Dedotta inesistenza del giudicato ed autosufficienza

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|25 settembre 2024| n. 25700.

Dedotta inesistenza del giudicato ed autosufficienza

Nel giudizio di legittimità, la parte ricorrente che deduca l’inesistenza del giudicato esterno invece affermato dalla Corte di appello deve, per il principio di autosufficienza del ricorso ed a pena d’inammissibilità dello stesso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione.

 

Ordinanza|25 settembre 2024| n. 25700. Dedotta inesistenza del giudicato ed autosufficienza

Data udienza 24 aprile 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Impugnazioni civili – Cassazione (ricorso per) – Motivi del ricorso – In genere dedotta inesistenza da parte del ricorrente della preclusione del giudicato esterno invece predicata dalla sentenza d’appello – Contenuto del ricorso – Osservanza del principio di autosufficienza – Necessità – Conseguenze.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott.ssa SCRIMA Antonietta – Presidente

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. SIMONE Roberto – Consigliere Rel.

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15186/2021 R.G.,

proposto da

Ar.Ro., rappresentata e difesa dall’Avv. An.Ca., in virtù di procura su foglio separato allegato ricorso;

pec (Omissis);

– ricorrente –

contro

Ma.Ma., rappresentato e difeso dall’avv. Gi.Di. in virtù di procura su foglio separato allegato al controricorso;

pec (Omissis);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 1688/2020 della Corte d’Appello di L’Aquila pubblicata il 3.12.2020;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24.4.2024 dal Consigliere dott. Roberto Simone.

Dedotta inesistenza del giudicato ed autosufficienza

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 14.10.2019 il Tribunale di Vasto condannava Ar.Ro. al pagamento in favore di Ma.Ma. dell’importo di Euro 18.292,82 (di cui Euro 1.200 per canoni versati a titolo di cauzione, Euro 19.200,00 per canoni versati e non dovuti per 34 mensilità a decorrere dal febbraio 2010 al novembre 2012, detratti euro 3.307,17 per indennità di occupazione) a titolo di ripetizione di canoni di locazione non dovuti per effetto della sentenza n. 2257/2017 resa dalla Corte d’Appello di L’Aquila (passata in giudicato).

2. La Corte d’Appello di L’Aquila con la sentenza oggi impugnata ha confermato la pronuncia di primo grado e rigettato l’appello proposto dalla Ar.Ro. sulla base dei seguenti rilievi:

I – dato il passaggio in giudicato della sentenza n. 2257/2017 resa dalla Corte d’Appello di L’Aquila, erano inammissibili le censure svolte dall’appellante con riferimento all’art. 13, commi primo e secondo, della legge 9.12.1998, n. 431 come modificato dall’art. 1, comma 59, L. 208/2015, prevedente la sanzione della nullità per “ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”, con onere per il locatore “di provvedere alla registrazione nel termine perentorio di trenta giorni” e con attribuzione al conduttore dell’azione per poter chiedere “la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato”;

II – atteso il passaggio in giudicato della indicata sentenza, e richiamata Corte cost. 13 aprile 2017, n. 87 (che ha disatteso la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 59, L. 28 dicembre 2016 n. 208, recante “disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stato” (legge di stabilità 2016), in riferimento agli art. 136 e 3 Cost., nella parte in cui sostituisce l’art. 13, 6 comma, L. 9 dicembre 1998 n. 431), nessun dubbio poteva sorgere in ordine alla nullità ab origine del contratto di locazione intervenuto, sebbene tardivamente registrato, e sulla sussistenza dell’obbligo di restituzione dal febbraio 2010 al novembre 2012, data la sanatoria del periodo successivo, non avendo il locatore diritto al pagamento del canone stabilito convenzionalmente, ma solo all’indennità forfettaria “pari al triplo della rendita catastale dell’immobile”, nel periodo “dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015” (con conseguente obbligo di restituire l’eccedenza);

Dedotta inesistenza del giudicato ed autosufficienza

III – quanto al periodo anteriore (dal febbraio 2010 al 7.4.2011, data di entrata in vigore del D.Lgs. 23/2011), correttamente era stato applicato analogicamente l’art. 13, comma 5, L. 431/1998, così da contemperare la dichiarazione di nullità del contratto, impediente la percezione del canone convenzionale da parte del locatore, con il diritto di quest’ultimo di conseguire una indennità per l’occupazione del bene.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre la Ar.Ro., sulla base di tre motivi. Risponde con controricorso il Ma.Ma.

La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380-bis.1. c.p.c.

Il pubblico ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.

Il controricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo viene denunciata “violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.”. Assume la ricorrente che dalla sentenza n. 2257/2017 resa dalla Corte d’Appello di L’Aquila non discende alcun giudicato sulla nullità del contratto intercorso tra le parti, ma solo la sostituzione legale della clausola relativa al contratto di locazione, risultando preclusa l’indagine sulla pretesa del locatore di vedere dichiarato risolto il contratto e per il pagamento della differenza tra canone legale e quello pattuito. Del tutto diverso era l’oggetto del contendere nell’ambito del procedimento definito con la sentenza impugnata: il diritto del conduttore a ripetere quanto pagato in eccesso su base pattizia rispetto al canone legale per il periodo antecedente la registrazione.

