Corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio commesso prima della legge 190/2012

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 7 giugno 2018, n. 26025.

Sentenza 7 giugno 2018, n. 26025

Data udienza 7 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente

Dott. TRONCI Andrea – Consigliere

Dott. AGLIASTRO Mirella – Consigliere

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/02/2017 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LAURA SCALIA;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MOLINO Pietro, che ha concluso per per l’inammissibilita’ del ricorso del (OMISSIS) e per il rigetto del ricorso del (OMISSIS);
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di VELLETRI, quale sostituto processuale dell’avvocato (OMISSIS) del foro di VELLETRI in difesa di (OMISSIS), che insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso. E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di VELLETRI in difesa di (OMISSIS), che si riporta ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Velletri, con sentenza del 30 ottobre 2014, ha condannato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato, loro in concorso ascritto, di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio (articoli 110, 319 e 321 c.p., in relazione a fatti verificatisi ante L. n. 190 del 2012).
In ragione del ritenuto illecito sinallagma il (OMISSIS) amministratore della “(OMISSIS)”, societa’ cooperativa a responsabilita’ limitata, aggiudicataria di appalto nel 2009 con procedura di cottimo fiduciario, avente ad oggetto il servizio di assistenza sugli scuolabus del comune di Anzio e sui pulmini per il trasporto di disabili – forniva al (OMISSIS), assessore alle politiche sociali del medesimo comune, utilita’ consistenti: nell’attribuzione in uso esclusivo di un’autovettura; nell’assunzione della moglie presso la cooperativa (OMISSIS); nella somministrazione di personale delle proprie cooperative a struttura, adibita a casa di riposo per anziani, riconducibile al pubblico amministratore.
Per contro, il (OMISSIS), anche per il tramite di (OMISSIS), dirigente dell’assessorato, compiva atti contrari ai doveri di ufficio.
Tali erano ritenuti: l’affidamento al (OMISSIS) del servizio di assistenza sugli scuolabus del comune e dei pulmini per il trasporto di disabili, in assenza di contratto scritto, con violazione dell’articolo 11, comma 13, del Codice degli appalti ex L. n. 163 del 2006; la concessione di proroghe, con determinazioni a firma della (OMISSIS) – sebbene il contratto non esistesse – in un caso, ad intervenuta scadenza del servizio che, cessato nel gennaio 2011, riprendeva dal 2 febbraio 2011 e, nell’altro, dopo la successiva scadenza del giugno 2011, sine die, con conseguente violazione dell’articolo 11, comma 13, Codice degli appalti di cui al Decreto Legislativo n. 163 del 2006, che prevede la stipula per atto scritto, e della L. n. 62 del 2005, articolo 23, che consente una sola proroga e per un periodo pari alla meta’ dell’atto originario.
Alla illegittimita’ delle indicate vicende contrattuali si accompagnava l’irregolarita’ del DURC nella disponibilita’ della cooperativa affidataria del servizio e tanto per l’omesso versamento di contributi ai dipendenti, come previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, articolo 6, comma 2.
2. La Corte di appello di Roma con sentenza del 14 febbraio 2017, in parziale riforma di quella di primo grado, assolta (OMISSIS) dall’imputazione in concorso ascrittale, ha riqualificato le condotte contestate agli altri due imputati come corruzione per l’esercizio della funzione, nei termini di cui al novellato articolo 318 c.p. (e articolo 321, rispetto al corruttore), nella ritenuta esistenza di un asservimento della funzione del pubblico amministratore, il (OMISSIS), al privato imprenditore, il (OMISSIS), con conseguente rideterminazione delle pene inflitte.
3. Ricorrono in cassazione nell’interesse degli imputati i difensori di fiducia.
4. L’avvocato (OMISSIS), per (OMISSIS), articola quattro motivi di annullamento ed una premessa di carattere generale, riepilogativi delle vicende ante acta relative sia all’incidente de liberate che aveva preceduto la fase del giudizio di merito che agli esiti di primo e secondo grado del giudizio.
I proposti motivi vengono qui di seguito riportati nei termini di loro rilevanza all’interno del giudizio di legittimita’.
4.1. Con il primo motivo si solleva questione in ordine alla illegittimita’ dell’impugnata sentenza, denunciandosi l’erronea applicazione del dictum fissato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 436 del 26 febbraio 2013, adottata in giudizio, all’esito di incidente cautelare.
