Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|25 settembre 2024| n. 25643.
Atto dispositivo del proprietario ed interruzione usucapione
Nel giudizio promosso dal possessore nei confronti del proprietario per far accertare l’intervenuto acquisto della proprietà per usucapione, l’atto di disposizione del proprietario in favore di terzi, ancorché conosciuto dal possessore, non esercita alcuna incidenza sulla situazione di fatto utile per l’usucapione, ma rappresenta, rispetto al possessore, res inter alios acta, ininfluente sulla prosecuzione della signoria di fatto sul bene, non impedita materialmente, né contestata in modo idoneo.
Ordinanza|25 settembre 2024| n. 25643. Atto dispositivo del proprietario ed interruzione usucapione
Data udienza 12 settembre 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Possesso – Effetti – Usucapione – Interruzione e sospensione – In genere atto dispositivo del proprietario – Idoneità ad interrompere il termine di usucapione – Esclusione – Fondamento.
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REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. MONDINI Antonio – Relatore
Dott. PIRARI Valeria – Consigliere
Dott. OLIVIA Stefano – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15751/2019 R.G. proposto da:
Di.Di., elettivamente domiciliato in ROMA VI.TU., presso lo studio dell’avvocato CA.BR. (-) rappresentato e difeso dall’avvocato RU.GI. (Omissis);
– ricorrente –
contro
Di.Gi.;
– intimata –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CALTANISSETTA n. 189/2018 depositata il 17/04/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024
dal Consigliere ANTONIO MONDINI.
Atto dispositivo del proprietario ed interruzione usucapione
PREMESSO CHE
1. Di.Di., affiliato di Di.Or. e di Sc.An., conveniva in giudizio la figlia legittima di questi ultimi, Di.Gi., chiedendo che venisse accertato che esso attore aveva acquistato per usucapione la proprietà di alcuni appezzamenti di terreno e di un fabbricato -indicati con i numeri da 1 a 6 della citazione – cedutigli dall’affiliante Di.Or. con scrittura del 7.2.1970 e posseduti pacificamente per oltre venti anni. Resisteva la convenuta. Il Tribunale accoglieva la domanda. Proponeva appello la soccombente. Resisteva l’attore svolgendo appello incidentale per l’omessa dichiarazione dell’usucapione su fondo in contrada (Omissis), indicato al n.5 della citazione e la Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza n. 96/04, rigettava la domanda, con condanna alle spese, osservando che la dichiarazione 7.2.1970, non disconosciuta, con la quale l’affiliante aveva “passato come proprietario” i beni indicati, era una mera dichiarazione unilaterale priva anche dei requisiti della promessa unilaterale per la indeterminatezza dei beni e la mancata indicazione del prezzo di vendita e non era idonea a trasferire il possesso, la cui prova, a prescindere dalla genericità dei capitoli, non era stata raggiunta con i testi escussi. Ricorreva per cassazione il Di.Di. e la Corte, con sentenza 5100/2010, accoglieva il ricorso sul rilievo che la sentenza impugnata aveva escluso la validità della scrittura e l’acquisto del possesso per usucapione ritenendo generiche le testimonianze , laddove invece non avrebbe dovuto tener conto della circostanza “che, a prescindere dalla validità della mera dichiarazione unilaterale, peraltro non disconosciuta, dalla data della stessa poteva ritenersi acquisita nell’affiliato la consapevolezza di un possesso “uti dominus”, significativa per la valutazione del suo comportamento successivo”. La Corte concludeva che la motivazione della sentenza di appello non era appagante e per questo accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa alla corte territoriale per nuovo esame;
Atto dispositivo del proprietario ed interruzione usucapione
2. con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Caltanissetta ha parzialmente accolto l’appello di Di.Di. contro la sentenza di primo grado dichiarando il Di.Di. proprietario dei terreni indicati con i numeri 4 e 6 nell’elenco contenuto nell’originario atto di citazione e riprodotto a pagina 3 della sentenza della Corte di Appello. La Corte di Appello ha invece confermato la sentenza di primo grado in riferimento alla non acquisizione a favore del Di.Di. del fabbricato e dei terreni di cui rispettivamente al numero 1 e ai numeri 2, 3 e 5 dell’elenco citato. I terreni di cui ai n. 2 e 3 erano individuati come insistenti in G, contrada (Omissis). La Corte di Appello ha riportato il testo della scrittura privata 7.2.1970 che, secondo