1.2. Con il secondo motivo viene denunciata “violazione e falsa applicazione dell’art. 13, commi primo e secondo, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, come modificato dall’art. 1, comma 59, della Legge n. 208/2015”. Premesso che nel caso esaminato non ricorreva una ipotesi di simulazione del canone pattuito ma di omessa registrazione, erroneo risulterebbe il richiamo fatto all’art. 13, commi primo e secondo, L. 431/1998 in quanto relativo all’ipotesi di nullità di ogni pattuizione diretta a determinare un importo del canone in misura superiore a quanto risulta dal contratto scritto e registrato.

Le due fattispecie sarebbero del tutto diverse, posto che mentre la prima non determina un vizio genetico del contratto e la successiva registrazione spiega effetti sananti ex tunc, precludendo effetti restitutori rispetto ai canoni versati, la seconda in quanto si risolve nella simulazione dell’ammontare del canone presenta una nullità non sanabile ai sensi dell’art. 1423 c.c.

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2. I primi due motivi di impugnazione in quanto strettamente connessi devono essere esaminati congiuntamente e nel complesso sono inammissibili.

2.1. Anche a prescindere dal difetto di interesse ad agire rilevato dal controricorrente con riferimento al primo motivo di ricorso, data la coerenza logica tra la premessa del motivo e la base della sentenza impugnata, posto che la sostituzione ex art. 1419 c.c. della clausola relativa al canone è coerente con la tesi della nullità del contratto, entrambi i motivi devono ritenersi inammissibili per violazione del principio di specificità.

2.2. Come reiteratamente sostenuto dal Supremo collegio, nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l’onere di specificità del ricorso; pertanto, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (v. Cass. 19 agosto 2020, n. 17310; 31 maggio 2018, n. 13988; 23 giugno 2017, n. 15737). Detto principio, inoltre, “trova applicazione nel caso in cui, inverso, ma corrispondente, il ricorrente assuma l’insussistenza della preclusione da giudicato esterna, invece predicata dalla sentenza d’appello” (v. Cass. n. 17310 del 2020 cit.).

Nel caso di specie, in violazione dell’art 366, comma 1, n. 6, c.p.c. la ricorrente non ha riportato debitamente nel ricorso la richiamata sentenza n. 2257/2017 resa dalla Corte d’Appello di L’Aquila, limitandosi al mero richiamo del dispositivo. Così facendo, tuttavia, il collegio non è stato messo in condizione di conoscere il contenuto delle statuizioni irrevocabili intervenute fra le parti, non potendo vagliare la prospettata insussistenza della preclusione ritenuta nella sentenza impugnata.

3. Con il terzo motivo è denunciata “violazione e falsa applicazione dell’art. 12 Disposizioni preliminari al Codice civile”. La ricorrente censura la sentenza di secondo grado nella parte in cui, quanto al periodo dal febbraio 2010 al 7.4.2011, ha avallato in termini di applicazione analogica quella che in realtà era un’applicazione retroattiva delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 23/2011, ferma la contestazione della nullità del contratto sanato per effetto della registrazione tardiva. Da ciò deriva che, se fondata la pretesa del Ma.Ma., le mensilità da rimborsare sarebbero 19 e non 34, tenuto conto che il conduttore non aveva versato il canone dopo la registrazione del contratto (ancorché nella misura del triplo della rendita catastale) da ottobre 2015 sino alla data del rilascio del settembre 2016, così da far maturare in capo alla ricorrente un credito di Euro 1.069,97 da compensare.

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3.1. Anche il terzo motivo è inammissibile.

Numero sezionale

3.2 Tenuto conto della nullità del contratto ab origine, in relazione alla quale deve ritenersi si sia ormai formato il giudicato, per le ragioni già espresse in risposta ai primi due motivi, il terzo motivo è inammissibile perché, oltre ad essere meramente assertivo con riferimento alla lamentata applicazione analogica delle norme in esso richiamate, non coglie appieno la ratio decidendi, atteso che, per il periodo anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2011 la Corte di merito, ancorché abbia adottato i termini “analogia” e “analogico”, ha sostanzialmente inteso utilizzare il criterio di cui al comma 5 dell’art. 13 della legge n. 431 del 1998, come modificato dall’art. 1, comma 59, della legge n. 208 del 2015 (triplo della rendita catastale dell’immobile nel periodo considerato) come mero parametro di riferimento per la determinare l’indennità dovuta per il godimento dell’immobile in assenza di un valido contratto, sicché neppure si è in presenza di un’applicazione retroattiva della norma, come pure lamentato dalla ricorrente. Dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. 23/2011 in poi (nella specie fino a novembre 2012), la medesima Corte ha correttamente applicato l’indennità forfetaria determinata dall’art. 13, comma 5, della legge n. 431 del 1998 come modificato dall’art. 1, comma 59, della legge n. 208 del 2015, pari al triplo della rendita catastale nel periodo considerato (v., per quanto rileva in questa sede, Cass. n. 26493 del 2022).

3.3. A ciò s’aggiunga che, con il motivo in scrutinio, la ricorrente prospetta un credito da opporre in compensazione, ma si tratta di una deduzione inammissibile in questa sede, tanto più che la decisione della Corte d’Appello non è stata debitamente impugnata, né è dato sapere se la questione sia stata tempestivamente formulata nel corso del giudizio di merito.

4. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

5. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

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P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge;

ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma il 24 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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