impianto, ha ritenuto che tale accordo fosse vincolante anche nei confronti della ricorrente quale avente causa dalla prima condividente: solo che, per effetto del rinvio contenuto nell’accordo in questione all’articolo 3 del regolamento condominiale, parimenti allegato all’atto di citazione, il quale prevedeva il quorum per le innovazioni ai sensi dell’articolo 6, lettera B del medesimo regolamento, ha ritenuto che fosse necessaria la maggioranza dei due terzi dei millesimi richiesta, anche in caso di condominio minimo, dall’articolo 1136 c.c., comma 5. La delibera impugnata, in quanto adottata con una maggioranza inferiore rispetto a quella richiesta in base alla volonta’ contrattuale delle parti e dalla stessa legge, doveva essere, quindi, annullata.
Il tribunale, inoltre, ha ritenuto che il progetto approvato dall’assemblea veniva a determinare la riduzione della larghezza della cassa scale, in violazione dei limiti fissati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 236 del 1989, attuativo della L. n. 13 del 1989, per cui non era possibile beneficiare della maggioranza semplice prevista dalla predetta legge quando l’installazione dell’ascensore veniva a determinare la difformita’ della struttura ad altri importanti standard normativamente previsti a tutela dei soggetti portatori di handicap.
Quanto, infine, alla domanda proposta dall’interventrice, volta ad ottenere l’accertamento degli obblighi scaturenti dalla scrittura privata del 23/12/1988, il tribunale ha ritenuto che l’esame della medesima fosse impedito dalla presenza nella medesima scrittura di una clausola compromissoria ed ha, quindi, deciso per la sua improponibilita’.
(OMISSIS), con citazione notificata il 13.16/3/2009, ha proposto appello avverso tale sentenza chiedendo, in riforma della stessa, il rigetto dell’opposizione proposta nonche’ l’accoglimento delle domande riconvenzionali avanzate nel corso del giudizio di primo grado.
Il condominio, dal suo canto, ha proposto appello incidentale, aderendo all’appello proposto dall’ (OMISSIS) e concludendo, quindi, per la riforma della sentenza appellata ed il conseguente rigetto dell’impugnativa proposta.
(OMISSIS), invece, ha eccepito l’inammissibilita’ ovvero l’improponibilita’ dell’appello principale e dell’appello incidentale, concludendo, in ogni caso, per il rigetto nel merito delle impugnazioni proposte.
La corte d’appello di Napoli, con sentenza del 2/12/2013, in parziale accoglimento dell’appello principale e dell’appello incidentale, ha rigettato la domanda proposta dall’attrice al fine di ottenere la nullita’ o l’annullamento della delibera condominiale del 23/2/2006 ed ha confermato la declaratoria di improponibilita’ delle domande proposte dall’interventrice (OMISSIS) volte ad ottenere l’adempimento da parte dell’attrice degli obblighi derivanti dall’allegato B dell’atto di divisione per notaio (OMISSIS) del 23/12/1988.
La corte, in particolare, per quanto ancora rileva, dopo aver evidenziato che la (OMISSIS) era intervenuta nel giudizio di primo grado sia in qualita’ di condomina, al fine di sorreggere la posizione del condominio in contrasto con la domanda di annullamento proposta dall’altra condomina, sia per far valere l’adempimento di alcuni obblighi assunti dalla dante causa dell’appellata direttamente nei suoi confronti per effetto dell’allegato B dell’atto di divisione del 23/12/1988, ha ritenuto che la (OMISSIS), vantando una pretesa – oltre che per effetto della convenzione citata, anche quale condomina – ad ottenere l’installazione dell’impianto, fosse legittimata a proporre appello avverso la sentenza indipendentemente dalla coeva impugnazione da parte del condominio, specie se si considera che la delibera impugnata non era semplicemente strumentale alla gestione di un servizio comune ma investiva un interesse esclusivo della (OMISSIS) e, piu’ in generale, che la questione relativa alla legittimita’ dell’installazione di un impianto di ascensore incide sui diritti esclusivi dei singoli condomini. In ogni caso, ha aggiunto la corte, quand’anche volesse opinarsi nel senso dell’inammissibilita’ dell’appello principale, tale conseguenza non determinerebbe alcun effetto sull’appello incidentale proposto dal condominio, trattandosi di appello incidentale tempestivo, in quanto proposto nel rispetto del termine di costituzione di cui all’articolo 166 c.p.c., e, comunque, nel rispetto del termine di impugnazione di cui all’articolo 327 c.p.c., non essendo stata la sentenza appellata notificata ai fini della decorrenza del termine breve, con la conseguenza che l’eventuale inammissibilita’ dell’appello principale della (OMISSIS) non produrrebbe l’effetto di cui al secondo comma dell’articolo 334 c.p.c..
