Le clausole limitative della responsabilità

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 14 maggio 2019, n. 12710

La massima estrapolata:

Nel contratto sono clausole limitative della responsabilità (e necessitano dunque di specifica approvazione preventiva per iscritto) quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre riguardano l’oggetto del contratto quelle relative ai limiti e al contenuto della garanzia assicurativa e specificano il rischio garantito. Nel caso esaminato il rischio era il “mancato freddo” nel trasporto di campioni biologici.

Ordinanza 14 maggio 2019, n. 12707

Data udienza 11 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 6700-2017 proposto da:
(OMISSIS) SRL IN FALLIMENTO, in persona del Curatore Fallimentare Dott. (OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 936/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 06/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/10/2018 dal Consigliere Dott. Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

1. La societa’ (OMISSIS) S.r.l. in fallimento (d’ora in poi, “(OMISSIS)”) ricorre, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 936/16, del 6 dicembre 2016, della Corte di Appello di Cagliari, che accogliendo il gravame esperito da (OMISSIS) S.p.a. (d’ora in poi, ” (OMISSIS)”) contro l’ordinanza ex articolo 702-quater c.p.c. pronunciata dal Tribunale di Cagliari il 28 luglio 2014 – ha rigettato la domanda proposta dall’odierna ricorrente per il pagamento dell’indennizzo assicurativo richiesto in forza di polizza sottoscritta il 25 gennaio 2007.
2. Riferisce, in punto di fatto, la ricorrente di aver intrapreso, nell’anno 2000, un progetto per la costituzione di una bio-banca genetica, nella quale (con la tecnica della crioconservazione a – 180 di temperatura) venivano conservati i campioni biologici raccolti nel corso dell’attivita’.
Allo scopo di garantirsi dal rischio della perdita del materiale raccolto e conservato, stante il grande valore scientifico ed economico dello stesso, (OMISSIS) riferisce di aver sottoscritto un’assicurazione con la societa’ (OMISSIS), poi divenuta (OMISSIS). In particolare, all’esito di visita di un ispettore della societa’ assicuratrice, veniva stipulata la polizza denominata “PMI Sicura Incendio”, per un valore complessivo assicurato delle “merci” concordemente stimato in Euro 1.110,000,00.
Riferisce, altresi’, (OMISSIS) che, in data 17 agosto 2011, un’imprevista interruzione del funzionamento del sistema di crioconservazione causava la totale distruzione del materiale biologico conservato. Denunciato il sinistro in data 19 agosto 2011, (OMISSIS) si vedeva, pero’, opporre il rifiuto della compagnia a corrispondere l’indennizzo, adducendo la stessa trattarsi di un sinistro da “mancato freddo”, estraneo alla polizza in oggetto.
Radicato il giudizio innanzi al Tribunale di Cagliari, peraltro all’esito di un procedimento per accertamento tecnico preventivo, il giudice di prime cure accoglieva la domanda di condanna della societa’ convenuta al pagamento dell’indennizzo assicurativo. Veniva, infatti, respinta l’eccezione sollevata da (OMISSIS) e secondo cui la polizza non opererebbe nel caso di specie, in forza dell’articolo 3 dalle condizioni generali di contratto, intitolato “Esclusioni”. Esso, infatti, secondo la convenuta, la esonerava dal pagamento dell’indennizzo dai danni subiti dalle merci in refrigerazione “per effetto di mancata o anormale produzione o distribuzione del freddo o del caldo, conservazione in atmosfera controllata, fuoriuscita del fluido friogeno”.
Il primo giudice, tuttavia, riteneva infondati gli assunti difensivi, in particolare affermando che la clausola di esclusione doveva ritenersi “nulla e inefficace”, in quanto, a ragionare diversamente, “si opererebbe una (inammissibile) neutralizzazione del rischio a esclusivo vantaggio dell’assicurazione, di talche’ la polizza assicurativa (non tutelando l’assicurato contro lo specifico pregiudizio per il quale aveva ritenuto di sottoscrivere i contratto e quindi privando lo stesso della concreta funzione economico-sociale), finirebbe le con l’essere priva di causa”.
