Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 10 maggio 2018, n. 20800.
La massima estrapolata:
L’esercizio del diritto di critica richiede la verita’ del fatto attribuito e assunto a presupposto delle espressioni criticate, in quanto non puo’ essere consentito attribuire ad un soggetto specifici comportamenti mai tenuti. Ne consegue che, limitatamente alla verita’ del fatto, non sussiste alcuna apprezzabile differenza tra l’esimente del diritto di critica e quella del diritto di cronaca, costituendo per entrambe presupposto di operativita’.
Inoltre, un soggetto, per poter invocare la scriminante dell’esercizio del diritto di critica, non puo’ limitarsi alla mera allegazione dell’esistenza del fatto che intende criticare in quanto, come l’imputato che invochi il diritto di cronaca ha l’onere di provare la verita’ della notizia riportata, o quantomeno offrire la prova della cura posta negli accertamenti svolti per vincere dubbi ed incertezze prospettabili in ordine alla verita’ della notizia, altrettanto, anche con riferimento all’esercizio del diritto di critica, l’agente e’ onerato di indicare tutti gli elementi comprovanti la dedotta causa di giustificazione al fine di porre il giudice in condizione di valutare seriamente la fondatezza di tale argomento difensivo.
Sentenza 10 maggio 2018, n. 20800
Data udienza 26 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUNO Paolo Antoni – Presidente
Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 30/09/2015 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA FIDANZIA;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARINELLI Felicetta;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’.
Udito il difensore.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 30 settembre 2015 la Corte d’Appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) perche’ il reato e’ estinto per intervenuta prescrizione in ordine al delitto di diffamazione, con l’aggravante dell’attribuzione di un fatto determinato, ai danni di (OMISSIS), con conferma a carico del prevenuto delle statuizioni civili.
All’imputato e’ stato contestato di avere, mediante il comunicato-stampa riportato nell’articolo pubblicato sul giornale “(OMISSIS)” in data (OMISSIS) offeso la reputazione della parte civile, in proprio e quale rappresentante dell’ (OMISSIS), con le seguenti espressioni: “Corsi-fantasma pagati con centinaia di milioni di vecchie Lire di cui i presidenti delle aziende Speciali della Camera di Commercio si sono autonominati direttori, “(la vicenda della ConfCommercio) situazione sconcertante, che e’ stata oggetto di interpellanze parlamentari in cui si chiede l’intervento della Corte dei Conti e della magistratura e che ha portato i vertici nazionali alla revoca del marchio per l’ (OMISSIS) di (OMISSIS)”.
2. Con atto sottoscritto dal proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo e’ stata dedotta violazione di legge penale in relazione all’articolo 595 c.p., comma 3, e L. n. 47 del 1948, articolo 13.
Lamenta, preliminarmente, il ricorrente che le sue dichiarazioni non sono state riportate fedelmente nell’articolo redatto, il cui contenuto non e’ quindi allo stesso riferibile.
In ordine all’espressione in cui si fa riferimento ai “corsi-fantasma”, deduce il ricorrente che erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto che tale espressione possa equivalere a corsi inesistenti, dato che, secondo la definizione letterale, per fantasma si intende l’apparizione di un defunto, ovvero di un qualcosa che e’ esistito ma che non appartiene piu’ alla realta’ fenomenica.
Nel caso di specie e’ pacifico che il corso denominato “(OMISSIS), finanziato con denaro pubblico, organizzato dalla (OMISSIS) (azienda speciale della Camera di Commercio), di cui la persona offesa era direttore, non aveva avuto un risultato positivo.
La notizia riportata dal cronista rispettava quindi i canoni di veridicita’ e della continenza.
Lamenta che la deduzione operata dalla Corte territoriale, secondo cui con la suddetta espressione “si fa pensare che i soldi finanziati per quei (i corsi- fantasma) andassero, invece, nelle tasche dei Presidenti che tal fine si autonominavano Direttori dei Corsi” costituiva un evidente “salto logico” frutto di un’interpretazione altamente soggettiva del giudice d’appello, non corrispondente a quanto riferito dal cronista e riferito dall’imputato.
Peraltro, tale critica non era stata rivolta all’ (OMISSIS) che all’epoca dei fatti non era piu’ il presidente dell’Azienda da circa sei mesi.
Per quanto riguarda le altre espressioni contenute nel comunicato passato alla stampa, il riferimento alla Corte dei Conti era verosimilmente il frutto di un errore di comprensione del giornalista. Inoltre era vero che la Confcommercio aveva revocato il proprio marchio all’ (OMISSIS) e di tale questione se ne era occupata la magistratura romana e la Corte dei Conti.
Ne conseguiva l’insussistenza del delitto di diffamazione.
2.2. Con il secondo motivo e’ stata dedotta la violazione degli articoli 51 e 595 c.p., e L. n. 47 del 1948, articolo 13.
Lamenta il ricorrente che i fatti esposti nell’articolo per cui e’ procedimento sono veri e per escluderne la valenza diffamatoria occorre inserirli nello specifico ambito di confronto politico, essendo consentita una maggiore flessibilita’ nell’esercizio del diritto di critica politica nei confronti di soggetti che rivestono cariche pubbliche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi motivi, che possono essere esaminati unitariamente, avendo ad oggetto, tematiche omogenee, sono inammissibili anche perche’ manifestamente infondati.