La corte d’appello, quindi, stabilita l’ammissibilita’ dell’appello principale della (OMISSIS) (e dichiarata l’infondatezza del primo motivo d’appello principale, con il quale l’interventrice aveva lamentato l’erronea declaratoria di improcedibilita’ delle domande dalla stessa proposte sul fondamento della scrittura privata integrativa dell’atto di divisione, in ragione della nullita’ della clausola compromissoria ivi contenuta che, configurando un arbitrato rituale, doveva essere approvata per iscritto ai sensi dell’articolo 1341 c.c., comma 2), ha ritenuto la fondatezza del secondo motivo ivi articolato (alle cui argomentazioni si e’ sostanzialmente uniformato l’appello incidentale del condominio), risultando evidente – alla luce di una interpretazione dichiaratamente sistematica delle previsioni contrattuali e delle differenti modalita’ di rinvio alle previsioni del regolamento e dello stesso allegato B – che l’articolo 5 dell’allegato B all’atto di divisione – con il quale le parti (e cioe’ la predetta appellante e la dante causa dell’appellata) hanno concordato di procedere all’installazione di un impianto di ascensore nel fabbricato, divenuto ormai condominiale per effetto della divisione – nella parte in cui rinvia all’articolo 3 senza ulteriore specificazione, ha in realta’ richiamato non gia’ il regolamento condominiale, come erroneamente ritenuto dal tribunale, ma l’articolo 3 dello stesso allegato: li’ dove le parti hanno chiarito che, con l’accordo concluso, venivano rimossi tutti gli ostacoli per la realizzazione dell’impianto di ascensore. Il collegamento tra le due previsioni del medesimo documento rende, quindi, palese, ha aggiunto la corte, il senso effettivo dell’articolo 5 in esame il quale, lungi dal prevedere la necessita’ di una ulteriore delibera di autorizzazione dell’opera da parte dell’assemblea, con le maggioranze previste per le innovazioni dal regolamento condominiale, ha inteso, piuttosto, ribadire che, in vista dell’installazione dell’ascensore, erano stati risolti tutti gli ostacoli, anche derivanti da eventuali pretese dei conduttori, posto che, in particolare, ognuna delle condividenti concedeva, ove necessario, diritto di servitu’ sui beni di sua proprieta’ esclusiva, ove necessari per permettere la messa in opera dell’impianto. Appare, per contro, del tutto irrazionale, ha osservato ancora la corte, che le parti, nel momento in cui hanno inteso costituire il condominio e risolvere in via prioritaria, anche con il sacrificio dei diritti di proprieta’ individuale, il problema dell’installazione dell’ascensore, abbiano, poi, pur a fronte di un impegno di tale portata, idoneo ad incidere sulla pienezza del diritto di proprieta’, subordinare la realizzazione dell’impianto ad una successiva delibera da prendere a maggioranza: delibera potenzialmente idonea, ove non fossero state rispettate le maggioranze regolamentari, a porre nel nulla la manifestazione di volonta’ precedentemente formatasi. L’installazione dell’ascensore, quindi, ha concluso la corte, non richiedeva un’ulteriore delibera da parte del condominio, il quale, piuttosto, era chiamato ad esprimersi non gia’ sull’an dell’opera ma al piu’ su questioni di carattere secondario, quali ad esempio l’individuazione del progetto piu’ conveniente o dell’impresa chiamata ad eseguire i lavori.