Esperito gravame dalla societa’ (OMISSIS), lo stesso – previa rinnovazione della CTU – veniva accolto dalla Corte cagliaritana, sul rilievo che la condotta di (OMISSIS) avesse integrato, nella specie, “gli estremi della colpa grave”.
In particolare, si sottolineava come la medesima avesse “omesso di verificare per diversi giorni di seguito lo stato di conservazione del materiale biologico”, nonche’ “di predisporre a protezione della integrita’ dei campioni genetici un semplice sistema di allarme”, sicche’, nella specie, ricorrerebbero “le condizioni di fatto e di diritto per applicare la disciplina prevista dall’articolo 1900 c.c.”.
3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), sulla base di sei motivi.
3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – si deduce nullita’ della sentenza impugnata per violazione degli articoli 112 e 342 c.p.c., ovvero per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del principio devolutivo.
Si assume, infatti, che la Corte cagliaritana avrebbe accolto l’appello per motivi diversi da quelli formulati da (OMISSIS), la quale aveva ribadito l’operativita’, nel presente caso, della clausola di limitazione della responsabilita’ prevista dall’articolo 3 delle condizioni generali di contratto, ovvero dedotto, in alternativa, la nullita’ dell’intero contratto ex articolo 1419 c.c., per violazione dell’articolo 1895 c.c..
Osserva, infatti, al riguardo, la ricorrente che, se e’ consentito al giudice di appello fornire una qualificazione e interpretazione della domanda differente da quella proposta dalle parti in causa, al medesimo resta, invece, in ogni caso preclusa la possibilita’ di fondare tale interpretazione sulla base di presupposti di fatto diversi da quelli dedotti dalle parti. Detta evenienza si sarebbe verificata nel presente caso, dal momento che il giudice d’appello ha dato rilievo ad un preteso obbligo pattizio, a carico di (OMISSIS), di applicare ai macchinari di crioconservazione imprecisati congegni che escludessero danni da sovratensione dell’apparato elettrico, su tali basi fondando l’affermazione relativa alla ricorrenza di una sua colpa grave.
3.2. Il secondo motivo – proposto sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – ipotizza nullita’ del procedimento e della sentenza impugnata per violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c., in particolare deducendo che il giudice di appello avrebbe dato corso ad una consulenza tecnica d’ufficio “esplorativa”, volta ad introdurre ufficiosamente elementi di fatto mai dedotti dalla compagnia assicuratrice.
Essendo stata, infatti, formulata dal consulente tecnico nominato dal Tribunale l’ipotesi che “la causa piu’ probabile dell’anomalia riscontrata” nel funzionamento del sistema di crioconservazione fosse costituita dalla “presenza di disturbi sulla linea elettrica di presunta origine esterna”, il giudice di appello, nel rinnovare l’incombente, formulava due quesiti. In particolare, veniva richiesto all’ausiliario di stabilire cosa sarebbe accaduto se il gruppo elettrogeno (destinato ad operare nel caso di interruzione della erogazione dell’energia elettrica) fosse stato posizionato non a “monte”, ma a “valle” del quadro generale, nonche’, piu’ in generale, accertare in “quale modo si sarebbe potuto proteggere l’impianto dall’inconveniente verificatosi”.
Cio’ premesso, si evidenzia che se risulta certamente ammissibile, in determinate materie, il ricorso ad una consulenza di natura cosiddetta “percipiente”, cio’ non toglie che attraverso di essa non e’ possibile supplire all’onere probatorio che incombe alle parti, non potendo esse, in questo modo, sottrarsi al suo adempimento.