Il principio di diritto ivi affermato sul difetto dei gravi indizi di colpevolezza per mancata dimostrazione del nesso tra utilita’ conseguita ed atto da compiersi da parte del pubblico amministratore, sarebbe stato applicato alle sole posizioni dell’imputata (OMISSIS).
Quest’ultima, invero, era stata assolta dai giudici di appello nella premessa che, all’esito del sindacato condotto in via incidentale dalla Corte di cassazione, si sarebbe resa necessaria – anche dopo la caducazione dell’istituto della c.d. archiviazione coatta di cui all’articolo 405 c.p.p., comma 1 bis, giusta sentenza della Corte costituzionale n. 121 del 2009 – un’attenta valutazione degli elementi posti a base del giudizio di penale responsabilita’, elementi altrimenti non idonei, in difetto di un supporto probatorio ulteriore rispetto a quello scrutinato dai giudici di legittimita’, a sostenere l’esistenza del nesso tra utilita’ ed atto illegittimo integrativo del contestato reato.
Denunciando la totale identita’ della provvista indiziaria apprezzata nella fase cautelare rispetto a quella della fase di cognizione piena, celebrata nelle forme del giudizio immediato, peraltro introdotto prima ancora che la Corte di cassazione decidesse sulla cautela, la difesa richiama l’indirizzo di legittimita’ che vuole preclusa la riproposizione nel giudizio principale di questioni in rito gia’ decise in sede di legittimita’ nel giudizio de libertate.
4.2. La sentenza impugnata, nell’affermare la responsabilita’ dell’imputato per la fattispecie di cui all’articolo 318 c.p., avrebbe inoltre violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza.
La Corte di appello aveva ritenuto il (OMISSIS) “a libro paga” del privato imprenditore per condotte che, pur non identificandosi in modo certo in atti dell’amministrazione di appartenenza illegittimamente emanati, sarebbero comunque rientrate nella sfera di intervento ed influenza del pubblico amministratore e delle sue funzioni.
Sarebbe rimasto violato l’articolo 521 c.p.p., nella diversita’ del fatto ritenuto, definito per la identita’ naturalistica di condotta, evento ed elemento psicologico, rispetto a quello descritto nel decreto che disponeva il giudizio, in ragione di una condotta del tutto scollegata dall’esistenza di un atto contrario ai doveri di ufficio.
4.3. Con il terzo motivo si fa valere l’inosservanza dell’articolo 318 c.p., cui sarebbe pervenuta la Corte distrettuale nel fare applicazione della giurisprudenza formatasi prima della riforma del 2012 che voleva il mercimonio della funzione punito a norma dell’articolo 319 c.p., per una interpretazione estensiva dell’atto d’ufficio, da individuarsi avuto riguardo al solo genere degli atti da compiersi dal pubblico ufficiale purche’ rientranti nella sua competenza o sfera di intervento.
Le condotte di agevolazione non sarebbero state specificate e sarebbero risultate sfornite di reale contenuto e la Corte di merito non avrebbe tenuto in considerazione che l’imputato, assessore alle politiche sociali, non aveva alcuna competenza funzionale sulla procedura di gara, all’esito della quale il servizio di assistenza ai disabili era stato aggiudicato alla (OMISSIS) del (OMISSIS) per affidamento effettuato dal diverso assessorato alla pubblica istruzione.
4.4. La Corte di appello sarebbe inoltre incorsa in violazione di legge, in relazione all’applicazione dell’articolo 318 c.p., ed in vizio di motivazione per travisamento della prova, violazione dei principi di governo della stessa e della regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
L’assoluzione della (OMISSIS) avrebbe determinato una diversa ricostruzione del fatto rispetto all’ipotesi accusatoria, per la quale oggetto del mercimonio erano proprio gli atti di proroga del servizio affidato alla (OMISSIS), predisposti dalla (OMISSIS) in qualita’ di dirigente e, in parziale adeguamento al giudicato cautelare, si era apprezzata dai giudici di appello la mancata dimostrazione del nesso tra utilita’ percepita dal pubblico amministratore ed attivita’ della (OMISSIS), in difetto di alcun tipo di rapporto tra quest’ultima, il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) che sostenesse un interesse personale della prima alla vicenda corruttiva.