Infine, ha osservato la corte, il tenore degli impegni assunti con l’allegato B appare tale da escludere anche che nella realizzazione dell’impianto fosse necessario assecondare le disposizioni in tema di sicurezza ovvero di normativa antinfortunistica, avendo le parti con la costituzione della servitu’ e con l’irrevocabilita’ dell’impegno contrattualmente assunto, inteso implicitamente derogare anche a tale disciplina.
La corte, quindi, ha ritenuto che l’opposizione della (OMISSIS), in quanto tesa a contestare la legittimita’ della delibera impugnata essenzialmente per il profilo che attiene al rispetto dei quorum deliberativi in ordine alla decisione stessa di realizzare l’ascensore, senza quindi muovere alcuna critica in ordine alla progetto in concreto approvato, fosse destituita di fondamento: “ogni questione relativa al se della realizzazione dell’impianto era ormai definitivamente preclusa per effetto degli impegni assunti con l’allegato B, laddove all’assemblea era semplicemente devoluta la scelta delle modalita’ in concreto piu’ convenienti per la realizzazione dell’opera concordata”.
(OMISSIS), con ricorso notificato su richiesta dell’8/4/2014, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente notificata il 19/2/2014.
Con controricorso notificato il 29/5/2014 ha resistito il condominio.
Con controricorso notificato il 19 ed il 20/5/2014 ha resistito (OMISSIS).
Le parti hanno depositato memorie. La ricorrente ha depositato una memoria di replica al parere del pubblico ministero.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 105 c.p.c. e ss., in tema di intervento, ha censurato la sentenza gravata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver qualificato come autonomo e non dipendente l’intervento spiegato in giudizio da (OMISSIS), ha ritenuto che la stessa fosse legittimata a proporre appello avverso la sentenza con la quale il tribunale aveva annullato la delibera del condominio, laddove, in realta’, nel caso in cui si tratta di delibere relative alla gestione di un servizio comune, tese a soddisfare esigenze soltanto collettive della gestione stessa, la legittimazione all’impugnazione spetta esclusivamente all’amministratore del condominio, la cui acquiescenza esclude la possibilita’ di impugnazione da parte del singolo condomino. L’improponibilita’ dell’appello proposto dalla (OMISSIS) comporta, ha aggiunto la ricorrente, l’inefficacia, a norma dell’articolo 334 c.p.c., comma 2, dell’appello incidentale proposto dal condominio, a nulla rilevando il mancato decorso del termine per impugnare la sentenza di primo grado. E neppure, infine, ha concluso la ricorrente, rileva l’interesse della (OMISSIS) a tutelare il diritto nascente dalla scrittura contenuta nell’allegato B dell’atto di divisione, posto che tale diritto non viene esercitato in via autonoma ed individuale bensi’ all’interno di un’assemblea condominiale, la cui deliberazione e’ subordinata alle normative in tema di impugnazione e di eventuale appello.