E’ quanto si sarebbe verificato, invece, nel caso di specie, avendo la Corte territoriale incaricato il consulente di individuare elementi di fatto idonei a suffragare l’ipotesi di una colpa di (OMISSIS), con cio’ il giudice sostituendosi integralmente alla difesa di parte appellante.
Ricorrerebbe, dunque, una grave violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nonche’ dello stesso principio dispositivo e, in definitiva, del principio del contraddittorio, essendosi, nella specie, realizzato un indebito ampliamento del “thema decidendum”.
3.3. Il terzo motivo – formulato, nuovamente, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – ipotizza nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 116 c.p.c., per essersi il secondo giudice discostato, senza addurre alcuna motivazione, dalle conclusioni rassegnate dal consulente tecnico d’ufficio.
Si contesta al giudice di appello di avere disatteso completamente le conclusioni raggiunte dal consulente in relazione ad entrambi i quesiti demandatigli.
L’ausiliario, infatti, escludeva, per un verso, la possibilita’ di installare “a valle” il gruppo elettrogeno, affermando, inoltre, su un piano piu’ generale, che nessun gruppo soccorritore si sarebbe rivelato idoneo, nella specie, ad evitare il danno.
La sentenza impugnata, pertanto sarebbe affetta da nullita’, avendo contravvenuto al principio secondo cui, qualora il giudice si discosti dalle conclusioni del consulente, ha l’onere di motivare specificamente le ragioni del proprio dissenso.
3.4. Con il quarto motivo si deduce – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli articoli 1362, 1363, 1369 e 1370 c.c., nonche’ dell’articolo 1342 c.c..
Si censura la sentenza impugnata per aver dato preminenza, nella interpretazione del contratto, alla clausola di “esclusione” di cui all’articolo 3, violando, cosi’, diversi canoni dell’ermeneutica contrattuale.
Innanzitutto, nell’affermare l’operativita’ di siffatta clausola anche rispetto ai sinistri da “mancato freddo”, la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare circostanze indicative della volonta’ comune delle parti, in tal modo violando l’articolo 1362 c.c.; in particolare, essa avrebbe negato adeguato rilievo al fatto che i beni assicurati fossero campioni biogenetici sottoposti a crioconservazione, di talche’ il rischio dal quale le parti intendevano preservarli non poteva che essere proprio quello della distruzione da alterazione di temperatura. Inoltre, non in linea con la ricostruzione della comune volonta’ delle parti sarebbe l’interpretazione – fatta propria dalla sentenza impugnata – che ricollega l’assenza di garanzia per la mancata o anormale erogazione del freddo a problematiche connesse alla fornitura dell’energia elettrica, e cio’ sul rilievo che “i danni da fenomeno elettrico sono compresi in garanzia”, ma solo a condizione – a norma dell’articolo 5, paragrafo 6, del contratto – che i macchinari assicurati siano “protetti contro le sovratensioni con i sistemi di protezione indicati dalla casa costruttrice”. Orbene, secondo la ricorrente, il riferimento a tale clausola sarebbe del tutto inconferente, giacche’ essa concerne i danni da fenomeni elettrici cagionati “ai macchinari assicurati”, mentre nella specie la polizza aveva ad oggetto non macchinari, bensi’ “merci prodotti finiti in n. 2 contenitori refrigeranti”. In questo modo, sarebbe stato nuovamente violato il canone ermeneutico di cui all’articolo 1362 c.c., risultando improprio il richiamo ad una clausola avente ad oggetto l’assicurazione di macchinari quando il bene assicurato, per converso, era espressamente qualificato come “merce”.
D’altra parte, optando per questa interpretazione, che trascura la natura dei prodotti assicurati, la sentenza impugnata avrebbe violato anche il canone ermeneutico di cui all’articolo 1363 c.c., avendo la Corte cagliaritana mancato di raffrontare la clausola di esclusione della garanzia alle ulteriori clausole e alle pattuizioni speciali, oggetto di specifica contrattazione, violando cosi’ il criterio che impone di valutare le clausole contrattuali le une per mezzo delle altre.