La Corte territoriale, nonostante il formale riconoscimento della necessita’ di una integrazione probatoria in ragione dell’insufficienza della provvista gia’ esaminata in sede cautelare dalla Corte di cassazione, che aveva negato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, era giunta a ritenere, nell’invarianza del quadro di prova esaminato, aveva ritenuto l’esistenza di un diretto collegamento e di un reciproco scambio di favori tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), in ragione dell’utilizzo di personale della cooperativa del privato all’interno della struttura assistenziale riferibile al (OMISSIS), a tal fine attribuendosi alle conversazioni captate, in data 29 marzo e 12 aprile 2012, contenuti inversi ai loro effettivi esiti.
Detti contenuti sarebbero stati travisati quanto alle pretese conseguite utilita’ e sarebbe rimasto non superato il giudizio di genericita’ gia’ espresso dalla Corte di cassazione nel rapporto tra dato probatorio e condotta assunta dal (OMISSIS) in occasione delle procedure di affido dell’appalto oggetto di accusa, in una malintesa ricomprensione nella competenza del primo, assessore alle politiche sociali, dell’affidamento del servizio di assistenza sugli scuolabus, invece gestito dal diverso assessorato alla pubblica istruzione.
La non necessita’ della individuazione specifica dell’atto di ufficio oggetto di accordo illecito, potendosi per lo stesso intendere anche il comportamento che concretizza la funzione assegnata alla competenza del singolo, non avrebbe consentito, in ogni caso, di prescindere dalla concreta individuazione e prova di un concreto atteggiamento diretto a vanificare la funzione demandata.
5. L’imputato (OMISSIS) propone personale ricorso per cassazione con il quale, con unico motivo, fa valere inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione agli articoli 318 e 319 c.p., ed all’articolo 2 c.p., comma 4.
La Corte di appello avrebbe condannato l’imputato, in ragione dell’adottato dispositivo, per entrambi i reati di cui agli articoli 318 e 319 c.p., dopo aver indicato in motivazione gli elementi di struttura delle due fattispecie: asservimento della funzione e relativa monetizzazione, per il compimento di un atto conforme ai doveri di ufficio per il novellato articolo 318 c.p.; pagamenti ricollegabili al compimento di uno o piu’ atti contrari ai doveri di ufficio, per l’ipotesi di cui all’articolo 319 cod. pen..
Sarebbe risultato in tal modo violato il principio di alternativita’ previsto dal legislatore nell’applicazione dell’una o dell’altra fattispecie e quello di retroattivita’ della legge piu’ favorevole nel tempo, nei rapporti tra le ipotesi di cui agli articoli 319 e 318 c.p..
Nel caso in cui l’asservimento della funzione del pubblico ufficiale non fosse sfociato in un atto contrario ai doveri di ufficio, avrebbe dovuto trovare applicazione la nuova formulazione dell’articolo 318 c.p., che elevando a fatto tipico uno dei tanti fenomeni della corruzione propria, prima ricompresi nell’articolo 319 c.p., sarebbe divenuta rispetto ai fatti ante riforma norma speciale, destinata a succedere a quella generale, essendo la pena comminata nel minimo edittale pari ad un anno anziche’ a due anni di reclusione.
Nell’ipotesi in cui l’asservimento avesse invece prodotto un atto contrario ai doveri di ufficio, il fatto sarebbe rimasto sotto il regime di cui all’articolo 319 c.p., restando punito, ove commesso prima dell’entrata in vigore della novella n. 190 del 2012, con la pena piu’ lieve prevista ante modifica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Nella disamina delle questioni introdotte dai proposti motivi deve scrutinarsi quella relativa alla riqualificazione della fattispecie corruttiva, che, contestata in rubrica nei termini di cui all’articolo 319 c.p., ante legge di riforma n. 190 del 2012, per condotte realizzate dagli imputati fino al febbraio del 2012, e’ stata dalla Corte di appello di Roma ritenuta nei termini di cui all’articolo 318 c.p., come novellato dalla legge n. 190 cit., per uno stimato asservimento, in ragione della contestata condotta, della funzione del pubblico amministratore agli interessi del privato.
L’indicata riqualificazione apre al sindacato di questa Corte la verifica sulla correttezza del costrutto osservato dai giudici di appello avuto riguardo sia al principio di applicabilita’ della legge penale nel tempo piu’ favorevole (articolo 2 c.p., comma 4) che a quello di corrispondenza tra imputazione contestata e sentenza (articoli 521 e 522 c.p.p.).
