Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Sentenza 6 febbraio 2019, n. 3516.

La massima estrapolata:

È abilitato a esercitare in Italia soltanto l’avvocato rumeno il cui titolo professionale sia rilasciato dall’Unbr-Bucarest e non dal Unbrstruttura Bota. Quest’ultimo è, infatti, un organismo non abilitato al rilascio dei titoli.

Sentenza 6 febbraio 2019, n. 3516

Data udienza 20 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Primo Presidente f.f.

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di Sez.

Dott. CHINDEMI Domenico – rel. Presidente di Sez.

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 551-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI LOCRI, PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI REGGIO CALABRIA, PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, ORDINE DEGLI AVVOCATI DI LOCRI;
– intimati –
avverso la sentenza n. 174/2017 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata l’11/11/2017.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/11/2018 dal Presidente DOMENICO CHINDEMI;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

Il Consiglio Nazionale Forense (CNF), con sentenza n. 174/2017, rigettava il ricorso proposto da (OMISSIS) contro il provvedimento di cancellazione dall’ albo degli avvocati, sezione avvocati stabiliti, reso dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (COA) di Locri, in conseguenza della ritenuta inidoneita’ al rilascio del titolo di avvocato da parte della U.N.B.R., struttura Bota, di Romania, ritenuto ente non abilitato.
Il CNF riteneva corretta la decisione del COA sul rilievo che, secondo il sistema di cooperazione tra autorita’ degli Stati membri dell’Unione Europea denominato IMI (Internai Market Information Sistem) l’unico organismo rumeno abilitato a rilasciare titoli riconoscibili in ambito Europeo era la UNBR tradizionale.
Proponeva ricorso per cassazione (OMISSIS) affidato a sei:te motivi; nessuno si costituiva per le parti intimate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve essere rilevata la tempestivita’ del ricorso in quanto la sentenza del CNF risulta notificata il 23 novembre 2017 e il termine di 30 giorni – L. n. 247 del 2012, ex articolo 32 – cadeva il 23 dicembre che era sabato e, quindi, ai sensi dell’articolo 155 c.p.c., comma 5, lo stesso deve ritenersi prorogato al primo giorno non festivo che e’ il 27 dicembre, data della notifica del ricorso.
2. Ai fini della valutazione dei motivi del ricorso va premesso che la ricorrente ha impugnato la delibera del COA e con successiva memoria in data 19.1.2017 deduceva censure con cui si doleva: a) di essere stata iscritta all’albo ordinario; b) violazione e falsa applicazione del Regolamento UE n. 1014/2012; c) mancato avvio del procedimento disciplinare e violazione del contraddittorio; d) validita’ del titolo rilasciato dalla struttura Bota.
Tali censure sono state ritenute inammissibili dalla sentenza impugnata perche’ concernenti “fatti nuovi” (pagg. 6-7 sentenza).
Il ricorso non censura tale statuizione e la ratio che la regge, con la conseguenza che le doglianze poste alla base di alcuni dei motivi del ricorso, fondate su censure dichiarate inammissibili, sono a loro volta inammissibili, essendo stata l’argomentazione sul merito svolta ad abundantiam e, quindi, del tutto irrilevante (cfr Cass. S.U. n. 24469/2013)
2.1 Le Sezioni Unite si sono gia’ pronunciato su tutte le questioni riproposte con il presente ricorso con ben 29 pronunce (da S.U. n. 6463/2016 a S.U. n. 21114/2017) e di queste ben sei hanno deciso ricorsi proposti dall’attuale difensore della ricorrente che ha dedotto – come si evince dalle citate pronunce- le stesse questioni riproposte nel presente ricorso, senza introdurre reali profili di novita’.
3. Con il primo motivo viene formulata richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, per contrasto della normativa nazionale (Decreto Legislativo n. 96 del 2001) con l’articolo 3 della Direttiva 2005/36/CE, come modificata dall’articolo 56 della direttiva 2013/55/UE, rilevando anche che l’applicazione della direttiva IMI violerebbe il principio di non discriminazione previsto dal trattato sull’Unione Europea (articolo 18 e segg.), lamentando anche la violazione dell’articolo 102 TFUE che impedirebbe di fatto l’accesso sul mercato italiano dell’ordine BOTA, chiedendo la sospensione del provvedimento impugnato.
