L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimita’ e oggetto del rimedio previsto dall’articolo 625-bis c.p.p.

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 7 giugno 2018, n. 25976.

Le massime estrapolate:

L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimita’ e oggetto del rimedio previsto dall’articolo 625-bis c.p.p. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volonta’, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso:
E’ stato anche precisato che:
a) qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non e’ configurabile un errore di fatto, bensi’ di giudizio;
b) sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonche’ gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie;
c) l’operativita’ del ricorso straordinario non puo’ essere limitata alle decisioni relative all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall’effettiva portata della norma in quanto l’errore percettivo puo’ cadere su qualsiasi dato fattuale.
Allorquando, invece, la causa dell’errore non sia – come verificatosi – identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non può mai configurarsi un errore di fatto, bensi’ di giudizio, situazione che, come tale, resta esclusa dall’orizzonte del rimedio previsto dall’articolo 625-bis c.p.p..
La stessa lettera della disposizione che istituisce il rimedio dell’articolo 625-bis c.p.p., impone di ritenere che gli errori di fatto che possono dare luogo all’annullamento della sentenza della Corte di cassazione sono solo quelli costituiti da sviste o errori di percezione nei quali sia incorsa la Corte nella lettura degli atti del giudizio di legittimita’ ovvero quelli connotati dall’influenza esercitata sulla decisione da un’inesatta percezione di dati processuali, il cui sviamento conduce ad una sentenza diversa da quella che sarebbe adottata senza l’errore di fatto.
Piu’ precisamente, l’errore di fatto censurabile con lo “strumento” in parola:
– deve consistere in una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di legittimita’, e, per usare la terminologia dell’articolo 395 c.p.c., n. 4, cui si e’ implicitamente rifatto il legislatore nella introduzione dell’articolo 625-bis c.p.p., nel supporre “la esistenza di un fatto la cui verita’ e’ incontrastabilmente esclusa” ovvero nel supporre “l’inesistenza di un fatto la cui verita’ e’ positivamente stabilita”, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso “se il fatto non costitui’ un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare”;
– deve inoltre rivestire “inderogabile carattere decisivo”, deve cioe’ necessariamente tradursi, per legittimare il ricorso straordinario, “nell’erronea supposizione di un fatto realmente influente sull’esito del processo, con conseguente incidenza effettiva sul contenuto del provvedimento col quale si e’ concluso il giudizio di legittimita’”.
In ogni caso, non si e’ in presenza di un “errore di fatto” quando esso non risulti dovuto a “una vera e propria svista materiale”, ossia a una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea decisione.
In sintesi, esulando dall’errore di fatto ogni profilo di diritto o valutativo, lo stesso finisce con il coincidere con l’errore revocatorio – secondo l’accezione che vede in esso il travisamento degli atti nelle due forme della “invenzione” o della “omissione” – in cui sia incorsa la stessa Corte di cassazione nella lettura degli atti del suo giudizio.

Sentenza 7 giugno 2018, n. 25976

Data udienza 24 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DAVIGO Piercamillo – Presidente

Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere

Dott. PELLEGRINO Andrea – rel. Consigliere

Dott. PAZIENZA Vittorio – Consigliere

Dott. AIELLI Lucia – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso ex articolo 625 bis c.p.p. proposto nell’interesse di:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS), rappresentato e assistito dall’avv. (OMISSIS), di fiducia;
avverso la sentenza ex articolo 425 c.p. emessa dalla Suprema Corte di Cassazione, sesta sezione penale, n. 35219/2017, in data 28/04/2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Dott. Andrea Pellegrino;
vista la memoria difensiva depositata in data 19/04/2018;
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Dott. Galli Massimo che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentita la discussione del difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 35219 in data 28/04/2017, la Suprema Corte di Cassazione, sesta sezione penale, annullava la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Palermo in data 27/06/2016 che aveva condannato (OMISSIS) alla pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione per diverse ipotesi di reato di peculato, limitatamente alla determinazione della durata dell’interdizione dai pubblici uffici, rinviando per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Palermo, con rigetto nel resto del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza n. 35219/2017, nell’interesse di (OMISSIS), viene proposto ricorso ex articolo 625 bis c.p.p. in presenza di lamentati errori percettivi che avevano esercitato un’influenza decisiva sul processo decisorio e tali da comportare l’adozione di una decisione diversa da quella che sarebbe stata legittimamente adottata senza di essi.
3. Il dottor (OMISSIS), medico cardiologo assunto a tempo pieno e con impegno esclusivo presso l’ospedale (OMISSIS), e’ stato ritenuto responsabile del reato di cui all’articolo 314 c.p., perche’, svolgendo all’interno del citato ospedale, attivita’ libero-professionale inframuraria senza la relativa autorizzazione, nelle date del 08/10/2007, 29/10/2007, 17/10/2007, 22/10/2007, 05/11/2007 e 26/11/2007, si appropriava dell’intero corrispettivo versato dai pazienti, senza provvedere al versamento della quota prevista dalla legge (pari al 52% della tariffa applicata) e rilasciare apposita fattura, ne’ indirizzare i pazienti medesimi presso il competente ufficio cassa dell’azienda.
3.1. Con il ricorso in cassazione, il (OMISSIS) aveva dedotto che, senza una formale autorizzazione dell’ospedale, l’attivita’ libero professionale abusivamente espletata era da qualificarsi illegittima e, conseguentemente, il ricorrente non avrebbe dovuto rispondere di peculato in quanto lo stesso aveva ricevuto il denaro da quei pazienti, a titolo di onorario, per una prestazione espletata illegittimamente.
3.2. La Suprema Corte aveva ritenuto non necessaria l’esistenza di una formale ed espressa autorizzazione all’esercizio dell’attivita’ intramoenia da parte dell’ospedale, essendo sufficiente, per la configurabilita’ del peculato, la presenza di una disponibilita’ anche di fatto del bene oggetto dell’appropriazione (il compenso delle visite mediche) in forza di un collegamento che pure deve esservi con l’esercizio delle funzioni pubblicistiche, nella specie ravvisato nel rapporto contrattuale instaurato dal ricorrente con l’ospedale e nel dato oggettivamente dirimente della conoscenza da parte dell’ospedale del continuativo esercizio dell’attivita’ libero-professionale svolta all’interno dell’unita’ ospedaliera ove lo stesso prestava servizio.
Gli errori palesemente rilevabili che avrebbero inficiato la decisione oggi impugnata, a detta del ricorrente, sarebbero i seguenti:
a) la nota del 10/04/2007, indirizzata al responsabile dell’ufficio ALP dell’ospedale, con la quale il dottor (OMISSIS) avrebbe precisato di svolgere attivita’ libero-professionale all’interno dell’unita’ di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica il lunedi’ pomeriggio, con un tariffario ben determinato c con la indicazione del personale di supporto, e’ a firma del prof. (OMISSIS) e non del dottor (OMISSIS);
b) le copie delle ricevute relative alla riscossione dell’onorario dovuto per visite svolte nel 2007, si riferiscono esclusivamente a due interventi chirurgici in equipe effettuati presso il Civico e non a visite specialistiche ambulatoriali;