2. Vanno in sintesi ripercorsi i momenti del giudizio che hanno guidato la Corte territoriale nell’operata riqualificazione, al fine di comprenderne termini e contenuti.
I giudici di appello, ripercorse le vicende ante acta, muovono dall’intento di tenere conto dell’accertamento condotto dalla Corte di legittimita’ in sede di incidente de libertate.
Investita del riesame cautelare dalle difese del (OMISSIS) e del (OMISSIS), questa Corte con sentenza n. 23611 del 26 febbraio 2013 aveva ritenuto l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza della contestata fattispecie corruttiva di cui all’articolo 319 cod. pen. ante riforma, nei rapporti tra gli odierni imputati.
Era stata infatti considerata come “non adeguatamente spiegata” la rilevanza causale della condotta del terzo, (OMISSIS), dirigente del comune di Anzio, preposta al servizio scolastico – alla quale si dovevano le determinazioni di proroga del servizio di assistenza sugli scuolabus del comune per il trasporto di disabili contestati in rubrica (punti nn. 2 e 3 del capo A) -, rispetto all’accordo corruttivo contestato al pubblico amministratore nei rapporti con il privato, preteso corruttore.
Si era apprezzata altresi’ come apoditticamente affermata “la sussistenza della necessaria relazione di tipo finalistico tra la prospettata dazione di talune utilita’ e gli atti adottati dal pubblico ufficiale, quale elemento costitutivo dell’ipotizzata fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 319 c.p.” (p. 2, sentenza n. 23611 cit.).
3. La valutazione condotta dalla Corte di appello per l’impugnata sentenza muove dagli effetti che il giudicato cautelare sui gravi indizi di colpevolezza aveva assunto rispetto all’accertamento proprio del giudizio di merito.
Quel giudicato avrebbe comunque comportato la necessita’ di una integrazione probatoria rispetto alla piattaforma scrutinata dalla Corte di cassazione in sede cautelare o, comunque, una piu’ attenta valutazione degli elementi di prova posti a base del giudizio di penale responsabilita’ espresso dal giudice di primo grado.
4. Sull’indicata premessa, la Corte distrettuale ha, da una parte assolto la dirigente (OMISSIS) dal contestatole concorso nella corruzione, dopo aver negativamente scrutinato il rapporto di funzionalita’ necessaria delle determinazioni di proroga, di sua competenza, sull’intesa corruttiva, e dall’altra ritenuto di leggere comunque, negli elementi posti a fondamento del giudizio di primo grado, una rilevanza penale delle condotte del (OMISSIS) e del (OMISSIS) per una valorizzandosi dello scambio di favori tra privato e pubblico amministratore.
Nella ritenuta trama di reciproco vantaggio si sarebbe in tal modo inserito: da una parte, l’utilizzo da parte del (OMISSIS) di personale delle cooperative del (OMISSIS), di un’autovettura messa a sua disposizione ed il ruolo assunto all’interno della (OMISSIS) dalla moglie; dall’altra, la vicenda della regolarita’ contributiva della cooperativa (OMISSIS), affidataria del servizio di scuolabus, vicenda a cui aveva manifestato interesse il (OMISSIS).
5. La rivalutazione del quadro istruttorio all’esito dell’intervenuta assoluzione di colei che, la (OMISSIS), avrebbe assolto, secondo contestazione, al ruolo di necessaria congiunzione tra l’assessore (OMISSIS) ed il (OMISSIS), e quindi tra l’atto contrario ai doveri d’ufficio e la dazione delle utilita’, scardina l’originario costrutto e, attraverso la valorizzazione del residuo atteggiarsi dei rapporti tra privato imprenditore e pubblico amministratore, conduce i giudici di appello alla riqualificazione del fatto nei termini di cui alla fattispecie ex articolo 318 c.p., come novellata dalla L. n. 190 del 2012, articolo 1, comma 75, lettera f).
6. Per l’operata esegesi, l’atto illegittimo perde di significativa pregnanza, viene meno il nesso di sinallagmaticita’ tra il primo e le corrisposte utilita’, secondo lo schema proprio della corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio di cui all’articolo 319 c.p., e per una diversa declinazione del fenomeno corruttivo viene posto in evidenza il mercimonio della funzione, espressivo di una corruzione sistemica e di una permeabilita’ del pubblico amministratore alle richieste del privato, per un programmatico e reciproco scambio di favori destinato a porsi in rapporto di incompatibilita’ con la posizione di limpida terzieta’ al primo richiesta, in quanto pubblico ufficiale.
