Corte di Cassazione, civile, Sentenza|25 settembre 2024| n. 25698.
Ricorso per cassazione in ipotesi di pluralità di difensori
Ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, in ipotesi di pluralità di difensori, è sufficiente che uno degli avvocati, munito di procura speciale e che abbia sottoscritto l’atto, sia iscritto nell’apposito albo, rimanendo irrilevanti sia la mancata iscrizione in detto albo di altro avvocato sottoscrittore, sia l’omessa sottoscrizione di alcuno dei difensori a cui sia stata rilasciata la procura.
Sentenza|25 settembre 2024| n. 25698. Ricorso per cassazione in ipotesi di pluralità di difensori
Data udienza 22 marzo 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Impugnazioni civili – Cassazione (ricorso per) – Mandato alle liti (procura) – In genere ricorso per cassazione – Pluralità di difensori del ricorrente – Iscrizione nell’apposito albo di uno degli avvocati sottoscrittori munito di procura speciale – Sufficienza ai fini dell’ammissibilità – Sussistenza – Mancata iscrizione nell’albo o omessa sottoscrizione di altro difensore – Rilevanza – Esclusione.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente
Dott. VALLE Cristiano – Relatore
Dott. AMBROSI Irene – Consigliere
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere
Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20824/2021 R.G. proposto da:
GI. Srl, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato LA.GI. (Omissis) e congiuntamente dall’avvocato abilitato TE.GA. (Omissis)
– ricorrente –
contro
ASSICURATORI DE.LL., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato FE.MA. (Omissis) unitamente all’avvocato BA.RO. (Omissis)
– controricorrente –
nonché contro
Ga.Fr., rappresentata e difesa dall’avvocato LA.BA. (Omissis)
– controricorrente –
nonché contro
AX.AS. Spa,
– intimata –
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di BARI n. 1087/2020 depositata il 18/06/2020.
Alla pubblica udienza del 22/03/2024 il Procuratore Generale Alberto Cardino ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, con enunciazione di principio di diritto ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ., riportandosi alle conclusioni scritte già depositate;
il difensore della ricorrente Ga.Ca., in sostituzione dell’avvocato Gi.Gi., ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
il difensore dei Ll.Di. ha concluso per il rigetto del ricorso;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/03/2024 dal Consigliere relatore, Cristiano Valle, osserva quanto segue.
Ricorso per cassazione in ipotesi di pluralità di difensori
FATTI DI CAUSA
La GI. Srl propose, dinanzi al Tribunale di Bari, domanda di risarcimento danni nei confronti del notaio dott.ssa Ga.Fr. affermando che questa, quale delegata dal giudice dell’esecuzione immobiliare, aveva venduto illegittimamente un immobile di rilevanti dimensioni, di proprietà della detta società, per il prezzo di 615.000,00 (seicentoquindicimila) euro.
Il notaio si costituì in giudizio e chiese di essere autorizzato a chiamare in causa le proprie compagnie assicuratrici, ossia la Ax. Spa e i Ll.Di., che entrambe si costituirono, dopo l’autorizzazione del giudice.
La domanda della GI. Srl venne rigettata.
La GI. Srl propose appello e la Corte territoriale, nel ricostituito contraddittorio delle parti, l’ha rigettato.
Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorre, con atto affidato a sei motivi di ricorso, la GI. Srl
Rispondono, con separati controricorsi, la notaia Ga.Fr. e i Ll.Di..
Ax. Spa è rimasta intimata.
La sola controricorrente notaia Ga.Fr. ha depositato memoria.
Ricorso per cassazione in ipotesi di pluralità di difensori
La causa e stata chiamata una prima volta all’adunanza camerale del 9/11/2023, all’esito della quale, con ordinanza interlocutoria n. 35114 del 14/12/2023 è stata rimessa alla pubblica udienza in ordine alla questione, ritenuta di particolare rilevanza giuridica “della responsabilità civile del notaio, e più in generale del professionista delegato che operi, sotto le direttive del giudice dell’esecuzione, nel procedimento espropriativo e, in particolare, se questi possa essere chiamato in proprio a rispondere del suo operato, indipendentemente dalle opposizioni avverso gli atti esecutivi e se possa essere chiamato a rispondere per atti compiuti nell’ambito della delega, ovvero soltanto per il compimento di atti posti in essere esorbitando dai limiti della delega”.