c) il dottor (OMISSIS) ha comunicato, ex articolo 6 del regolamento ospedaliero, al responsabile dell’ufficio ALP del nosocomio, di svolgere attivita’ libero-professionale all’interno dell’unita’ operativa di cardiologia e cardiochirurgia-pediatrica il lunedi’, mercoledi’ e venerdi’, con l’indicazione di fasce orarie e tariffe, e’ del (OMISSIS) e non del (OMISSIS);
d) da nessun atto del processo risulta che l’attivita’ libero-professionale del dottor (OMISSIS) fosse stata svolta “in forma prolungata negli anni”.
Da tutto questo consegue che l’ospedale venne a conoscenza dell’attivita’ intramoenia del dottor (OMISSIS) solo a partire dal (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.
2. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo il quale l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimita’ e oggetto del rimedio previsto dall’articolo 625-bis c.p.p. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volonta’, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (cfr., da ultimo, Sez. 6, sent. n. 14296 del 20/03/2014, dep. 26/03/2014, Apicella, Rv. 259503).
Fermo quanto precede, le Sezioni Unite hanno precisato che:
a) qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non e’ configurabile un errore di fatto, bensi’ di giudizio;
b) sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonche’ gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie;
c) l’operativita’ del ricorso straordinario non puo’ essere limitata alle decisioni relative all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall’effettiva portata della norma in quanto l’errore percettivo puo’ cadere su qualsiasi dato fattuale (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280; conf., Sez. U, n. 16104 del 27/03/2012, De Lorenzo, non mass.; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250527).
2.1. Allorquando, invece, la causa dell’errore non sia – come verificatosi – identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, ritiene il Collegio come non possa mai configurarsi un errore di fatto, bensi’ di giudizio, situazione che, come tale, resta esclusa dall’orizzonte del rimedio previsto dall’articolo 625-bis c.p.p. (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv. 263686).
2.2. Nella fattispecie, appare difficilmente revocabile in dubbio come il ricorrente non abbia affatto prospettato un vizio riconducibile alla nozione classica di errore di fatto rilevante ai sensi della norma evocata. Del resto, e’ altrettanto incontestabile che la stessa lettera della disposizione che istituisce il rimedio dell’articolo 625-bis c.p.p., impone di ritenere che gli errori di fatto che possono dare luogo all’annullamento della sentenza della Corte di cassazione sono solo quelli costituiti da sviste o errori di percezione nei quali sia incorsa la Corte nella lettura degli atti del giudizio di legittimita’ ovvero quelli connotati dall’influenza esercitata sulla decisione da un’inesatta percezione di dati processuali, il cui sviamento conduce ad una sentenza diversa da quella che sarebbe adottata senza l’errore di fatto (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002 cit., Basile, Rv. 221281).
Piu’ precisamente, l’errore di fatto censurabile con lo “strumento” in parola:
– deve consistere in una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di legittimita’, e, per usare la terminologia dell’articolo 395 c.p.c., n. 4, cui si e’ implicitamente rifatto il legislatore nella introduzione dell’articolo 625-bis c.p.p., nel supporre “la esistenza di un fatto la cui verita’ e’ incontrastabilmente esclusa” ovvero nel supporre “l’inesistenza di un fatto la cui verita’ e’ positivamente stabilita”, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso “se il fatto non costitui’ un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare”;
– deve inoltre rivestire “inderogabile carattere decisivo”, deve cioe’ necessariamente tradursi, per legittimare il ricorso straordinario, “nell’erronea supposizione di un fatto realmente influente sull’esito del processo, con conseguente incidenza effettiva sul contenuto del provvedimento col quale si e’ concluso il giudizio di legittimita’”.
2.3. In ogni caso, non si e’ in presenza di un “errore di fatto” quando esso non risulti dovuto a “una vera e propria svista materiale”, ossia a una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea decisione (cfr., Sez. 6, n. 25121 del 02/04/2012, Romano, Rv. 253105).