7. Ritiene il Collegio che l’operazione qualificatoria dei giudici di appello vada rimeditata per le ragioni ed i termini che seguono.
8. La’ dove la Corte di appello sottrae – ed il passaggio interpretativo e’ nevralgico rispetto ad ogni altra scelta poi operata in sentenza – il fatto scrutinato alla disciplina della “Corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio” di cui all’articolo 319 c.p., come declinata nella versione previgente alla riforma del 2012 e gia’ ritenuta, secondo imputazione, in primo grado per fatti realizzatisi fino all’aprile 2012, per approdare all’applicazione della nuova ipotesi di cui all’articolo 318 c.p., di “Corruzione per l’esercizio della funzione”, elevando a fatto tipico un fenomeno di corruzione propria in precedenza ricompreso nel previgente articolo 319 c.p., essa si espone ad una duplice censura: a) non individuando, nel susseguirsi delle norme di disciplina, la disposizione “piu’ favorevole”; b) operando una non consentita immutazione del fatto.
9. Con il primo individuato profilo viene in considerazione la L. n. 190 del 2012, e, per essa, in un’opera di ricognizione di contenuti e portata della norma, la nuova formulazione dell’articolo 318 c.p., nel suo ra3porto, in ragione del fenomeno della successione delle leggi penali nel tempo, con il previgente articolo 319 c.p..
Va indagato il diritto intertemporale segnato dall’avvicendarsi delle due descritte fattispecie.
9.1. La novellata disposizione si caratterizza per l’ampliamento dell’applicazione della fattispecie ivi descritta che include sia i fatti di corruzione riferiti ad atti conformi ai doveri di ufficio, rilevanti all’interno della cd. corruzione impropria di cui al previgente articolo 318 c.p., che gli accordi corruttivi piu’ genericamente riferiti all’esercizio della funzione e gia’ ricompresi, per diritto vivente, nell’articolo 319 c.p., in ragione di una estensiva interpretazione della norma.
Sull’indicata premessa, si tratta di verificare se nella ritenuta applicazione della novellata disposizione di cui all’articolo 318 c.p., a fatti di vendita della funzione (articolo 319 c.p.) maturati ante novella n. 190 del 2012, si registri un fenomeno di continuita’ normativa con applicazione retroattiva di una nuova disciplina piu’ favorevole o si assista invece una impraticabile estensione dell’area di rilevanza penale a fatti altrimenti, in precedenza, non incriminabili (articolo 2 c.p., comma 4).
Nel diacronico susseguirsi delle indicate discipline, quella di cui all’articolo 318 c.p., nella novellata sua formulazione, e quello di cui all’articolo 319 c.p., inteso come integrativo della vendita della funzione nel diritto vivente ante L. n. 190 cit., si assiste ad un progressivo allontanamento o rarefazione dalla presupposta esistenza dell’accordo corruttivo, definito obiettivamente per individuazione dell’atto tipico dell’ufficio.
Viene in rilievo l’esercizio fluido della funzione o dei poteri del pubblico ufficiale e si cristallizza un nuovo fenomeno corruttivo destinato a definire diversamente la soglia stessa di integrazione del fatto penalmente rilevante che risulta destinata, per il segnato profilo, ad avanzare.
9.1.1. La nuova formulazione dell’articolo 318 c.p., di onnicomprensiva monetizzazione del munus pubblico ha determinato un’estensione dell’area di punibilita’ ormai sganciata da una logica di stretta sinallagmaticita’ tra prebenda ed atto d’ufficio che viene smaterializzato per un processo destinato in tal modo a segnare un avanzamento della soglia di punibilita’, non solo rispetto alle ipotesi di corruzione impropria gia’ previste dalla medesima norma, ma anche con riguardo alla fattispecie della vendita della funzione, ricompresa nell’articolo 319 c.p., affermatasi nella giurisprudenza di legittimita’.