quanto stabilito nella sentenza di legittimità, doveva tenersi in considerazione al fine di qualificare il possesso del Di.Di. ed ha evidenziato che in tale scrittura non erano menzionati terreni in contrada (Omissis) con la conseguenza che il dedotto possesso fondato sulla scrittura non poteva essere riferito ai terreni di cui ai numeri 2 e 3. La Corte di Appello ha poi escluso che il Di.Di. avesse posseduto per vent’anni il fabbricato di cui al n. 1 dell’elenco in quanto, fermo restando come momento di acquisto del possesso quello della scrittura 7.2.1970, i proprietari del fabbricato – l’affiliante Di.Or. e Sc.An. – avevano venduto il bene a terzi nel 1983 e “l’atto di disposizione dei proprietari è incompatibile con il preteso possesso uti dominus del Di.Di.”. Quanto al fondo di cui al n. 5 – fondo “in contrada (Omissis)” – la Corte di Appello ha evidenziato che “nessuno dei testi aveva fatto riferimento a detto fondo” con la conseguenza che, non essendovi prova del possesso, la domanda di accertamento dell’acquisto per usucapione di tale fabbricato doveva essere respinta;
3. per la cassazione della sentenza in epigrafe il Di.Di. ricorre con sei motivi. La causa perviene al Collegio a seguito di istanza di decisione, depositata dal ricorrente in riferimento alla proposta di definizione del consigliere delegato ex art. 380-bis c.p.c. con cui i motivi sono stati ritenuti inammissibili o manifestamente infondati. Il ricorrente ha depositato memoria.
Atto dispositivo del proprietario ed interruzione usucapione
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo di ricorso reca la seguente rubrica: “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1158, 2697, 2909 c.c., 111 Cost, 115, 116, 132 e 384 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma nn.3,4 e 5 c.p.c., erronea, travisata e/o falsa applicazione delle norme sulla prova testimoniale, omessa insufficiente o illogica o contraddittoria motivazione ed omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti”. Al di là della rubrica, il ricorrente in sostanza deduce che i terreni di cui ai numeri 2 e 3 dell’elenco contenuto nella citazione, posti in G, contrada (Omissis), erano, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte di Appello, menzionati anche nella scrittura privata 7.2.1970 posto che in quest’ultima erano indicati terreni “in contrada (Omissis)” e che, tenuto conto dei confini dei terreni in (Omissis) e delle referenze catastali di tali terreni e di quelli rivendicati ai numeri 2 e 3 dell’atto introduttivo originario, i terreni rivendicati “dovevano intendersi indentificati e nominati nella espressione “Contrada (Omissis)”. Il ricorrente deduce poi che i testi sentiti in primo grado avevano inteso fare riferimento anche ai terreni rivendicati;
2. il motivo è inammissibile in quanto l’assunto per cui la Corte di Appello avrebbe errato nella lettura dell’atto in data 7.2.2010 si riduce alla contrapposizione di una diversa lettura dell’atto medesimo basata su valutazioni del ricorrente dell’intero compendio istruttorio e che non supera quella della Corte di Appello basata sulla relativa lettera. Siffatto motivo si scontra con il principio per cui il motivo di ricorso non può consistere in una istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice del merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. 24148/2013). Deve ulteriormente aggiungersi che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, il sindacato sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale” essendo esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” – dedotto nella specie – della motivazione (Cass. S. U. 8053/2014) e che la motivazione della sentenza impugnata supera il minimo costituzionale: la Corte di Appello ha infatti espresso il proprio convincimento dando conto della divergenza tra l’atto del 1970 e l’oggetto della domanda e del dedotto possesso; 3. il secondo motivo di ricorso reca la seguente rubrica: “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1158, 1140, 1165, 2909 e 2943 c.c., 167 e 384 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c.”. Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello avrebbe errato nel dare rilievo all’atto di vendita posto in essere dai proprietari del fabbricato nel 1983 in quanto tale atto era stato prodotto in primo grado tardivamente e la doglianza di inammissibilità della produzione, sempre coltivata, era stata definitivamente riconosciuta fondata dalla Corte di cassazione nella sentenza n.5100/2010 con l’accoglimento del quinto motivo di ricorso.