3.1 Va, al riguardo, osservato che, in disparte il rilievo che la richiesta di rinvio pregiudiziale non e’ ancorata ad un preciso motivo di ricorso e, pertanto, non e’ possibile ritenerla rilevante, la questione di compatibilita’ comunitaria e’ incentrata sul diverso caso di diniego di riconoscimento di titoli e non di cancellazione dall’albo; questione in parte diversa da quella che viene in rilievo nella presente causa, con conseguente inammissibilita’ per irrilevanza della questione stessa. Inoltre il motivo presuppone che la sentenza impugnata sia fondata sulla iscrizione all’IMI, fatto che la sentenza impugnata indica come proposto esclusivamente con la memoria del 19.1.2017, dichiarata inammissibile per novita’, con statuizione non censurata e conseguente inammissibilita’ del motivo di ricorso.
In ogni caso, con riferimento alla richiesta della ricorrente di rimettere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in via pregiudiziale, la questione dell’applicabilita’ del Decreto Legislativo n. 96 del 2001 o della direttiva 2005/36/CE con l’obbligo di iscrizione alla piattaforma IMI, nonche’ sulla interpretazione della direttiva 98/2005, come gia’ rilevato da questa Corte per analoghi profili di censura (Cass. S.U. 24.4.2017 n. 10228 e 10229), “non viene in rilievo una questione di interpretazione della normativa comunitaria concernente il predetto sistema di collaborazione tra Stati membri, ma unicamente la rilevanza che, sul piano probatorio, assumono le informazioni che dall’indicato organismo provengono: quindi, non interpretazione della normativa comunitaria, alla quale la ricorrente pretende di riconoscere un’efficacia diversa da quella ad essa attribuita dal CNIF, ma unicamente apprezzamento delle prove, anche documentali, concernenti la provenienza del titolo abilitante all’esercizio della professione da un organismo effettivamente abilitato, nel proprio ordinamento, a rilasciare quel titolo (in tal senso, Cass., Sez. U., n. 22398 del 2016).
Questa Corte ha gia’ rilevato che “Il titolo dell’avvocato che abbia conseguito l’abilitazione professionale in Romania puo’ essere riconosciuto in Italia, ai fini dell’iscrizione nell’elenco speciale degli avvocati stabiliti, solo se rilasciato dalla U.N.B.R. (Uniunea Nationala a Barourilor din Romania), Ordine tradizionale Bucarest, organismo indicato da tale Stato quale autorita’ competente ad operare in questa materia attraverso il meccanismo di cooperazione tra i Paesi membri dell’Unione Europea, sicche’ va disattesa, per carenza del requisito del “fumus boni iuris”, l’istanza di sospensione della esecutivita’ del provvedimento di cancellazione da quell’elenco per essere avvenuta la corrispondente iscrizione sulla base di un titolo reso da un organismo diverso (la U.N.B.R., struttura BOTA) (Cass. S.U. Ordinanza n. 15043 del 21/07/2016; Cass. n. 6463, n. 6468 del 2016).
L’Ordine professionale non ha, peraltro, nella sostanza, sindacato la validita’ del titolo abilitativo, bensi’ la sua idoneita’ ad essere riconosciuto nello Stato secondo le vincolanti procedure stabilite dal sistema IMI: dunque la questio juris che si vorrebbe sottoporre al preventivo vaglio della Corte di Giustizia e’ posta in modo non correlato perche’ il ricorso al sistema IMI e’ obbligatorio e dunque la stessa norma che ne riconosce la vincolativita’ per lo Stato che accede a tale sistema informativo fornisce la prova della obiettiva carenza di un potere di sindacato da parte delle autorita’ nazionali (cfr Cass. S.U. 19403/2017).