9.1.2. La vendita delle funzioni di cui all’articolo 319 c.p., nell’esegesi offerta da questa Corte gia’ prima della riforma del 2012, viveva infatti con la precisazione che, pur non dovendosi ritenere necessario individuare lo specifico atto contrario ai doveri d’ufficio, e per il quale il pubblico ufficiale avesse ricevuto somme di denaro o altre utilita’ non dovute, occorreva comunque che dal comportamento del pubblico ufficiale emergesse un atteggiamento diretto in concreto a vanificare la funzione demandatagli, poiche’ solo in tal modo avrebbe potuto ritenersi integrata la violazione dei doveri di fedelta’, d’imparzialita’ e di perseguimento esclusivo degli interessi pubblici che sul primo incombono (Sez. 6, n. 20046 del 16/01/2008, Bevilacqua, Rv. 241184; Sez. 6, n. 34417 del 15/05/2008, Leoni, Rv. 241081; Sez. 6, n. 21943 del 07/04/2006, Caruso, Rv. 234619).
All’accertamento del concreto asservimento del pubblico ufficiale non restava poi estraneo l’ulteriore scrutinio sull’atto da individuarsi per il genus di appartenenza e con riferimento all’ambito di intervento, anche per un ingerenza di mero fatto, del pubblico ufficiale (tra le altre, danno conto di un consolidato indirizzo: Sez. 6, n. 4108 del 17/02/1996, Cariboni, Rv. 204440; Sez. 6, n. 23355 del 26/02/2016, Margiotta, Rv. 267060).
Il riferimento all’atto, che entrava nell’interpretazione del fenomeno della vendita della funzione nel vigore dell’articolo 319 c.p., ante riforma n. 190 del 2012 come atto contrario ai doveri di ufficio, viene alleggerito nella riformulazione dell’articolo 318 c.p., per una fattispecie in cui diviene centrale l’esercizio della funzione pubblica ed il divieto assoluto di retribuzione da parte del privato di contrasto di sistemici fenomeni di corruzione integrativi della cd. fattispecie della “messa a libro paga” del funzionario infedele.
9.1.3. Nella irragionevolezza di una scelta interpretativa che riconduca all’articolo 318 c.p., tutti i fenomeni di corruzione sistemica per l’esercizio della funzione, che pure non espressivi di un minore disvalore penale rispetto alla corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio risulterebbero assoggettati ad un trattamento sanzionatorio piu’ mite rispetto a quello previsto dall’ipotesi di cui all’articolo 319 c.p., per la corruzione da singolo atto contrario ai doveri di ufficio, si e’ evidenziato da questa Corte che la fattispecie di cui al novellato articolo 318 c.p., non copra integralmente l’area della vendita della funzione, restando applicabile solo per quelle situazioni in cui non sia noto il finalismo del suo mercimonio o nel caso in cui ne sia oggetto un atto dell’ufficio.
La’ dove la vendita della funzione sia connotata da uno o piu’ atti contrari ai doveri d’ufficio cui si accompagnino indebite dazioni di denaro o prestazioni d’utilita’, antecedenti o susseguenti all’atto tipico che diviene il “punto piu’ alto di contrarieta’ ai doveri di correttezza che si impongono al pubblico agente”, trova ancora applicazione l’articolo 319 c.p. (Sez. 6, n. 47271 del 25/09/2014, Casarin, Rv. 260732).
La linea di confine tra la fattispecie sulla funzione di cui all’articolo 318 c.p., e quella di cui all’articolo 319 c.p., cade sul grado di determinatezza dell’oggetto dell’accordo corruttivo e comunque dell’atto.
Ove l’atto, per un generale processo di smaterializzazione che ha investito l’interpretazione che del fenomeno della corruzione ha inteso dare questa Corte, con il porre l’accento sulla funzione esercitata e sulla violazione dei generici doveri che incombono sui pubblici funzionari, resta comunque individuato nel genere soccorre l’ipotesi di cui all’articolo 319 c.p., con cui si realizza l’asservimento della funzione agli interessi del privato attraverso una specificazione in concreto dell’abuso che il pubblico funzionario si impegna a realizzare ed un suo concreto.
Nel caso in cui invece l’utilita’ viene corrisposta per garantire atti non determinati ne’ determinabili e quindi generici e futuri favori resta integrata la diversa fattispecie della corruzione per la funzione di cui al novellato articolo 318 c.p..