2. Il motivo e’ infondato. Questa Corte, infatti, ha gia’ avuto modo di evidenziare che, essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalita’ distinta da quella dei suoi partecipanti, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa di diritti connessi alla detta partecipazione e, quindi, del potere di intervenire nel giudizio per il quale tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore e di avvalersi dei mezzi d’impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti dell’amministratore stesso che non l’abbia impugnata (Cass. n. 10717 del 2011; Cass. n. 16562 del 2015; Cass. n. 26557 del 2017), non potendosi dare seguito al diverso principio – affermato talvolta in alcune decisioni di legittimita’ (Cass. n. 19223 del 2011 e Cass. n. 21444 del 2010; nonche’, con maggior apporto argomentativo: Cass. n. 9213 del 2005) – che escluderebbe la legittimazione del singolo condomino in caso di inerzia dell’amministratore nelle ipotesi in cui si impugnino deliberazioni dell’assemblea che perseguano esclusivamente finalita’ di gestione di un servizio comune (ammesso che tale sia stato l’oggetto della delibera impugnata) in quanto non idonee ad incidere, se non in via mediata, sull’interesse esclusivo di uno o piu’ partecipanti. Occorre, per contro, osservare che appare privo di un appagante fondamento normativo la distinzione tra incidenza immediata oppure mediata sulla sfera patrimoniale del singolo, derivante dalla caducazione di una decisione sulla gestione della cosa comune, al fine di identificare, nell’inerzia del condominio, i soggetti legittimati alla relativa impugnativa (Cass. n. 16562 del 2015; Cass. n. 26557 del 2017). D’altra parte, se cosi’ non fosse, l’inammissibilita’ dell’appello principale della (OMISSIS) non avrebbe comunque potuto impedire alla corte d’appello di pronunciarsi, nel merito, sull’appello incidentale proposto (per la parte accolta, e cioe’ relativamente al secondo motivo, in termini dichiaratamente simili a quelli dell’appellante principale: v. la sentenza impugnata, p. 14) dal condominio: la corte, infatti, con statuizioni che la ricorrente non ha in alcun modo censurato, dopo aver accertato la tempestivita’ dell’appello incidentale del condominio, in quanto proposto nel rispetto tanto del termine di costituzione in giudizio di cui all’articolo 166 c.p.c. (come stabilito dall’articolo 343 c.p.c.), quanto del termine di impugnazione di cui all’articolo 327 c.p.c. (non essendo stata la sentenza appellata notificata ai fini della decorrenza del termine breve), ne ha correttamente ritenuto, ai sensi dell’articolo 334 c.p.c., comma 2, l’ammissibilita’. Le impugnazioni incidentali, infatti, possono essere proposte, in sede di gravame, con la comparsa di risposta tempestivamente depositata, purche’ risultino rispettati i termini previsti dagli articoli 325, 326 e 327 c.p.c., per cui un’impugnazione incidentale avanzata quando tali termini siano scaduti non potrebbe mai essere ritenuta “tempestiva”, anche se rispettosa del termine di cui all’articolo 343 c.p.c., laddove, al contrario, l’inammissibilita’ dell’appello principale non priva di efficacia l’appello incidentale che sia stato proposto (oltre che tempestivamente ai sensi dell’articolo 343 c.p.c. anche) nei termini per impugnare previsti dagli articoli 325, 326 e 327 c.p.c. (Cass. n. 20963 del 2018).
3. Con il secondo motivo, la ricorrente, dopo aver premesso che la delibera impugnata ha approvato l’installazione dell’ascensore in ragione dell’accordo sul punto contenuto nell’allegato B dell’atto di divisione e sottoscritto tra (OMISSIS), dante causa della ricorrente, e (OMISSIS), interventrice nel giudizio di opposizione alla predetta delibera, vale a dire un atto non condominiale, ma privatistico, ha lamentato la violazione e la falsa applicazione della inscindibilita’ del vincolo tra l’allegato B dell’atto di divisione e la delibera assembleare, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur affermando di non essere competente a decidere sull’interpretazione e/o l’applicazione dell’allegato B, per essere le relative controversie di competenza di un collegio arbitrale, e pur confermando, quindi, l’inopponibilita’ alla ricorrente di quanto ivi pattuito, ha nondimeno ritenuto che la delibera assunta dall’assemblea fosse valida proprio perche’ fondata sulla volonta’ espressa dalle sottoscrittrici nel predetto allegato, incorrendo nell’errore, per un verso, di ritenersi incompetente a decidere su un atto e, per altro verso, di ritenere tale atto produttivo di effetti e vincolante tra le parti, dichiarando la delibera conforme alla legge. Del resto, ha aggiunto la ricorrente, una delibera dell’assemblea condominiale non puo’ imporre la volonta’ contenuta in una scrittura privata, costituendo sulla proprieta’ privata della (OMISSIS) una servitu’, in favore del condominio, per la realizzazione dell’ascensore, in violazione delle norme in tema di delibere assembleari, che non possono disporre dei diritti di proprieta’ di ciascun condominio. Inoltre, ha concluso la ricorrente, l’assemblea condominiale ha deciso di installare l’ascensore a seguito di una votazione nella quale si fa espresso riferimento all’allegato B, dimostrando, in tal modo, di ritenere che tale allegato fosse una manifestazione di volonta’ comunque da confermare secondo le disposizioni del regolamento condominiale, di cui l’allegato stesso e’ parte integrante, ed e’ certo piu’ appropriato sul piano logico il richiamo all’articolo del regolamento che tratta la materia delle innovazioni rispetto ad uno che, nell’allegato B, richiama la tematica degli eventuali conduttori.