La problematica, quindi, e’ “a monte” e riguarda i criteri di selezione utilizzati dall’IMI prima di attestare la idoneita’ di un organismo nazionale a rilasciare titoli amministrativi: tale profilo pero’ sfugge all’intervento interpretativo della Corte di Giustizia. Risultano allora inconferenti sia la circostanza secondo la quale piu’ volte i giudici rumeni avrebbero riconosciuto la validita’ dei titoli fatti valere dai i c.d. advocat BOTA (professionisti che hanno conseguito la abilitazione presso la struttura UNBR-BOTA), sia il fatto che il Ministero della Giustizia rumeno avrebbe “sconfessato” il proprio funzionario in quanto il giudizio del COA non si era basato su tale “certificazione”. In realta’ con tali deduzioni la ricorrente cerca di ricondurre la causa di cancellazione dall’Albo degli avvocati stabiliti all’esercizio del potere riconosciuto agli Stati, di sanzionare, in casi eccezionali (in presenza cioe’ di specifici indici di anomalia), eventuali comportamenti abusivi (vedi Corte di giustizia, sent. 17 luglio 2014, cause riunite C-58/13 e C-59/13, Torresi, sugli abogados spagnoli; Corte di giustizia, sent. 29 gennaio 2009, causa C-311/06, Cavai/era; Cass., S.U. n 4252 del 2016) ma, va rilevato, non a seguito di tale potere e’ stata disposta la cancellazione dall’Albo. Ne’ e’ corretto sostenere che, ragionando altrimenti, si attribuirebbe all’IMI una funzione certificatoria che non le e’ propria: invero l’IMI e’ stato correttamente utilizzato come mero veicolo di un potere certificatorio esplicato all’interno dello Stato in cui l’Advocat ha conseguito l’abilitazione e, dunque, la incongruenza che la ricorrente addebita allo Stato “ricevente” dovrebbe essere indagata con riferimento alle strutture dello Stato certificante.
4. Con il secondo motivo la ricorrente formula eccezione d’incostituzionalita’ dell’articolo 51 c.p.c., n. 1 nella parte in cui non prevede la revocazione del CNF per interferibilita’ tra funzione di indirizzo (in particolare circolari del 2013 e 2016, indirizzate a tutti i Coa sulla interpretazione del titolo Bota, espresso anche nella sentenza impugnata) e funzione giurisdizionale; sempre nello stesso motivo viene anche eccepita la nullita’ della sentenza per avere fatto parte del collegio l’avv. (OMISSIS), componente responsabile di analogo procedimento contro il COA di Caltagirone per interesse diretto, rilevando la violazione dell’articolo 47 CDFUE e articolo 6 CEDU che tutelano il diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale.
4.1 La prima censura e’ inammissibile oltre ad essere infondata; e’ inammissibile per violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, in quanto non e’ stata fornita l’indicazione specifica di dette circolari, sulle quali il motivo di censura rivolto alla sentenza impugnata si fonda; e’ infondata in quanto, come gia’ deciso in precedente occasione (Cass. S.U., 16 gennaio 2014 n. 775, in materia di giudizi disciplinari) la circostanza che il Consiglio Nazionale Forense, nella sua funzione di indirizzo e di coordinamento dei vari Consigli dell’ordine territoriali, abbia sollecitato gli. stessi all’adozione di provvedimenti di cancellazione dall’albo (nell’ipotesi allora in esame: per incompatibilita’, ai sensi della L. 25 novembre 2003, n. 339) non costituisce violazione dell’articolo 111 Cost. sotto il profilo del difetto di terzieta’, giacche’ le norme che disciplinano, rispettivamente, la nomina dei componenti del C.N.F. ed il procedimento offrono sufficienti garanzie con riguardo all’indipendenza del giudice ed alla imparzialita’ dei giudizi. La questione prospettata difetta altresi’ di rilevanza e decisivita’ in quanto la duplicita’ di ruoli nell’organo amministrativo- giudiziario non ha inciso sulla decisione fina e; pienamente legittimo comunque, in ambito piu’ generale, e’ il prevedere che un organismo a rilevanza pubblica quale il Consiglio Nazionale Forense – e quindi deputato a emanare provvedimenti organizzativi e di indirizzo per i propri iscritti – abbia, a limitati fini, anche il potere di decidere su impugnazioni di provvedimenti degli Ordini locali che formalmente si fondino su proprie disposizioni di carattere generale. Gli ulteriori profili di ritenuta contrarieta’ delle norme surrichiamate al principio del diritto di difesa e di parita’ delle parti nell’ambito del procedimento di che trattasi sono immotivati – se non con un implicito rinvio alla omnicomprensivita’ della suesposta censura di lesione al diritto al giusto processo – (cfr Cass. 19403, 19404 e 19405 del 2017).