Atto dispositivo del proprietario ed interruzione usucapione
Sostiene inoltre che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che il possesso esercitato da esso ricorrente sull’immobile dal febbraio 1970 fosse cessato per il solo fatto che i proprietari avevano venduto l’immobile a terzi laddove invece, pur dopo la vendita, “non vi era mai stato spossessamelo e neppure e iniziato un giudizio teso alla rivendica o al recupero” dell’immobile; 4. il motivo è nei limiti che seguono fondato.
Il motivo va disatteso per quanto concerne la doglianza centrata sulla dedotta inutilizzabilità dell’atto del 1983, in quanto asseritamente riconosciuta da questa Corte in accoglimento del quinto motivo di ricorso. Nella sentenza n.5100/2010 questa Corte riporta il quinto motivo nei seguenti termini: “col quinto motivo si deduce violazione degli 1158, 1140 e ss. c.c., 167 e 184-bis c.p.c., 2909 c.c. per avere la Corte di appello affermato l’esistenza di atti di disposizione dei proprietari incompatibili col possesso ad usucapionem quali l’affitto di un fondo ed il pagamento di tasse degli eredi”. La Corte di cassazione, quindi, non e stata chiamata a decidere sulla ammissibilità della produzione dell’atto dispositivo del 1983 e non ha deciso nel senso della sua inammissibilità. È stata chiamata a decidere sulla rilevanza – che presuppone, nell’ottica dello stesso ricorrente, l’ammissibilità – dell’atto.
Il motivo è invece fondato nella parte in cui viene dedotta l’erroneità della affermazione della Corte di Appello secondo cui “l’immobile risulta essere stato venduto con atto del 1983, data alla quale non era ancora maturata l’usucapione e l’atto di disposizione dei proprietari è incompatibile con il preteso possesso uti dominus del Di.Di. cosicché non può ritenersi maturato il diritto preteso dall’appellante”. Come questa Corte ha avuto modo di precisare “Nel giudizio promosso dal possessore nei confronti del proprietario per far accertare l’intervenuto acquisto della proprietà per usucapione, l’atto di disposizione del diritto dominicale da parte del proprietario in favore di terzi, anche se conosciuto dal possessore, non esercita alcuna incidenza sulla situazione di fatto utile ai fini dell’usucapione, rappresentando, rispetto al possessore, “res inter alios acta”, ininfluente sulla prosecuzione dell’esercizio della signoria di fatto sul bene, non impedito materialmente, né contestato in modo idoneo” (Cass. n.2752 del 05/02/2018). La Corte di Appello avrebbe dovuto verificare se, dopo l’atto di vendita, il possesso del ricorrente fosse o non fosse stato ancora esercitato per il tempo mancante al perfezionarsi del termine ventennale di usucapione;
Atto dispositivo del proprietario ed interruzione usucapione
5. il terzo motivo di ricorso reca la seguente rubrica: “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1158, 1140, 1165 c.c., delle norme sull’esame e sulla valutazione della prova testimoniale, dell’art. 384 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 e n. 5 c.p.c.”. Si sostiene che la Corte di Appello avrebbe errato nell’affermare che “nessuno dei testi escussi ha fatto riferimento a detto fondo” -ossia al possesso del ricorrente sul fondo in contrada (Omissis), indicato con il n. 5 nell’atto di citazione – in quanto invece il teste Ro.Ga. (la cui dichiarazione è riportata alle pagine 10 e 11 del ricorso), chiamato a riferire sul possesso del ricorrente “sull’appezzamento agricolo sito in contrada (Omissis) confinante a sud con Ro.Ga.”, aveva dichiarato di essere “confinante con l’attore” e di poter confermare di aver visto quest’ultimo “venire a lavorare” il fondo “prima con il padre e morto il padre, verso il 1986, da solo”.