4. Con il terzo motivo, la ricorrente, invocando la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1120 e 1136 c.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’installazione dell’ascensore era gia’ stata decisa nella scrittura di cui allegato B e che, pertanto, la deliberazione dell’assemblea aveva ad oggetto solo la scelta dell’impianto e le modalita’ di realizzazione dell’opera, laddove, al contrario, una volta che l’assemblea condominiale sia stata chiamata a decidere di installare l’impianto di ascensore, deve necessariamente assumere le relative decisioni nel rispetto dell’articolo 1136 c.c., comma 5, ossia con le maggioranze dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell’edificio.
5. Il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente in ragione della loro intrinseca connessone, sono infondati. Il tribunale, infatti, dopo aver dato atto che, a mezzo dell’allegato B dell’atto di divisione del 23/12/1988, (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano accordate per l’installazione della ascensore, cedendo in proprieta’ comune parti di proprieta’ esclusiva e creando servitu’ sulle rispettive proprieta’ individuali proprio al fine di garantire la realizzazione dell’impianto, ha ritenuto, con statuizione rimasta inoppugnata, che tale accordo fosse vincolante anche nei confronti della ricorrente quale avente causa dalla prima condividente (v. la sentenza impugnata, p. 5). La corte d’appello, a sua volta, non ha smentito – ad onta di quanto ha ripetutamente affermato la ricorrente – tale conclusione, limitandosi, in realta’, ad affermare l’improponibilita’ della domanda di adempimento personalmente proposta dalla (OMISSIS) sul fondamento della predetta scrittura, in ragione della competenza arbitrale sul punto (e senza alcun effetto sulla sua competenza a decidere, invece, della validita’ della delibera assembleare impugnata):
non anche che tale accordo e’ inopponibile all’appellata. La scrittura in esame, del resto, in ragione del momento della sua stipulazione (e cioe’ la divisione, che ha dato luogo al condominio), delle parti che vi hanno partecipato (e cioe’ le uniche proprietarie degli immobili appartenenti al condominio) e del suo contenuto, come sopra descritto, assume senz’altro, come la stessa ricorrente ha ammesso (v. il ricorso, p. 12 e 13), la natura di parte integrante del regolamento condominiale, ad essa (o alla divisione) del resto allegato (v. il ricorso, p. 12 e il controricorso, p. 2), sia pure, tenuto conto dei limiti che impone ai diritti dei condomini sulle proprieta’ esclusive o comuni, a carattere contrattuale (Cass. SU n. 943 del 1999). Cio’ comporta, innanzitutto, che la decisione di installare l’impianto di ascensore, in quanto contenuta nel regolamento condominiale (convenzionalmente stipulato da tutti i condomini allora esistenti), non costituisce, come pretende la ricorrente, un mero accordo tra privati che non ha effetti nei confronti del condominio se non alla condizione e nella misura in cui sia tradotto in corrispondenti delibere assembleari da adottare secondo le regole generali: si tratta, piuttosto, di un atto direttamente imputabile sul piano giuridico al condominio come tale. I vincoli ivi imposti alla destinazione delle proprieta’ esclusive, inoltre, in quanto parimenti contenuti nel predetto regolamento di condominio convenzionale, sono giuridicamente opponibili, oltre che all’interventrice, anche alla ricorrente: e non solo uti singuli, e cioe’ quali contraenti o loro aventi causa (con l’obbligo, in ipotesi, di dare esecuzione agli impegni conseguentemente assunti nei confronti della controparte e di rispondere del relativo inadempimento a seguito di azioni riservate, appunto, alla competenza arbitrale: devoluta, appunto, come ricorda la sentenza impugnata, a p. 11, 13 e 14, ad ogni controversia attinente alla interpretazione o all’esecuzione della scrittura, comprese le pretese risarcitorie conseguenti all’inadempimento degli obblighi contrattualmente assunti con la predetta scrittura), ma anche e, per quanto rileva in questa sede, soprattutto in quanto condomini. L’assemblea condominiale, pertanto, a fronte della decisione gia’ assunta dal condominio di installare l’ascensore e dei conseguenti vincoli, gia’ efficaci nei confronti di tutti