Per l’udienza pubblica del 22/03/2024 il Pubblico Ministero ha fatto pervenire conclusioni scritte e ha, quindi, concluso per l’inammissibilità del ricorso e per l’enunciazione del principio di diritto ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ.
Tutte le parti hanno depositato memoria per l’udienza pubblica del 22/03/2024.
Alla detta udienza la causa è stata trattenuta per la decisione, previa discussione dei difensori delle parti presenti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente censura come segue la sentenza della Corte territoriale.
Con il primo motivo deduce la nullità della sentenza per mancanza ed insufficienza di motivazione e per la mancata indicazione delle norme di legge e dei principi di diritto applicabili nella fattispecie e sostiene l’erroneità dell’iter logico che ha violato il suo diritto di difesa.
Con il secondo motivo sostiene che ha errato la Corte d’appello laddove ha ritenuto che il controllo del giudice dell’esecuzione toglierebbe efficacia causale al comportamento del professionista delegato e che, sulla base di tale erroneo presupposto, nella specie, non sarebbe stata scrutinata la eventuale responsabilità della notaia e che sarebbe assente, o quanto meno palesemente carente, la ricostruzione dei fatti operata dai giudici del merito.
Con il terzo motivo deduce la nullità del credito dell’esecutante, per essere stato quantificato con un calcolo anatocistico degli interessi, che ne comporta la nullità insanabile e rilevabile d’ufficio; circostanza che, anche d’ufficio, doveva essere rilevata.
Con il quarto motivo parte ricorrente deduce che la Corte d’appello non ha considerato la circostanza che, al momento della trascrizione del pignoramento immobiliare, vi fosse in essere un contratto di locazione, opponibile sia al creditore procedente e cedente che al cessionario del credito.
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Con il quinto motivo la ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, la debitrice esecutata, non ha avuto altro strumento di tutela dei propri diritti gravemente lesi se non quello dell’azione risarcitoria in danno del professionista delegato che abbia operato, come nella fattispecie di cui ci si occupa, in maniera illegittima.
Con il sesto motivo, denunciando violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., la ricorrente rileva la carenza, sotto il profilo probatorio, della sentenza impugnata, ponendo in evidenza di aver corroborato la propria linea difensiva con copiose ed inconfutabili prove documentali, ritualmente esibite ma del tutto ignorate prima dal Tribunale e poi dalla Corte d’Appello.
La difesa della notaia Ga.Fr. ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, per essere il mandato difensivo affidato congiuntamente all’avvocato abilitato Ga.Te., non iscritto all’Albo speciale per le giurisdizioni superiori.
L’eccezione di inammissibilità non può avere favorevole seguito, poiché il mandato difensivo è stato rilasciato dal legale rappresentante della GI. Srl, che, per inciso, è lo stesso Ga.Te., oltre che a se stesso anche all’avvocati Gi.Gi., che risulta regolarmente iscritto all’Albo per la difesa in giudizio dinanzi alle giurisdizioni superiori dal 23/02/2018, e quindi da data anteriore alla proposizione del ricorso per cassazione nella presente controversia.
Questa Corte ha affermato (Cass. n. 9363 del 17/04/2013 Rv. 625723-01), e questo Collegio intende ribadire, che ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, in ipotesi di pluralità di difensori, è sufficiente che uno degli avvocati, munito di procura speciale e che abbia sottoscritto l’atto, sia iscritto nell’apposito albo, rimanendo irrilevanti sia la mancata iscrizione in detto albo di altro avvocato sottoscrittore, sia l’omessa sottoscrizione di alcuno dei difensori cui sia stata rilasciata la procura. Nella specie, quindi, il ricorso è stato ritualmente sottoscritto anche dall’avvocato Gi.Gi., iscritto nell’apposito albo e tanto è sufficiente, potendo, se del caso, rilevare la mancata iscrizione all’albo dell’altro difensore, avvocato stabilito Ga.Te., in sede disciplinare.
