Opera professionale e la misura degli interessi moratori

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|25 settembre 2024| n. 25692.

Opera professionale e la misura degli interessi moratori

In tema di contratto d’opera professionale, la misura degli interessi moratori spettanti al professionista è quella di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, applicabile, sulla scorta delle definizioni contenute nell’art. 2, anche ai contratti conclusi tra liberi professionisti e pubbliche amministrazioni, quali le Aziende di Rilievo Nazionale e Alta Specializzazione, in considerazione della fisionomia attribuitagli dal d.lgs. n. 502 del 1992.

 

Ordinanza|25 settembre 2024| n. 25692. Opera professionale e la misura degli interessi moratori

Data udienza 28 giugno 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilità professionisti – Avvocato – Chiamata in garanzia assicurazione – Polizza tipo claims made – Nesso causale

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dai Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. LA BATTAGLIA Luigi – Relatore

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15185/2022 R.G. proposto da:

AZIENDA OSPEDALIERA DI RILIEVO NAZIONALE E DI ALTA SPECIALIZZAZIONE “Ga.” di Catania, in persona del l.r.p.t., elettivamente domiciliata in Roma, p.zza Ad.N., presso lo studio dell’Avv. Sa.Pi.; rappresentata e difesa dall’Avv. EL.AN. (C.F. Omissis) per procura speciale allegata al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

GE.IT. Spa, in persona del procuratore speciale dr. Po.Ma., elettivamente domiciliata in Roma, Lu.De., presso lo studio dell’Avv. GI.AR. (C.F. Omissis), che la rappresenta e difende per procura speciale allegata al controricorso;

– controricorrente –

e

Fa.Gi. (C.F. Omissis), domiciliato presso la cancelleria della Corte di cassazione; rappresentato e difeso dall’Avv. AG.CO. (C.F. Omissis) per procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania n. 775/2022, depositata il 13/04/2022.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/06/2024 dal dott. LUIGI LA BATTAGLIA.

Opera professionale e la misura degli interessi moratori

MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Convenuta in un giudizio per responsabilità medica, instaurato da De.Sa. e dai suoi familiari dinanzi al Tribunale di Catania, l’ARNAS “Ga.” si era costituita per il tramite dell’avv. Fa.Gi., chiamando in causa la propria compagnia assicuratrice (Na.As., poi divenuta Au.As.). Con sentenza pubblicata nel dicembre del 2011, il Tribunale di Catania aveva accolto la domanda degli attori, rigettando, invece, quella di garanzia, sul presupposto dell’inefficacia della polizza (di tipo claims made), per non essere pervenuta la richiesta di risarcimento nel periodo di copertura della stessa. A seguito del passaggio in giudicato di tale sentenza (della quale deduceva di non avere avuto alcuna comunicazione da parte del professionista), l’azienda sanitaria proponeva domanda di responsabilità professionale contro l’avv. Fa.Gi., deducendo che una tempestiva impugnazione ne avrebbe determinato, con elevata probabilità, la riforma, nella parte in cui il giudice di prime cure tribunale aveva ritenuto valida la clausola claims made del contratto di assicurazione. Nel costituirsi in questo processo, l’avv. Fa.Gi. propose domanda riconvenzionale per il pagamento del proprio compenso, nella misura di cui alla parcella a suo tempo inviata alla cliente.

Il Tribunale di Catania, con sentenza del 19/03/2021, rigettò la domanda sotto il profilo del nesso causale, escludendo che vi fossero consistenti probabilità di riforma della statuizione di rigetto della domanda di garanzia, tenuto conto del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità nel senso della validità delle clausole claims made. Sotto il profilo della colpa, il Tribunale di Catania osservò che la circostanza che l’Azienda avesse acquisito aliunde la notizia della sentenza di primo grado, in tempo ancora utile per la relativa impugnazione, non poteva valere ad escludere la negligenza del professionista, dal momento che l’obbligo professionale del difensore non si esaurisce nella mera comunicazione della pubblicazione della sentenza ma comprende un’adeguata e tempestiva informazione, nei confronti del cliente, circa l’opportunità di interporre gravame. Quanto alla domanda riconvenzionale, i giudici di primo grado la accolsero, sia pure per un importo inferiore rispetto a quello portato dalla parcella redatta dall’avv. Fa.Gi.

