SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE V SENTENZA 29 gennaio 2015, n. 4349 Ritenuto in fatto 1. R.F. e M.R. , all’esito delle sentenze del Tribunale di Bologna del 10 gennaio 2012 e della Corte di Appello di Bologna del 22 maggio 2014, oggetto quest’ultima della odierna impugnazione, sono stati condannati per i reati di...
Categoria: Cassazione penale 2015
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 gennaio 2015, n. 2458. Un’associazione per delinquere ha carattere transnazionale quando nella stessa è "coinvolto" un gruppo criminale organizzato" e ricorre taluna delle ipotesi indicate nell'ultimo periodo dell'art. 3 l. 146/2006 (Fattispecie relativa all'accusa di frode fiscale internazionale ex art. 2 d.lg. n. 74/2000)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III SENTENZA 20 gennaio 2015, n. 2458 Ritenuto in fatto Con ordinanza del 19.6.2014 il Tribunale di Milano, pronunciando sulla richiesta di riesame avverso l’ordinanza emessa in data 19.5.2014 con la quale il GIP del Tribunale di Corno applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di C.S....
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 9 febbraio 2015, n. 5735. L'ambito di operatività dell'art. 659 cod. pen., con riferimento ad attività o mestieri rumorosi, deve essere individuato nel senso che, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione fissati secondo i criteri di cui alla legge 447/95, mediante impiego o esercizio delle sorgenti individuate dalla legge medesima, si configura il solo illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma 2 della legge quadro; quando, invece, la condotta si sia concretata nella violazione di disposizioni di legge o prescrizioni dell'autorità che regolano l'esercizio del mestiere o dell'attività, sarà applicabile la contravvenzione sanzionata dall'art. 659 comma 2 cod. pen., mentre, nel caso in cui l'attività ed il mestiere vengano svolti eccedendo dalle normali modalità di esercizio, ponendo così in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete, sarà configurabile la violazione sanzionata dall'art. 659, comma 1 cod. pen..
Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 9 febbraio 2015, n. 5735 Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto – Sezione Distaccata di Lipari, con sentenza emessa in data 3/10/2012, a seguito di giudizio abbreviato condizionato, conseguente ad opposizione a decreto penale di condanna, ha dichiarato G.D. responsabile del reato di...
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 gennaio 2015, n. 3231. Nel delitto di violenza sessuale è irrilevante che tra marito e moglie vi sia stata una abitualità di rapporti intimi nel corso della relazione matrimoniale, poiché ciascuno di essi deve essere caratterizzato da una convergenza di volontà e non può mai discendere dalla imposizione di una parte sull'altra in nome di una sorta di "abitudine" o di una pretesa al rapporto sessuale conseguente all'esistenza del rapporto di coniugio, il quale non degrada la persona di un coniuge a oggetto di possesso dell'altro. Inoltre, il reato sussiste anche laddove la vittima, per "rassegnazione", abbia finito per non opporsi alle avances sessuali del soggetto attivo, quando questi si sia mostrato del tutto indifferente alle iniziali manifestazioni di diniego
Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 23 gennaio 2015, n. 3231 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIALE Aldo – Presidente Dott. FRANCO Amedeo – Consigliere Dott. MULLIRI Guicla – rel. Consigliere Dott. ACETO Aldo – Consigliere Dott. GENTILI...
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 2 febbraio 2015, n. 4849. Il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato dalla condotta dell'agente che sottopone la moglie e i familiari ad atti di vessazione reiterata e tali da cagionare sofferenza, prevaricazione ed umiliazioni, in quanto costituenti fonti di uno stato di disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di esistenza Rilevano infatti, entro tale prospettiva, non soltanto le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce, le privazioni ed umiliazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa arrecati alla sua dignità, che si risolvano nell'inflizione di vere e proprie sofferenze morali
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE VI SENTENZA 2 febbraio 2015, n. 4849 Ritenuto in fatto Con sentenza emessa in data 4 aprile 2014 la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza dei 3 ottobre 2012 del G.u.p. presso il Tribunale di Palermo, che all’esito di giudizio abbreviato dichiarava Z. G. colpevole dei reato di...
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 gennaio 2015, n. 3417. La ritrattazione della persona offesa non costituisce tecnicamente una nuova prova idonea a giustificare l'accoglimento di un'istanza di revisione di una sentenza penale da parte del giudice. Tali dichiarazioni, infatti, hanno la natura di semplici elementi di prova non bastevoli da soli ad assumere valore probatorio
Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 26 gennaio 2015, n. 3417 REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIALE Aldo – Presidente Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere Dott. MENGONI...
Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 9 febbraio 2015, n. 5879. In tema di convalida dell'arresto, il giudice deve compiere una valutazione diretta a stabilire la sussistenza dei fumus commissi delicti, al fine di stabilire, ex post, se l'indagato sia stato privato della libertà personale in presenza della flagranza di uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 cod. proc. pen., dovendosi escludere che il controllo del giudice della convalida debba investire i gravi indizi di reità o la responsabilità per il reato addebitato, tali accertamenti essendo riservati alle successive fasi processuali. In particolare, il controllo sulla legittimità dell'operato della polizia va effettuato sulla base del criterio di ragionevolezza, ovvero dell'uso ragionevole dei potere discrezionale riservato alla polizia giudiziaria, e solo quando ravvisi un eccesso o un malgoverno di tale discrezionalità il giudice può negare la convalida, fornendo in proposito adeguata motivazione , senza sostituire ad un giudizio ragionevolmente fondato una propria differente valutazione. Con specifico riferimento all'ipotesi di arresto facoltativo, i presupposti della gravità del fatto e della pericolosità del soggetto non devono essere necessariamente presenti congiuntamente, essendo sufficiente che ricorra almeno uno dei due parametri. Né va dimenticato che, se da un canto la polizia giudiziaria è tenuta ad indicare le ragioni che l'hanno indotta ad esercitare il proprio potere di privare della libertà in relazione alla gravità del fatto o alla pericolosità dell'arrestato, dall'altro tale indicazione non deve necessariamente concretarsi nella redazione di una apposita motivazione del provvedimento, essendo sufficiente che tali ragioni emergano dal contesto descrittivo del verbale d'arresto o dagli atti complementari in modo da consentire al giudice della convalida di prenderne conoscenza e di sindacarle.
Suprema Corte di Cassazione sezione IV sentenza 9 febbraio 2015, n. 5879 Ritenuto in fatto 1. II Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri ricorre per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale non è stato convalidato l’arresto in flagranza di reato di C.F.. Va premesso che il C. era stato...
Corte di Cassazione, sezione VI, 10 febbraio 2015, n. 6101. In tema di delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, la frase "non rompermi i coglioni" e "non rompere le scatole a mia moglie" ha un evidente contenuto oltraggioso e lesivo dei prestigio dei pubblico ufficiale, cui è rivolta, anche se si tratta di espressione usata frequentemente, tanto più se rivolta da un detenuto ad una persona addetta alla sua sorveglianza, verso la quale egli ha il dovere di serbare un comportamento riguardoso; ancora, un'espressione intrinsecamente offensiva – quale, nella specie, "si tolga dalle scatole"-, anche se viene usata nel linguaggio comune, non perde il carattere di antigiuridicità quando è pronunciata in circostanze tali che, esulando dai limiti della critica o della protesta garbata, trasmodi in aperto vilipendio della persona destinataria e della pubblica amministrazione da essa rappresentata. Infine, per la sussistenza del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale non si richiede il dolo specifico essendo sufficiente la consapevolezza, nel soggetto attivo, dei significato oltraggioso delle parole usate. Tale consapevolezza è in re ipsa quando l'espressione, pur se entrata in uso corrente, non ha perso il suo significato di disprezzo dell'operato altrui (nella specie l'imputato aveva esclamato "a quest'ora mi avete rotto i coglioni, io debbo andare a casa").
Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 10 febbraio 2015, n. 6101 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 18.3.2014 – a seguito di richiesta di decreto penale formulata dal P.M. – il G.I.P. del Tribunale di Cagliari, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., ha assolto perché il fatto non costituisce reato Z. P.B....
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 5 febbraio 2015, n. 5620. Poiché il nuovo codice di procedura penale ha realizzato, in attuazione della direttiva n. 105 della legge-delega, la sostanziale equiparazione della difesa di ufficio a quella di fiducia, nel senso che anch'essa si caratterizza per l'immutabilità del difensore fino all'eventuale dispensa dall'incarico o all'avvenuta nomina fiduciaria, il diritto di impugnazione riservato in via autonoma al difensore, ai sensi dell'art. 571, comma terzo, cod. proc. pen., compete al difensore di ufficio
Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 5 febbraio 2015, n. 5620 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del Tribunale di Velletri del 2 aprile 2010, R.E. era condannata alla pena di euro 300,00, oltre al risarcimento dei danni cagionati alle pari civili, per i delitti di ingiuria e minaccia contestati al capo...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 4 febbraio 2015, n. 5171. Per motivo abietto si intende quello turpe, ignobile, che rivela nell'agente un grado tale di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità, nonché quello spregevole o vile, che provoca repulsione
Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 4 febbraio 2015, n. 5171 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 29/4/2014, la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia emessa il 19/11/2013 dal Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale della stessa città, con la quale U.F. era stato condannato alla pena di...