Ad quest’ultima figura si accompagna un alleggerimento dell’onere probatorio per una piu’ agevole configurazione del reato rispetto alla vendita della funzione che, ai sensi dell’articolo 319 c.p., si registra nel caso in cui oggetto del patto corruttivo sia la stessa funzione che viene interamente asservita agli interessi del privato (per quest’ultima ipotesi perdurante nel vigore dell’attuale disciplina, ex multis: Sez. 6, n. 3606 del 20/10/2016, dep. 2017, Bonanno, Rv. 269347; Id., n. 46492 del 15/09/2017, Argenziano, Rv. 271383).
All’affermazione, dell’ipotesi di reato di cui all’articolo 318 c.p., espressiva, come si e’ osservato in dottrina, di un ampio ed inedito alveo di tipicita’ contrassegnato da un incremento della discrezionalita’ giudiziale, si correla un avanzamento del rilievo penale della condotta rispetto ad un fatto inizialmente contestato nei termini di una corruzione propria ex articolo 319 c.p., e tanto per una attuata piena smaterializzazione dell’atto e del correlato patto corruttivo e quindi una inammissibile estensione in via retroattiva ed in malam partem della norma incriminatrice.
9.2. Attraverso la nuova qualificazione del fatto gia’ contestato e ritenuto in primo grado nei termini di una corruzione propria ex articolo 319 c.p., con indicazione dell’accordo corruttivo e dei singoli atti contrari ai doveri di ufficio che del primo costituiscano esecuzione, ed apprezzato invece dal giudice di appello una corruzione per la funzione nei termini di cui al novellato articolo 318 c.p., si delinea un ulteriore profilo di illegittimita’ della sentenza impugnata, segnato da una non consentita immutazione del fatto (articoli 512 e 522 e 178 c.p.p.), con conseguente lesione del diritto di difesa.
Vi e’ invero diversita’ del fatto tra l’iniziale accordo corruttivo in cui specifici atti segnalati come contrari ai doveri di ufficio sono piegati, in esecuzione del primo, agli interessi del privato e l’evidenza ritenuta nella sentenza di appello di un pubblico amministratore che per quell’accordo sia stato “messo a libro paga” del privato, senza che si individui di siffatto attacco alla funzione neppure la tipologia degli atti prezzolati.
Per ormai risalente indirizzo della giurisprudenza di legittimita’, l’immutazione del fatto di rilievo, ai fini della eventuale applicabilita’ della norma dell’articolo 521 c.p.p., e’ solo quella che modifica radicalmente la struttura della contestazione.
Il fatto tipico, il nesso di causalita’ e l’elemento psicologico del reato sono sostituiti ed in conseguenza di cio’ l’azione realizzata risulta completamente diversa da quella contestata al punto da essere incompatibile con le difese apprestate dall’imputato per discolparsene; la’ dove non puo’ parlarsi di immutazione del fatto quando il fatto tipico rimane identico a quello contestato nei suoi elementi essenziali e cambiano solo in taluni dettagli le modalita’ di realizzazione della condotta (Sez. 1, n. 6302 del 14/04/1999, Iacovone, Rv. 213459).
Si e’ quindi ritenuta configurabile la violazione del principio della correlazione tra l’imputazione contestata e la pronuncia solo quando il fatto, ritenuto in sentenza, si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneita’ o di incompatibilita’ che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa, a fronte dei quali, nel sortito effetto di sorpresa, l’imputato e’ impossibilitato a difendersi (Sez. 3, n. 1464 del 16/12/2016, dep. 2017, Orsi, Rv. 269360).
Resta ferma l’ulteriore precisazione che ai fini della affermazione della corrispondenza tra sentenza e contestazione e’ necessario tenere conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di quelle ulteriori risultanze probatorie che hanno costituito oggetto di sostanziale contestazione e della circostanza che la diversa qualificazione del fatto assuma il carattere di uno dei possibili epiloghi decisori (Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucera, Rv. 254419; Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2014, Borile, Rv. 261052) sempre nella necessaria coniugazione della nozione “strutturale” del fatto con quella “funzionale” e quindi nella necessita’ che l’imputato non venga condannato per un fatto della vita rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 2, n. 38889 del 16/09/2008, D. Rv. 241446; Sez. 5, n. 3161 del 13/12/2007, P., Rv. 238345).
Si tratta di principi ritenuti compatibili dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia), con l’articolo 6, par. 3, lettera a) e b) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo sul “processo equo” e sulla garanzia del contraddittorio da assicurarsi all’imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice ex officio (Sez. 6, n. 45807 del 12/11/2008, Drassich, Rv. 241754; corf. Sez. 5, n. 231 del 09/10/2012, Ferrari, Rv. 254521).