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La Corte d’appello etnea confermò la sentenza di primo grado, sia in ordine all’irrilevanza – ai fini della configurabilità della colpa del professionista – della conoscenza di fatto, da parte della struttura, della sentenza di primo grado (circostanza sulla quale verteva l’appello incidentale dell’avvocato e della propria compagnia assicuratrice), sia in ordine alla valutazione della probabilità di riforma della sentenza di primo grado, in punto di (in)validità della clausola claims made apposta al contratto di assicurazione. Osservò la Corte d’appello che la clausola che condiziona la copertura assicurativa al duplice presupposto che tanto il “sinistro”, quanto la richiesta di risarcimento, siano intervenuti durante il periodo di efficacia della polizza è (astrattamente) valida, siccome delimitativa dell’oggetto del contratto (stante la derogabilità del disposto dell’art. 1917, comma 1, c.c.), ferma restando la possibilità di ritenerla nulla alla stregua di una valutazione della causa concreta del contratto in termini di “squilibrio” in danno dell’assicurato. Nel caso di specie, la clausola claims made (che estendeva la copertura assicurativa alle richieste di risarcimento conseguenti a comportamenti colposi posti in essere fino a un anno prima della data di stipula della polizza, purché la richiesta di risarcimento fosse pervenuta all’assicurato, per la prima volta, durante il periodo di validità della polizza stessa) doveva ritenersi – secondo la Corte d’appello – valida, perché “la maggiore alea che la clausola carica sull’Assicurato di vedersi non indennizzati i sinistri che accadono in prossimità della scadenza della polizza (per il rischio che entro tale termine non venga altresì formulata la richiesta risarcitoria) è controbilanciata dal maggiore onere assicurativo che è assunto dall’Assicuratore di indennizzare sinistri anteriori alla polizza corredati da richiesta risarcitoria del danneggiato presentata nei termini di efficacia del contratto” (pag. 13 della sentenza impugnata). Pertanto, in mancanza di ulteriori, specifiche censure di “squilibrio” contrattuale, la Corte d’appello ritenne che il giudice della (ipotetica) impugnazione della causa presupposta avrebbe concluso nel senso della validità della clausola (sulla scorta della giurisprudenza rappresentata, in particolare, da Cass., n. 30309/19 e 8117/20), sicché il giudizio non avrebbe comunque sortito esito positivo per l’ARNAS, già soccombente in primo grado.

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Anche il secondo motivo d’appello, volto a censurare la statuizione di condanna al pagamento dei compensi professionali dell’avvocato, fu rigettato, sul presupposto che, ove (come nel caso di specie) “la committente Azienda non abbia chiesto la risoluzione per inadempimento del contratto professionale, ma solo il risarcimento dei danni, il professionista mantiene il diritto al compenso della prestazione eseguita, in quanto la domanda risarcitoria non presuppone lo scioglimento del contratto e le ragioni del committente trovano in esse adeguata tutela (pag. 15 della sentenza impugnata).

Non trovò accoglimento, infine, neppure l’appello incidentale dell’avvocato, relativo alla misura dei compensi, dal momento che, in assenza di qualsivoglia pattuizione scritta con la propria cliente, non poteva considerarsi “censurabile, in mancanza della prospettazione di puntuali e comprovati argomenti, la liquidazione effettuata in misura mediana tra il “minimo” ed il “medio” della tariffa” (pag. 15 e s. della sentenza impugnata). Ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, l’ARNAS Ga., mentre l’avv. Fa.Gi. ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale articolato in sei motivi (cui l’ospedale Ga. ha replicato per mezzo di controricorso ex art. 371 c.p.c.). Ha depositato controricorso anche GE.IT. Spa Tutte e tre le parti hanno depositato, infine, memoria ex art. 380-bis. 1 c.p.c.

2. Iniziando dal ricorso principale, con il primo motivo la ARNAS Ga. deduce la violazione dell’art. 342 c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello ha affermato che non sarebbero stati prospettati, dalla struttura appellante, i profili di squilibrio tra il rischio coperto dal contratto di assicurazione in questione e il premio assicurativo versato, “ovvero altre puntuali ed effettive ragioni di probabile illegittimità della clausola che avrebbero potuto farsi valere nell’appello non proposto a causa dell’inadempimento dell’Avv. Fa.Gi. al suo incarico professionale” (pag. 13 e s. della sentenza impugnata).