6. Il motivo è inammissibile in quanto il ricorrente mira a rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito senza considerare che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. n.32505 del 22/11/2023);
7. il quarto motivo di ricorso reca la seguente rubrica: “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1158, 1140, 1165, 2943 c.c., degli artt. 115 e 116, 232, 384 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c. Omesso esame delle dichiarazioni testimoniali. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Si sostiene che la Corte di Appello avrebbe dovuto accertare la sussistenza degli elementi richiesti dall’art. 1158 c.c. “al momento in cui ha deciso la controversia” e che “al momento della decisione impugnata il periodo ventennale di possesso uti dominus di tutti gli immobili oggetto della domanda di usucapione era maturato non solo con riferimento alla data della dichiarazione unilaterale dell’affiliante del 7.2.1970 ma anche con riferimento sia alla data della morte di Di.Or. e di Sc.An., avvenuta rispettivamente il 10.6.1986 e il 3.12.1987, sia alla data di notifica dell’atto di citazione in primo grado del 2.6.1997”, come risultava “utilizzando correttamente le risultanze della prova testimoniale circa il corpus possessionis e collegandole all’affermato elemento morale dell’animus possidendi come proprietario e a quello temporale di gran lunga superiore ai venti anni e mai interrotto”;
Atto dispositivo del proprietario ed interruzione usucapione
8. il motivo è inammissibile perché, al di là della rubrica, è veicolo non di censure specifiche avverso la sentenza impugnata ma di una pura e semplice riaffermazione della tesi del ricorrente basata su un uso asseritamente “corretto” del compendio istruttorio genericamente richiamato;
9. il quinto motivo di ricorso reca la seguente rubrica: “violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 1140, 1165, 2943 c.c., e 384 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.”. Si sostiene che la Corte di Appello “avendo omesso di esaminare e non avendo preso in considerazione le deduzioni e richieste di parte attrice circa il fatto che a prescindere dal contenuto della dichiarazione del 7.2.1970 la domanda di usucapione di tutti i beni in contestazione risultava provata in tutti i suoi elementi dalle altre risultanze istruttorie, quali le deposizioni testimoniali e di tempo trascorso, ha violato l’art.360,n.5 c.p.c.”;
10. il motivo è inammissibile. “L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, conv. dalla L. n. 143 del 2012, prevede T’omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate” (Cass. n.2268 del 26/01/2022).
11. Il sesto motivo di ricorso reca la seguente rubrica: “violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c.”. Si sostiene che la Corte di Appello ha errato nel compensare le spese del giudizio “a motivo dell’accoglimento parziale della domanda di usucapione” laddove invece avrebbe dovuto “accogliere interamente la domanda e condannare la convenuta alla refusione totale delle spese”;
Atto dispositivo del proprietario ed interruzione usucapione
12. il motivo resta assorbito giacché la liquidazione delle spese dovrà essere effettuata dal giudice a cui la causa deve essere rinviata per effetto della cassazione della sentenza conseguente all’accoglimento del secondo motivo di ricorso; 13. in conclusione, il secondo motivo di ricorso deve essere accolto, il sesto resta assorbito, gli altri motivi devono essere rigettati, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rinviata alla Corte di Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il sesto motivo e rigetta i motivi restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per le spese.
Roma 12 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2024.
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