Infine, la Corte territoriale avrebbe pure violato i canoni dell’interpretazione secondo buona fede e in funzione conservativa, giacche’ entrambi imponevano una lettura restrittiva della clausola di esclusione di cui all’articolo 3 delle condizioni generali di contratto, specie considerando che i danni da mancato freddo sono esclusi solo se conseguenti, in tutto in parte, alle specifiche cause indicate nei tre punti successivi del testo dell’articolo in questione, ovvero: a) alterazione, perdita dell’uso e della funzionalita’, totali o parziali, di dati e di ogni altro sistema di elaborazione basato su microchip o logica integrata; b) utilizzo di “internet” o reti similari, reti “internet” o altra rete privata o similare; c) trasmissione elettronica di dato altre informazioni, compresa quella a/da siti “web” o similari.
Orbene, a fronte delle possibili molteplici letture, determinate dalla formulazione prolissa e confusa della clausola in questione, il giudice di appello avrebbe dovuto applicare il canone ermeneutico di cui all’articolo 1370 c.c., e cioe’ quello dell’interpretazione “contra stipulatorem”.
3.5. Il quinto motivo ipotizza – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – nullita’ della sentenza per violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ dell’articolo 2967 c.c.-
Si censura la sentenza impugnata laddove, nell’escludere che la polizza assicurativa coprisse anche il rischio da “mancato freddo”, ha fatto riferimento al ridottissimo premio assicurativo corrisposto da (OMISSIS), individuandolo in meno di Euro 1.000,00 per anno, a fronte di una garanzia di oltre un milione.
Tuttavia, siffatta circostanza – assume il ricorrente – non risulta essere mai stata provata da (OMISSIS), la quale avrebbe dovuto chiedere, sul punto, almeno lo svolgimento di CTU.
Di qui, pertanto, la dedotta violazione delle norme di diritto suddette.
3.6. Infine, il sesto motivo ipotizza – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione dell’articolo 1341 c.c..
La sentenza impugnata e’ censurata in quanto la Corte di Appello non avrebbe considerato che la clausola di cui all’articolo 3 del contratto di assicurazione, nella misura in cui esclude “tout court” il rischio garantito, doveva considerarsi vessatoria, e come tale necessitante una specifica approvazione per iscritto.
4. Ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione (OMISSIS), chiedendone la declaratoria di inammissibilita’ ovvero, in subordine, di infondatezza.
In particolare, l’inammissibilita’ del ricorso andrebbe affermata ai sensi dell’articolo 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1), non avendo (OMISSIS) neppure indicato quali siano stati, nella specie, i principi della giurisprudenza di questa Corte disattesi dalla sentenza impugnata.
Nel merito, si osserva come la pronuncia della Corte cagliaritana sia del tutto correttamente motivata, escludendosi la sussistenza dei denunciati “errores in procedendo”.
Per mero scrupolo difensivo si ribadisce anche in questa sede la tesi, gia’ sostenuta nel giudizio di merito, in ordine alla eventuale nullita’ dell’intero contratto, ove fosse ritenuta fondata la proposta impugnazione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il ricorso va rigettato.
5.1. Il primo motivo non e’ fondato.
5.1.1. Al riguardo, deve muoversi dalla constatazione che, ai sensi dell’articolo 342 c.p.c., “il giudizio di appello, pur limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati, sicche’ non viola il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” il giudice di secondo grado che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali, pero’, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel “thema decidendum” del giudizio” (“ex multis”, Cass. Sez. Lav., sent. 3 aprile 2017, n. 8604, Rv. 643897-01).
Siffatta evenienza ricorre nel caso di specie, giacche’ la Corte di Appello e’ pervenuta alla conclusione di ritenere operante la “clausola di esclusione” (questione oggetto di specifico motivo di gravame proposto dall’appellante) in forza di una lettura che ha posto la stessa in correlazione con l’articolo 5, paragrafo 6, del contratto. Lo conferma, del resto, la circostanza che siffatta lettura congiunta e’ censurata da (OMISSIS) con il suo quarto motivo di ricorso.