Il primo motivo di ricorso è compendiato in quattro righe e mezza e afferma, senza alcuna specifica indicazione delle norme di diritto che si assumono violate, salvo un riferimento alla violazione dell’art. 24 Costituzione, per essere stato impedito il diritto di difesa, la nullità della sentenza della Corte territoriale per “mancanza ed insufficienza di motivazione e per la mancata indicazione delle norme di legge e dei principi di diritto applicabili nella fattispecie …”.
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Il motivo è, quindi, del tutto privo di un adeguato apparato critico logico-argomentativo e si pone in mera contrapposizione, peraltro di carattere soltanto formale e apodittico, avverso la sentenza della Corte territoriale, in modo tale che non risulta in alcun modo individuabile quale sia la specifica censura che si intende proporre.
Il secondo motivo, al pari del primo, non reca alcuna specifica indicazione delle norme di diritto che si assumono violate e neppure individua in base a quale parametro, tra quelli di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 360, comma 1, codice di rito, le censure sono riferite. Il motivo afferma che i giudici del merito hanno errato nell’affermare che al fine di fare rilevare che il comportamento doloso o doloso del notaio sarebbe sempre necessario adire l’ufficio giudiziario e che tanto sarebbe stato precluso, in quanto i rimedi endoesecutivo presupponevano che fosse il notaio a rivolgersi al giudice dell’esecuzione, senza che vi potesse essere un’immediata impugnazione dell’atto del professionista.
Detta prospettazione è di per sé errata, poiché nel sistema della legge n. 302 del 3/08/1998, che introdusse nell’impianto del codice di procedura civile l’art. 591 ter, era previsto che avverso gli atti del notaio delegato dal giudice dell’esecuzione le parti e gli interessati potevano proporre reclamo al giudice dell’esecuzione, il quale provvedeva con ordinanza, impugnabile ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ. (in tal senso si veda Cass. n. 14707 del 26/06/2006 Rv. 591031-01). Questo il testo originario dell’art. 591 ter applicabile nella specie, in quanto la delega alla notaio Ga.Fr. venne conferita, come riferisce in ricorso la stessa ricorrente, in data 6/12/2003: “Quando, nel corso delle operazioni di vendita con incanto, insorgono difficoltà, il notaio delegato può rivolgersi al giudice dell’esecuzione, il quale provvede con decreto. Le parti e gli interessati possono proporre reclamo avverso il predetto decreto nonché avverso gli atti del notaio delegato con ricorso allo stesso giudice, il quale provvede con ordinanza; il ricorso non sospende le operazioni di vendita salvo che il giudice, concorrendo gravi motivi, disponga la sospensione. Restano ferme le disposizioni di cui all’art. 617.”. La previsione del reclamo immediato al giudice dell’esecuzione avverso gli atti del notaio delegato è rimasta ferma, pure dopo l’ampliamento, agli avvocati e ai commercialisti, dei soggetti delegabili, in tutte le versioni dell’art. 591 ter succedutesi via via a opera delle modifiche introdotte da dall’art. 2, comma 3 lett. e) n. 33 del D.L. n. 35 del 14/03/2005, convertito con modificazioni nella legge n. 80 del 14/05/2005, con effetto dal 1/03/2006 e quindi dall’art. 3, comma 42 del D.Lgs. n. 149 del 10/10/20022, mentre le modifiche alla norma apportate dall’art. 13, comma 1, lett. cc bis) del D.L. n. 83 del 27/06/2015, convertito nella legge n. 132 del 6/08/2015 non rilevano nel caso concreto, in quanto attinenti unicamente al regime di impugnabilità del provvedimento del giudice dell’esecuzione, per il quale venne prevista la reclamabilità al collegio, con previsione successivamente abrogata e ripristino del contro mediante opposizione attizia.