9.2.1. Nel caso di specie la contestazione mossa agli imputati era quella di avere, (OMISSIS), quale amministratore della (OMISSIS) s.c.r.l., procurato, e (OMISSIS), quale assessore del comune di Anzio alle politiche sociali, percepito, utilita’ elencate in rubrica perche’ il pubblico amministratore compisse atti contrari ai doveri di ufficio.
Detti atti, puntualmente indicati in imputazione, si segnalano quali atti della procedura attivata dal comune di Anzio per indire la gara pubblica di affidamento del servizio di assistenza sugli scuola-bus dell’amministrazione territoriale per il trasporto di disabili e per illegittimita’ integrate dal difetto della stipulazione del contratto scritto, con effetto sulle due proroghe, e dalla irregolarita’ del Durc della cooperativa (articolo 11, comma 13, Codice appalti; Decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, articolo 6, comma 2).
A fronte di siffatta contestazione, la Corte di appello di Roma ha ritenuto, espunti dalla ricostruzione del fatto gli atti della procedura di affidamento contestati come illegittimi, e tanto nella intervenuta assoluzione della concorrente (OMISSIS), dirigente preposto all’assessorato della pubblica istruzione con competenza all’affidamento del servizio di assistenza sui pulmini del comune, che il (OMISSIS) fosse a “libro paga” dell’imprenditore.
Sono rimaste ferme per siffatta ricostruzione del fatto, le sole utilita’ definite in rubrica in numero di tre e contraddistinte da cointeressenze economiche tra privato imprenditore e pubblico amministratore.
9.2.2. Lo stare “a libro paga” evoca, rispetto ai distinti atti della corruzione propria, insieme all’asservimento della funzione un fatto diverso, portatore dell’effetto a “sorpresa” in ragione di una nuova definizione della condotta per un processo di eliminazione da un fatto piu’ complesso, in origine ritenuto, a seguito dell’assoluzione dell’ulteriore concorrente, (OMISSIS), sulla quale si convogliavano le competenze specifiche agli atti contestati in rubrica e ritenuti in primo grado come illegittimi.
Per il progressivo allontanamento dall’atto tipico oggetto di accordo corruttivo integrato dall’improprio richiamo, come supra rilevato, operato nell’impugnata sentenza alla fattispecie della corruzione per la funzione, di cui al novellato articolo 318 c.p., si registra la novita’ della condotta in pregiudizio al diritto di difesa degli imputati.
Al fatto, come riqualificato, resta estraneo infatti il mero passaggio tra atto di corruzione propria ed impropria e, con esso, l’applicazione del principio per il quale, nella sussistenza di un rapporto di continenza tra le due figure di corruzione, la contestazione della corruzione propria lascia margine per la qualificazione giuridica del fatto, in sede di decisione, senza compromissione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza (Sez. 6, n. 6004 del 21/03/1996, Bruno, Rv. 205070; Sez. 5, n. 1899 del 13/12/1993, Agostinelli, Rv. 197725).
10. La sentenza impugnata va annullata e Corte di appello di Roma va chiamata in relazione al fatto, cosi’ come in origine contestato e quindi per le illegittimita’ indicate in rubrica, a motivare sull’ascrivibilita’ della condotta contestata nella corruzione propria, nella versione anteriore alla legge di riforma n. 190 del 2012, per lo stretto nesso di sinallagmaticita’ tra gli atti indicati in imputazione come illegittimi e le utilita’ ritenute.
Il difetto di competenza del pubblico amministratore, assessore con delega alle politiche sociali (assistenza, volontariato, centro anziani), rispetto agli atti in rubrica contestati come formalmente rientranti nella diversa sfera di competenza dell’assessorato alla scuola – contratto e proroghe del servizio di assistenza agli scuolabus scolastici – del dirigente (OMISSIS) assolto con la formula perche’ il fatto non costituisce reato, non preclude una opzione interpretativa compatibile con un giudizio di sussistenza della fattispecie di cui all’articolo 319 c.p..
La diversa interpretazione si esporre a censura di nullita’ per diversita’ del fatto con apertura alla fattispecie processuale di cui all’articolo 521 c.p.p., comma 2.
11. Conclusivamente la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

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