5.2. Il secondo motivo e’ inammissibile.
5.2.1. Lo stesso, di fatto, si risolve nella contestazione del potere discrezionale spettante al giudice di formulare i quesiti che reputi piu’ idonei all’espletamento dell’indagine tecnica demandata al proprio ausiliario, sicche’ trova applicazione il principio secondo cui “la delimitazione dell’oggetto della consulenza tecnica e la formulazione dei quesiti compiute dal giudice di merito, non sono censurabili in sede di legittimita’” (Cass. Sez. 3, sent. 24 maggio 1972, n. 1630, Rv. 358453-01).
In ogni caso, il motivo e’ inammissibile anche sotto un diverso profilo, ovvero per non avere il ricorrente riferito – omissione che assume rilievo ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6) se e quando la formulazione del quesito sia stata contestata, informazione indispensabile, considerato che “le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicche’ sono soggette al termine di preclusione di cui all’articolo 157 c.p.c., comma 2, dovendo, pertanto, dedursi – a pena di decadenza – nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 3 agosto 2017, n. 19427, Rv. 645178-03).
5.3. Il terzo motivo e’, nuovamente, inammissibile.
5.3.1. Premesso, invero, che lo stesso contraddice quello che immediatamente lo precede (giacche’ il ricorrente censura la Corte territoriale, dapprima, in relazione all’oggetto della disposta consulenza, e, poi, per averne disatteso gli esiti), deve osservarsi che astrattamente corretta appare la sua formulazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
E’ stato, infatti, affermato – di recente – da questa Corte che il “mancato esame delle risultanze della CTU integra un vizio della sentenza che puo’ essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), risolvendosi nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti” (Cass. Sez. 3, sent. 31 maggio 2018, n. 13770, Rv. 649151-01; nello stesso anche Cass. Sez. 3, sent. 29 maggio 2018, n. 13399, Rv. 649039-01). Nondimeno, trattandosi pur sempre di un’omissione concernente la disamina di un documento, trova applicazione il principio secondo cui solo nel caso in cui “il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento”, di talche’ “la denuncia in sede di legittimita’ deve contenere, a pena di inammissibilita’, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa” (Cass. Sez. 3, ord. 26 giugno 2018, n. 16812, Rv. 649421-01).
Nella specie la condizione non e’ stata soddisfatta, e con essa l’altra – pure richiesta a pena di inammissibilita’ – di indicare il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale (cfr., Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8054, Rv. 629831-01; in senso conforme, tra le piu’ recenti, Cass. Sez. 3, sent. 11 aprile 2017, n. 9253, Rv. 643845-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017, n. 19987, Rv. 645359-01).
5.4. Il quarto motivo non e’ fondato.
5.4.1. In relazione ad esso, infatti, occorre muovere dalla premessa secondo cui “la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non puo’ limitarsi a richiamare le regole di cui agli articoli 1362 c.c. e ss., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiche’ quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicche’, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (“ex multis”, Cass. Sez. 3, sent. 28 novembre 2017, n. 28319, Rv. 646649-01).
Cio’ detto, deve qui ribadirsi che secondo il costante indirizzo di questa Corte e’ da ravvisare violazione dell’articolo 1363 c.c. (che e’ la norma in relazione alla quale risulta meglio circostanziata la censura della ricorrente di violazione delle regole di ermeneutica contrattuale), allorche’ il giudice, nella interpretazione del contratto, abbia ad “arrestarsi ad una considerazione “atomistica” delle singole clausole”, da escludersi anche “quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del “senso letterale delle parole”, poiche’ anche questo va necessariamente riferito all’intero testo della dichiarazione negoziale, onde le varie espressioni che in essa figurano vanno coordinate fra loro e ricondotte ad armonica unita’ e concordanza” (da ultimo, Cass. Sez 5, ord. 30 gennaio 2018, n. 2267, Rv. 649602-01).