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Sul punto la Corte territoriale ha, semmai, compiuto un errato richiamo delle norme rilevanti, in quanto ha fatto riferimento all’art. 60 cod. proc. civ., e non, o perlomeno non soltanto, all’art. 591 ter cod. proc. cciv., che prevedeva, nell’originario impianto della novella legislativa, e tuttora prevede, la reclamabilità diretta degli atti del notaio (e comunque del professionista) delegato al giudice dell’esecuzione.
Il secondo motivo, laddove afferma che comunque la GI. Srl aveva proposto i rimedi dell’opposizione all’esecuzione e dell’opposizione agli atti esecutivi e che era stata proposta anche una controversia distributiva e pertanto la notaia Ga.Fr. poteva essere chiamata a rispondere civilmente, ai sensi dell’art. 2043 del suo operato, omette di riferire che la Corte d’Appello ha compiutamente dato atto dell’avvenuta proposizione di un’opposizione all’esecuzione e ha, anche, affermato che tutte le opposizioni o erano state rigettate, con sentenze non più soggette ad impugnazione, o che le cause di opposizione non erano state adeguatamente coltivate, cosicché, conclude il giudice di merito, le responsabilità del notaio risultavano coperte dall’avvenuta esclusione delle cause di invalidità della procedura esecutiva con conseguente stabilizzazione degli effetti degli atti posti in essere anche dal professionista delegato.
Il secondo motivo richiama anche l’operato del notaio Ga.Fr. in punto di omesso rilievo della circostanza che il credito posto a base della procedura esecutiva non era più assistito dal privilegio fondiario, in quanto ceduto dall’istituto di credito fondiario a altro soggetto, non esercente il credito fondiario. La prospettazione è irrilevante: la Corte territoriale ha del tutto correttamente affermato che l’esecuzione poteva ben essere proseguita anche da soggetto non appartenente al novero di quelli autorizzati all’esercizio del credito fondiario e che il cessionario del credito, divenuto anche aggiudicatario del bene, come accaduto, era legittimato a compensare parte del credito con il prezzo di aggiudicazione, avendo proceduto, come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, a fare annotare la cessione del credito e l’ipoteca in quanto l’annotazione ha efficacia costitutiva del vincolo e, conseguentemente, il trasferimento dell’ipoteca a favore del creditore che abbia soddisfatto il creditore munito di prelazione è inefficace nei confronti dei creditori concorrenti, in mancanza dell’annotazione della surrogazione (Cass. n. 14003 del 26/07/2004 Rv. 575677-01).
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere confermata sul punto, salvo che per l’errata affermazione della necessità di contestare gli atti del notaio delegato ai sensi dell’art. 60 cod. proc. civ., mentre il rimedio previsto era quello, di cui all’art. 591 ter cod. proc. civ., del reclamo al giudice dell’esecuzione.
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Il terzo motivo è incentrato sulla effettiva dimensione quantitativa del credito per la cui riscossione era stata instaurata la procedura esecutiva.
Il motivo è rubricato, testualmente “nullità del credito”.
Con riferimento all’intestazione del motivo deve rilevarsi che non è indicata alcuna norma di legge violata e tantomeno il parametro in base al quale è proposta la censura ossia per violazione e (o) falsa applicazione di norme di diritto, nullità della sentenza o del procedimento o omesso esame.
Il motivo, esteso poco più di mezza pagina non contiene alcuna specifica censura e si riferisce genericamente a un calcolo anatocistico degli intessi, che, nella prospettazione di parte ricorrente, doveva essere rilevata d’ufficio. Non è offerto alcuna indicazione numerica iniziale, se non per mezzo del richiamo della somma indicata nell’atto di precetto, del credito dalla quale potere desumere l’asserita maggiorazione anatocistica. Soltanto nel corpo del motivo è indicata, quale norma violata, l’art. 1283 cod. civ.