2.4. In sintesi, esulando dall’errore di fatto ogni profilo di diritto o valutativo, lo stesso finisce con il coincidere con l’errore revocatorio – secondo l’accezione che vede in esso il travisamento degli atti nelle due forme della “invenzione” o della “omissione” – in cui sia incorsa la stessa Corte di cassazione nella lettura degli atti del suo giudizio.
3. Alla luce di tali regulae iuris, deve escludersi la configurabilita’ di alcun errore di fatto nella decisione adottata dalla Sesta Sezione penale di questa Corte nel processo a carico dell’odierno ricorrente.
3.1. In buona sostanza, nel caso in esame, si sostiene conclusivamente che se l’Ospedale Civico era venuto a conoscenza dell’attivita’ libero-professionale intramuraria del dottor (OMISSIS) il (OMISSIS), appariva evidente come la struttura sanitaria fosse all’oscuro del fatto che il ricorrente avesse svolto, in epoca precedente a quella data, attivita’ intramoenia.
3.2. Il dato in parola – che il ricorrente fa assurgere ad elemento di valutazione decisivo ai fini della conferma del giudizio di penale responsabilita’ – non si rivela affatto come tale nella sentenza impugnata dove, in ogni caso, il percorso argomentativo ivi svolto tiene conto di tutta una serie di ulteriori (e diversi) elementi probatori (contenuto delle intercettazioni ambientali presso lo studio ospedaliero in uso al collega dottor (OMISSIS), attivita’ di pedinamento dei pazienti, dichiarazioni rese da questi ultimi, controlli effettuati presso la direzione sanitaria dell’Ospedale Civico al fine di verificare eventuali pagamenti presso i servizi di cassa dell’amministrazione), di per se’ ampiamente sufficienti a giustificare le conclusioni assunte dai giudici di merito: l’esercizio da parte del (OMISSIS) di un’attivita’ libero-professionale inframuraria svolta in modo tale da appropriarsi dell’intero corrispettivo richiesto e corrisposto dai pazienti, senza provvedere al versamento della quota prevista dalla legge (pari al 52% della tariffa applicata) e rilasciare apposita fattura, ne’ indirizzare i pazienti medesimi presso il competente ufficio cassa dell’azienda ospedaliera.
3.2.1. Peraltro, il provvedimento impugnato, dopo aver aderito alla distinzione tra attivita’ intramuraria semplice e quella “allargata” e tra quest’ultima e l’attivita’ extramuraria, ha precisato come tale linea di demarcazione comporti “erronee conseguenze li’ dove pretende di trarne implicazioni contrastanti con il fatto – dai giudici di merito accertato alla luce delle fonti documentali puntualmente illustrate in motivazione, oltre che delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) e dei riscontri al riguardo acquisiti dalle stesse dichiarazioni rese dai pazienti oggetto delle visite specialistiche – che egli ha sempre svolto… attivita’ intramoenia di duplice tipo (meramente interna e allargata), visitando presso le strutture ospedaliere numerosi pazienti e percependone i compensi che poi ha indebitamente trattenuto senza provvedere al versamento delle quote di spettanza all’amministrazione ospedaliera”.
3.2.2. Una simile motivazione rende del tutto ininfluente l’incidenza dei pretesi errori denunciati dal ricorrente atteso che, da un lato, deve escludersi che nell’area dell’errore di fatto denunziabile con ricorso straordinario possa essere ricondotto l’errore percettivo non inerente al processo formativo della volonta’ del giudice di legittimita’ e, dall’altro, occorre riconoscere come il preteso errore di fatto gia’ avrebbe inficiato – nella prospettazione del ricorrente le decisioni dei giudici di merito – evenienza, quest’ultima che, in quanto tale ed in ragione del c.d. effetto trascinamento, avrebbe dovuto essere tempestivamente denunciata attraverso gli specifici mezzi di impugnazione proponibili avverso le relative decisioni (cfr., Sez. 6, n. 48461 del 20/11/2008, Rannisi, Rv. 242144; Sez. 1, n. 17362 del 15/04/2009, Di Matteo, Rv. 244067).
3.3. Conclusivamente va evidenziato come, nella fattispecie, il giudice di legittimita’ abbia sostanzialmente e del tutto correttamente condiviso la scelta ricostruttiva-valutativa operata dei giudici di merito: avverso tale ultima decisione, il ricorrente, nel muovere una contestazione finalizzata alla “revoca” della sentenza, finisce per denunciare niente piu’ che un (preteso) errore valutativo o di giudizio, situazione – come detto – non tutelabile nell’ambito del giudizio di legittimita’.
4. All’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in Euro duemila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.

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