Preliminarmente, la censura del ricorrente secondo cui le sue dichiarazioni non sarebbero state riportate fedelmente nell’articolo per cui e’ procedimento e’ inammissibile per genericita’, non essendosi lo stesso neppure preoccupato di evidenziare quale sarebbe stato allora il contenuto esatto delle sue dichiarazioni.
Esaminando a questo punto il contenuto del comunicato, come riportato nel capo d’imputazione, va osservato che condivisibilmente la Corte territoriale ha ritenuto che l’espressione “corsi-fantasma pagati con centinaia di milioni di vecchie lire di cui i presidenti delle aziende Speciali della Camera di Commercio si sono autonominati direttori” abbia natura diffamatoria, essendo evidente che una tale espressione evochi un comportamento chiaramente truffaldino la’ dove si afferma che i corsi fossero “fantasma” e, quindi inesistenti, e si allude che i soldi finanziati per gli stessi andassero nelle tasche dei Direttori autonominatisi.
Ne’ e’ in alcun modo persuasiva l’affermazione del ricorrente secondo cui il termine “fantasma” non equivarrebbe ad inesistente, essendo evidente che questo e’ il significato che lo stesso inequivocabilmente assume sia nel linguaggio comune che in quello giornalistico. D’altra parte, l’interpretazione del comunicato effettuata dalla Corte di merito non costituisce affatto un “salto logico”, e cio’ in considerazione del chiaro tenore letterale dell’espressione sopra esaminata e non avendo comunque il ricorrente neppure prospettato un’interpretazione alternativa della stessa.
Si condivide, altresi’, l’assunto del giudice di secondo grado secondo cui il contenuto diffamatorio del comunicato e’ stato rafforzato dal giornalista ponendo in collegamento la vicenda dei c.d. corsi fantasma con la revoca da parte della Confcommercio nazionale del proprio marchio alla (OMISSIS) di Cosenza (di cui era presidente la parte civile).
In realta’, e’ risultato dalla ricostruzione del giudice di secondo grado che tale revoca era avvenuta per difficolta’ finanziaria dell’associazione, in alcun modo collegate ne’ all’attivita’ ne’ alle artificiose ruberie dei Presidenti evidenziate nell’articolo per cui e’ procedimento.
Ne’ il ricorrente puo’ invocare l’esercizio del diritto di critica.
In proposito, deve ricordarsi l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui l’esercizio del diritto di critica richiede la verita’ del fatto attribuito e assunto a presupposto delle espressioni criticate, in quanto non puo’ essere consentito attribuire ad un soggetto specifici comportamenti mai tenuti. Ne consegue che, limitatamente alla verita’ del fatto, non sussiste alcuna apprezzabile differenza tra l’esimente del diritto di critica e quella del diritto di cronaca, costituendo per entrambe presupposto di operativita’. (Sez. 5, n. 7662 del 31/01/2007, Rv. 236524; vedi anche sez 5 n. 7715/14, Rv 264064 e n. 40930/13, Rv 257794).
Inoltre, un soggetto, per poter invocare la scriminante dell’esercizio del diritto di critica, non puo’ limitarsi alla mera allegazione dell’esistenza del fatto che intende criticare in quanto, come l’imputato che invochi il diritto di cronaca ha l’onere di provare la verita’ della notizia riportata (Sez. 5, n. 10964 del 11/01/2013, Rv. 255434), o quantomeno offrire la prova della cura posta negli accertamenti svolti per vincere dubbi ed incertezze prospettabili in ordine alla verita’ della notizia (Sez. 5, n. 12024 del 31/03/1999, Rv. 215037; Sez. 5, n. 15643 del 11/03/2005, Rv. 232134; Sez. 5, n. 23695 del 05/03/2010, Rv. 24752401), altrettanto, anche con riferimento all’esercizio del diritto di critica, l’agente e’ onerato di indicare tutti gli elementi comprovanti la dedotta causa di giustificazione al fine di porre il giudice in condizione di valutare seriamente la fondatezza di tale argomento difensivo.
Nel caso di specie, non solo l’imputato ha dedotto nel comunicato fatti dei quali non ha fornito neppure un principio di prova (eventualmente valutabile a norma dell’articolo 530 c.p.p., comma 3), ma dallo stesso tenore inequivocabile del ricorso emerge che i fatti indicati non erano veri.
In particolare, lo stesso ricorrente evidenzia che, nell’organizzazione del corso denominato (OMISSIS), pur essendoci stati gravissimi problemi gestionali sin dall’inizio, lo stesso corso era iniziato e i ragazzi che lo avevano frequentato erano giunti ai due terzi del percorso, non potendolo completare, per essere stato avviato il procedimento di revoca del finanziamento del progetto e per essere l’agenzia (OMISSIS), cui era stata demandata l’organizzazione del corso, stata commissariata.
Dunque non si trattava affatto di un “corso-fantasma”.
Analogamente, con riferimento alla revoca del marchio Confcommercio alla (OMISSIS), nel ricorso il prevenuto da’ atto che tale revoca c’era stata ma neppure allega che fosse riconducibile allo scandalo dei “corsi fantasma”.
Non vi e’ dubbio che la mancanza di verita’ o veridicita’ del fatto indicato nel comunicato stampa inviato dal ricorrente impedisce in radice la configurabilita’ dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica.
Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma che si stima equo fissare in Euro duemila in favore delle cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro duemila in favore delle cassa delle ammende.
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