Peraltro, l’emanazione di una circolare da parte del CNF non puo’ certo intendersi come “interesse diretto” ai sensi dell’articolo 51, n. 1, citato, atteso che la natura amministrativa della circolare evidenzia un ipotetico interesse del tutto astratto e non “diretto” del CNF: cio’ non diversamente da come sarebbe quello che emergerebbe da un proprio precedente di natura giurisdizionale. Si rileva, al riguardo che le Sezioni Unite hanno chiarito che “In realta’ l’inosservanza da parte del Giudice dell’obbligo di astensione, nelle ipotesi previste dall’articolo 51 c.p.c. determina la nullita’ del provvedimento adottato solo nell’ipotesi in cui il Giudice abbia un “interesse proprio e diretto” nella causa, tale da porlo nella veste di parte del processo in violazione del criterio nemo iudex in causa sua” (Cass. Sez., Un., n. 16615 del 2005; cfr anche Cass. sez. SU n. 07536/17 Cass. S.U. 21114/17).
4.2 La questione relativa alla nullita’ della sentenza per la partecipazione al Collegio dell’avv. (OMISSIS) e’ inammissibile per novita’ e, comunque, avrebbe essere dovuta fatta valere con istanza di ricusazione ed e’ comunque infondata in quanto l’atto che dovrebbe dimostrare l’esistenza di un interesse idoneo ad integrare una situazione di incompatibilita’ non e’ stato adottato nei confronti del COA di Locri ma di quello di Caltagirone.
5. Con il terzo motivo viene eccepita la violazione dell’articolo 3 della direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005 – recepita con il decreto legislativo 9 novembre 2007- contenente le definizioni generali utilizzate nel testo normativo; sostiene la ricorrente che la nota del Ministro della Giustizia – con la quale si dava atto che la identificazione nel UNBR tradizionale come unica struttura legittimata secondo il sistema IMI a rilasciare titoli abilitativi riposava su una comunicazione, poi disconosciuta quanto a poteri certificativi del funzionario straniero, dallo stesso Ministro rumeno; ricorda altresi’ la ricorrente che anche la Corte di Appello di Bucarest avrebbe negato tale potere certificativo al Ministero.
Il motive e’ inammissibile, oltre ad essere infondato; e’ inammissibile per difetto di specificita’ in quanto non e’ stato riportato il contenuto ne’ della nota del Ministero della Giustizia italiano, ne’ le certificazioni e rettifiche di quello rumeno e neppure le decisioni della Corte di Appello di Bucarest; peraltro l'”autorita’ competente” non diventa tale per una sorta di auto attribuzione di poteri bensi’ perche’, attraverso le procedure del sistema IMI, si accredita presso le istituzioni Euro unitarie: dunque la legittimita’ di tale registrazione (ed i vincoli interpretativi che da essa derivano) non puo’ essere sindacata in sede di impugnativa del provvedimento nazionale di cancellazione.
Non condivisibile appare dunque la conclusione che conduce la ricorrente a negare che “autorita’ competente” ad attestare la legittimita’ del rilascio di titoli abilitativi sia il Ministero della Giustizia rumeno, senza poi neppure prospettare chi ad esso si debba sostituire, suggerendo che la stessa emissione del titolo e il suo utilizzo di fatto presso gli organi di quello Stato costituiscano i presupposti legittimanti il successivo riconoscimento, “saltando” dunque ogni riferimento al sistema IMI.
6. Con il quarto motivo viene dedotta la violazione del Decreto Legislativo n. 96 del 2001, articolo 6, comma 2, riproponendo la ricorrente la questione della legittimita’ della negazione da parte della Romania del titolo rilasciato dalla struttura BOTA; anche tale motivo e’ inammissibile richiamando una serie di atti non menzionati nella sentenza e che neppure si dice dove e quando siano stati prodotti nel giudizio di merito.