Piu’ in particolare, si e’ precisato, che il criterio dell’interpretazione complessiva delle clausole contrattuali risulta disatteso sia “nell’ipotesi della loro omessa disamina”, sia “quando il giudice utilizza esclusivamente frammenti letterali della clausola da interpretare e ne fissa definitivamente il significato sulla base della sola lettura di questi, per poi esaminare “ex post” le altre clausole, onde ricondurle ad armonia con il senso dato aprioristicamente alla parte letterale, oppure espungerle ove con esso risultino inconciliabili” (Cass. Sez. 1, sent. 4 maggio 2001, n. 9755, Rv. 617805-01).
Da quanto precede consegue, quindi, l’infondatezza della censura, giacche’ l’addebito mosso a carico della sentenza impugnata non e’ formulato in questi termini, ma e’ quello di aver dato “preminenza” alla cd. “clausola di esclusione”, cio’ che, di per se’, non costituisce violazione dell’articolo 1363 c.c..
La Corte territoriale, per contro, ha fissato il significato della clausola non “atomisticamente”, bensi’ ponendola in correlazione con le altre contenute nel contratto, attribuendole – con apprezzamento non sindacabile in questa sede – il significato di clausola di delimitazione del rischio assicurato, e dunque dell’oggetto del contratto.
D’altra parte, che l’interpretazione proposta dalla Corte territoriale sia plausibile, che non sia in contrasto con la comune intenzione delle parti, ne’ contraddica le altre regole sull’interpretazione del contratto, e’ conclusione corroborata dal fatto che la polizza assicurativa “de qua” si intitola “PMI Sicura Incendio”, sicche’ anche a voler ritenere come sostenuto dalla sentenza impugnata – che essa non comprenda il rischio da “mancato freddo”, il contratto non rimarrebbe “privo di causa”, come ipotizza, invece, l’odierna ricorrente.
5.5. Il quinto motivo, a propria volta, e’ inammissibile.
5.5.1. Al netto, infatti, del rilievo che l’argomento utilizzato dalla sentenza impugnata, basato sul contenuto importo del premio assicurativo, ha avuto – nel ragionamento decisorio della Corte territoriale – carattere del tutto accessorio (visto che l’esclusione della garanzia assicurativa per il caso di “mancato freddo” e’ stata basata sulla gia’ ricordata lettura congiunta dell’articolo 3 e dell’articolo 5, paragrafo 6, del contratto), deve, sul punto, ribadirsi quanto segue.
Innanzitutto, che l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), ne’ in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4), – da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01).
Inoltre, che la “violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), e’ configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni” (cosi’, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 64903801); evenienza, quella appena indicata, che non risulta lamentata nel caso di specie.
5.6. Infine, il sesto motivo non e’ fondato.
5.6.1. Trova applicazione, infatti, il principio secondo cui “nel contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilita’, agli effetti dell’articolo 1341 c.c. (con conseguente necessita’ di specifica approvazione preventiva per iscritto), quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all’oggetto del contratto – e non sono, percio’, assoggettate al regime previsto dalla suddetta norma – le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, pertanto, specificano il rischio garantito” (Cass. Sez. 3, sent. 7 aprile 2010, n. Rv. 612447-01).
A queste ultime, appunto, e’ da ricondurre la clausola che escludeva dai rischi garantiti quello da “mancato freddo”.
6. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico di parte ricorrente e liquidate come da dispositivo.
7. Infine, a carico della parte ricorrente sussiste l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la societa’ (OMISSIS) S.r.l. in fallimento a rifondere, alla societa’ (OMISSIS) S.p.a., le spese del presente giudizio, che in Euro 13.200,00, piu’ Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

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