i singoli condomini coinvolti, era chiamata a decidere, come correttamente affermato dalla corte d’appello, non gia’ dell’an dell’impianto, ma solo delle relative modalita’ esecutive: e poteva, per l’effetto, legittimamente farlo con una delibera che, in quanto volta a pronunciarsi non sull’installazione o meno dell’impianto ma solo sul progetto tecnico e la relativa realizzazione, non richiedeva certo la maggioranza qualificata imposta per le innovazioni dall’articolo 1136 c.c., comma 5. Ne’, del resto, puo’ in senso contrario valere, come invece pretende la ricorrente (v. la memoria, p. 4), il rilievo per cui l’assemblea condominiale non poteva deliberare sul punto in ragione della competenza del collegio arbitrale a decidere, in caso di disaccordo tra le contraenti dell’allegato B, in merito al progetto da seguire per la realizzazione dell’opera. Il giudizio di merito, per come (incontestatamente) ricostruito nella sentenza della corte territoriale, non risulta aver investito tale questione: ed e’ noto che i motivi del ricorso per cassazione (tanto piu’ se articolati solo in memoria e senza che sia neppure riprodotta, almeno nei suoi passi essenziali, la relativa clausola contrattuale) non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimita’ (Cass. n. 16742 del 2005).
Pertanto, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 6542 del 2004), qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimita’, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa: cio’ che, nella specie, non risulta essere accaduto. Quanto, infine, alla censurata interpretazione del rinvio all’articolo 3 operato dall’allegato B, la Corte si limita ad osservare che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volonta’ delle parti in relazione al contenuto del negozio (pur quando si tratti di regolamento di condominio) si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimita’ nella sola ipotesi di vizio di motivazione ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli articoli 1362 ss c.c. (Cass. n. 17893 del 2009; Cass. n. 1406 del 2007), con la conseguenza che, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimita’ (Cass. 27136 del 2017): cio’ che, nel caso in esame, non e’ accaduto. Del resto, per sottrarsi al sindacato di legittimita’, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni, sicche’, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 27136 del 2017).
6. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica (rectius: D.M.) n. 286 (rectius: 236) del 1989, in tema di sicurezza, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che le parti, con la costituzione delle servitu’, avrebbero derogato alle disposizioni in tema di sicurezza, come quelle relative alla misura delle scale, laddove, al contrario, tali norme sono imperative e non possono, quindi, essere violate da una scrittura privata.
7. Il motivo e’ infondato. Le “specifiche” previste dal Decreto Ministeriale 14 giugno 1989, n. 236, articolo 8, (e, precisamente, per quel che riguarda l’ampiezza delle scale, dal punto 8.1.10, nella parte in cui e’ stabilito che le rampe di scale che costituiscono parte comune devono avere una larghezza minima di 1,20 m.) non sono, in realta’, inderogabili: se non altro perche’, come stabilito dall’articolo 7 dello stesso Decreto Ministeriale (e con salvezza degli adempimenti amministrativi ivi prescritti e delle relative eccezioni), il progetto puo’ prevedere “soluzioni alternative alle specificazioni e alle soluzioni tecniche, purche’ rispondano alle esigenze sottintese dai criteri di progettazione”. La corte d’appello, quindi, nella parte in cui ha ritenuto che, in ragione degli impegni assunti con l’allegato B, le parti avevano inteso implicitamente derogare a tale disciplina, ha fatto corretta applicazione delle relative norme e non merita, quindi, le censure svolte dalla ricorrente.
8. Il ricorso deve’essere, quindi, rigettato.
9. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
10. La Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte cosi’ provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida, per ciascuno di essi, in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; da’ atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.
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