Comunque il motivo e’ anche infondato in quanto il regolamento IMI ha anche indicato, per i suoi compiti istituzionali (articolo 5: “Definizioni”) quali debbano essere considerate le autorita’ abilitate a fornire alla Commissione le informazioni necessarie per garantire il diritto di stabilimento; soccorre, al riguardo, la “lettera f) del cit. articolo “autorita’ competente”: qualsiasi organismo a livello nazionale, regionale o locale e registrato nell’IMI con compiti specifici inerenti all’applicazione del diritto nazionale o di atti dell’Unione elencati nell’allegato in uno o piu’ settori del mercato interno”. Va evidenziato che la legittimazione ad interloquire a livello sovranazionale nel circuito IMI presuppone una registrazione -che l’UNBR-BOTA non aveva ottenuto- e solo attraverso essa si identifica l'”autorita’ Competente” a fornire informazioni agli utenti IMI – in questo caso gli Stati di appartenenza dell’advocat. Se le informazioni acquisite non sono corrette, perche’ lo Stato membro le ha fornito in modo inesatto, secondo le regole del proprio ordinamento, il soggetto che ritiene siano erronee deve tutelarsi nell’ordinamento di quello Stato, se del caso chiedendo al giudice di quello Stato di sindacare l’erroneo accertamento fatto dall’autorita’ statuale, in modo da poter ottenere che esso venga fatto constare all’ordinamento italiano, in occasione di una nuova iscrizione.
Quindi, al fine di invocare sia la nota del Ministero della Giustizia rumeno del 3 settembre 2013 sia la sentenza della Corte di Appello di Bucarest, evocate dalla ricorrente, la stessa avrebbe dovuto instaurare un procedimento in Romania, volto a domandare che quello Stato riconoscesse la natura dell’organizzazione Bota ai fini del rilascio del titolo di avocat e dell’informazione tramite il sistema IMI, provvedendo ad informarne lo Stato Italiano.
7.Con il quinto motivo viene dedotta la violazione della L. n. 241 del 1990, articolo 21, nonies, e succ. mod. per nullita’ del provvedimento di cancellazione in autotutela, prevedendo tale normativa dei limiti temporali per l’esercizio in autotutela della facolta’ di revoca dell’iscrizione; la censura e’ inammissibile in quanto nuova e comunque il limite di 18 mesi per l’autoannullamento e’ stato introdotto con il Decreto Legge 12 settembre 2014, n. 133, articolo 25, comma 10, lettera b quater, convertito con modificazioni nella L. 11 novembre 2014, n. 164 e successivamente con la L. 7 agosto 2015, n. 124, articolo 6, comma 10, lettera d, n. 1), non applicabili alla fattispecie ratione temporis (cfr Cass. S.U. 19404 e 19405/2017).
8. Con il sesto motivo si lamenta eccesso di potere per violazione del diritto acquisito e del legittimo affidamento, in quanto, essendo la ricorrente iscritta all’albo italiano da piu’ di tre anni dalla data della pronuncia impugnata avrebbe conseguito il diritto di essere iscritta nell’albo ordinario come avvocato integrato, ai sensi del Decreto Legislativo n. 96 del 2001, articolo 12 e ogni contraria pronuncia sarebbe viziata da eccesso di potere essendo in contrasto con il diritto quesito della ricorrente.
Tale rilievo va disatteso perche’ presupposto della “integrazione” e’ che si tratti di un avvocato legittimamente “stabilito”, il che invece e’ proprio l’oggetto della contestazione in esame e perche’ il diritto non puo’ dirsi quesito se sia in contrasto con norme imperative (cfr Cass. S.U. 19404 e 19405/2017).
9 Con l’ultimo motivo viene denunciata la nullita’ della sentenza per violazione del R.Decreto Legge 27 novembre 1933 n. 1578, articolo 45 per mancata instaurazione del contraddittorio in quanto la ricorrente non sarebbe stata convocata dal COA prima che fosse disposta la sua cancellazione.
Tale censura e’ gia’ stata dichiarata inammissibile per novita’ in quanto proposta nel giudizio di merito per la prima volta con la memoria 19.1.2017, senza che tale statuizione sia stata censurata. Comunque e’ anche infondata in quanto dalla sentenza impugnata (pag. 2) si da’ atto ai soli fini della narrativa del fatto (e non in risposta ad una censura che non risulta proposta) che il CCA, allorche’ apri’ il procedimento di cancellazione, invito’ la ricorrente a presentare osservazioni e soltanto all’esito dispose la cancellazione dall’albo.
Conclusivamente il ricorso va rigettato. Nessuna pronuncia va emessa sulle spese in mancanza di attivita’ difensiva degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1, quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato par a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Avv. Renato D’Isa

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