La Corte territoriale ha, peraltro, affermato che l’opposizione all’esecuzione proposta dalla GI. Srl con riferimento all’ammontare del credito, in quanto comprendente interessi ultralegali e anatocistici, era stata rigettata dal Tribunale di Bari, con sentenza n. 1771 del 6/04/-22/09/2004 e l’impugnazione in appello era stata dichiarata inammissibile, dalla stessa Corte territoriale, con sentenza n. 788 del 28/07/2009. Sul punto il terzo motivo nulla deduce.
Il terzo motivo è, quindi, radicalmente inammissibile.
Il quarto motivo è incentrato sulla circostanza che l’immobile della GI. Srl, al momento della trascrizione del pignoramento, era locato e che il contratto di locazione era opponibile sia al creditore procedente istituto di credito fondiario sia al cessionario del credito.
Il quarto motivo è infondato. La Corte d’appello ha affermato che il professionista delegato notaio Ga.Fr. aveva informato dell’esistenza della locazione il giudice dell’esecuzione, specificando che essendo il contratto di locazione stato registrato prima del pignoramento il rinnovo non era stata autorizzato dal giudice dell’esecuzione, adempiendo in tal modo il suo mandato e la successiva decisione di non procedere al rinnovo della locazione era stata assunta dal giudice dell’esecuzione nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali di direzione del procedimento. Il decreto del giudice dell’esecuzione, che aveva escluso l’opponibilità del contratto di locazione all’aggiudicatario, non era stato in alcun modo reclamato e, pertanto, si era stabilizzato, cosicché deve escludersi, così come correttamente fatto dal giudice del merito, che detta decisione possa ridondare in senso sfavorevole per il professionista delegato.
Il quarto motivo, deve pertanto, essere disatteso.
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Il quinto motivo costituisce una sorta di sommatoria dei precedenti quattro ed è anch’esso privo di adeguati riferimenti normativi, sia di diritto sostanziale che processuale, e si risolve in un riepilogo delle illegittimità delle quali si sarebbe reso autore, nella prospettazione della ricorrente, il professionista delegato e contiene un generico richiamo agli artt. 2699 cod. civ. (Atto pubblico) e 47 della legge n. 89 del 1913, in quanto il notaio avrebbe agito in spregio dei doveri che informano il pubblico ufficio di cui era investito.
Il motivo è del tutto carente ai sensi dell’art. 366, comma 1, nn. 4 e 6 cod. proc. civ. ed è pertanto, inammissibile.
Il sesto motivo deduce violazione dell’onere della prova ed è rubricato con riferimento all’art. 2697 cod. civ., ma, in concreto, si limita ad affermare che la GI. Srl avrebbe fornito adeguata prova della illegittimità dell’operato del professionista delegato e che, viceversa, non erano emerse prove della legittimità della condotta posta in essere in conformità al dettato normativo.
L’assunto è meramente apodittico e il riferimento all’art. 2697 cod. civ. è di puro stile, posto che un motivo che denunci la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura effettivamente – e, dunque, dev’essere scrutinato come tale – solo se con esso risulti dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioé attribuendo l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione analitica della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando il motivo deducente la violazione del paradigma dell’art. 2697 cod. civ. non risulti argomentata in questi termini, ma solo con la postulazione (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie ha condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso è inammissibile come motivo in iure ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. (se si considera l’art. 2697 cod. civ. norma processuale) e ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. (se si considera l’art. 2697 cod. civ. norma sostanziale, sulla base della risalente prospettazione dell’essere le norme sulle prove norma sostanziali) e, nel regime dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. oggi vigente, si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove oggi vietato ai sensi di quella norma (Cass. n. 11892 del 10/06/2016 Rv. 640193-01).
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Il ricorso è, in conclusione, infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
Il Collegio non ritiene, pur nella complessiva infondatezza delle prospettazioni di parte ricorrente, che il sistema dei rapporti tra giudice dell’esecuzione e professionista delegato possa essere ricostruito, così come evidenziato dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni e nella istanza ivi ricompresa di enunciazione del principio di diritto, ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ., quale comportante l’esercizio pieno di funzioni giudiziarie o giurisdizionali in capo al delegato, in quanto la legge processuale, come modificata a decorrere dall’anno 1998, si limita a prevedere la delegabilità di un novero, invero assai ampio di atti del processo esecutivo, che resta diretto dal giudice dell’esecuzione, giusta la previsione dell’art. 484, comma 1, cod. proc. civ., ferma restando che l’imputazione degli atti fa capo sempre all’ufficio giudiziario nel suo complesso (cfr. in termini sembra potersi legge Cass. n. 16219 del 19/05/2022 Rv. 664904-01), cosicché l’eventuale azione di risarcimento danni per violazione commesse nell’esercizio dell’attività giurisdizionale dovrà essere comunque rivolta nei confronti dell’ufficio giudiziario, qualora esso sia collegiale, ovvero del singolo giudice persona fisica – ivi compresi coloro che sono chiamati in veste di non appartenenti all’ordine giudiziario a esercitare funzioni giurisdizionali (quali i componenti delle corti d’assise, i giudici onorari, i componenti dei collegi del Tribunale per i minorenni) ai sensi della legge n. 117 del 13/4/1988 – che l’ha posto in essere e non nei confronti del professionista delegato, che potrà essere chiamato a rispondere in via ordinaria, per colpa o dolo, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., qualora ne sussistano i presupposti, ossia quando i suoi atti sono stati posti in essere al di fuori dello schema legale e non possano essere ricondotti in alcun modo al legittimo esercizio della delega.
L’art. 1 della legge n. 117 del 1988, invero, così identifica i soggetti annoverabili tra i destinatari dell’azione di responsabilità secondo il regime da essa previsto:
“1. Le disposizioni della presente legge si applicano a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l’attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai magistrati che esercitano le proprie funzioni in organi collegiali.
3. Nelle disposizioni che seguono il termine “magistrato” comprende tutti i soggetti indicati nei commi 1 e 2.”.
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Questa Corte (Cass. n. 4070 del 14/02/2024 Rv. 670099-01), ha, peraltro, recentissimamente affermato che “per i danni cagionati nell’esercizio delle funzioni di ausiliario del Pubblico Ministero, al consulente tecnico non è applicabile l’esenzione dall’assoggettamento all’azione diretta, prevista dalla L. n. 117 del 1988 per il magistrato in relazione alle attività svolte nell’esercizio delle sue funzioni, atteso che la ratio di tale normativa è la regolamentazione della responsabilità di tutti quelli che, pur se non inseriti stabilmente nell’organico della magistratura, svolgono, a vario titolo, funzioni giudiziarie nel senso tipico e rigoroso del termine e non è estensibile in favore di chi, pur lavorando in collaborazione con il magistrato, non svolge funzione giurisdizionale, come il consulente”.
A tanto consegue l’esclusione di soggetti, estranei alle magistrature, ai quali le attività giudiziarie sono, di volta in volta, e con provvedimenti specifici, delegate.
Le spese di lite seguono la soccombenza della società ricorrente, e, tenuto conto dell’attività processuale espletata, in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo, in favore di ciascuna delle controparti costituite.
La Corte non ritiene che sussistano i presupposti per l’irrogazione della sanzione di cui all’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., poiché come già affermato da questa Corte (Cass. n. 19948 del 12/07/2023 Rv. 668146-01) agire in giudizio per far valere una pretesa non è di per sé condotta rimproverabile, anche se questa si riveli infondata, dovendosi attribuire alla fattispecie di cui all’art. 96, comma 3, codice di rito, carattere eccezionale e (o) residuale, al pari del correlato istituto dell’abuso del processo, giacché una sua interpretazione lata o addirittura automaticamente aggiunta alla sconfitta processuale verrebbe a contrastare con i principi dell’art. 24 Costituzione.
Il rigetto del ricorso comporta che deve attestarsi la sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 30/05/2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 24/12/2012 n. 228, per il cd. raddoppio del contributo unificato, se eventualmente dovuto.
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P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascuna controricorrente in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente e al competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se eventualmente dovuto.
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Così deciso in Roma il 22 marzo 2024.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
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