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Il motivo è infondato, dal momento che i giudici di secondo grado non hanno dichiarato inammissibile l’appello per il mancato rispetto dei requisiti formali delineati dall’art. 342 c.p.c., ma lo hanno respinto sulla base di una valutazione di merito circa la scarsa probabilità di accoglimento dell’eventuale impugnazione della sentenza di primo grado del 2011 da parte della struttura sanitaria, fondata sulla mancata allegazione, da parte dell’attrice nella causa di responsabilità professionale, di particolari profili deponenti per la nullità della clausola claims made di cui si discute. 3. Con il secondo motivo, la ricorrente principale censura la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.) e degli artt. 1322, 1341, 2965 c.c. (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.), con riguardo al giudizio di “equivalenza” (operato dal giudice di merito in seno alla valutazione di meritevolezza della clausola in questione) tra la previsione della necessità che “sinistro” e richiesta di risarcimento fossero intervenuti nel periodo di efficacia del contratto e quella dell’estensione della copertura ai sinistri avvenuti entro l’anno antecedente alla stipulazione del contratto medesimo. Invero, secondo la ricorrente la clausola si sarebbe dovuta considerare nulla per violazione dell’art. 2965 c.c., dal momento che il termine decadenziale ivi contemplato, nella sua rigidità, rendeva oltremodo difficile l’esercizio del diritto dell’assicurato (non prevedendo un lasso temporale predeterminato, decorrente dalla richiesta di risarcimento, per fare denunzia all’assicurazione, bensì un termine secco, oltre il quale la garanzia assicurativa non poteva più essere attivata, senza che l’assicurato ne avesse alcuna colpa). Il motivo è infondato.

La sentenza di merito ha esposto (in particolare, a pag. 13) le ragioni per cui ha ritenuto valida, in relazione alla causa concreta del contratto di assicurazione stipulato dalle parti, la clausola claims made, sulla falsariga del principio di diritto affermato da Sez. U, n. 22437/2018, alla cui stregua “il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole ori claims made basis, quale deroga convenzionale all’art. 1917, comma 1, c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalle legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale. Tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti -, ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle claims made) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale ori claims made basis vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati”. Le censure della ricorrente finiscono, dunque, per contrapporre inammissibilmente, a quella compiuta dalla Corte d’appello, una diversa valutazione del merito della questione, la quale, tuttavia, permane sul piano astratto della meritevolezza tout court della clausola claims made, senza evidenziare profili di nullità discendenti dalla concreta conformazione dello specifico regolamento contrattuale di cui si discute. In quest’ottica, il controricorrente Fa.Gi. ha osservato, tra l’altro, come la polizza in discorso fosse “stata congegnata appositamente d’intesa tra le parti su richiesta dell’Azienda Ga. per soddisfare un’esigenza specifica di detta Azienda e cioè quella di stipulare una polizza meramente provvisoria (con la facoltà di recesso in favore dell’Azienda e possibilità di commisurare il premio all’effettivo periodo di copertura assicurativa) ad un prezzo al di sotto della media di mercato che a breve avrebbe dovuto essere sostituita da una polizza definitiva stipulata con un contraente scelto all’esito di una gara all’uopo indetta” (pag. 24 del controricorso Fa.Gi., ove vengono indicati anche i documenti pertinenti prodotti nel giudizio di primo grado). A tale argomentazione l’ARNAS Ga. nulla ha ribattuto in seno alla memoria ex art. 381-bis.1 c.p.c.

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Anche a voler ragionare in termini generali e astratti, del resto, si deve tener presente che – secondo quanto affermato, da ultimo, da Cass., n. 12462/2024 (espressamente discostatasi, sul punto, da Cass., n. 8894/2020, predicativa di un principio rimasto, peraltro, isolato nella giurisprudenza di legittimità) -, “in tema di assicurazione della responsabilità civile, la clausola claims made non integra una decadenza convenzionale, nulla ex art. 2965 c.c. nella misura in cui fa dipendere la perdita del diritto dalla scelta di un terzo, dal momento che la richiesta del danneggiato è fattore concorrente alla identificazione del rischio assicurato, consentendo pertanto di ricondurre tale tipologia di contratto al modello di assicurazione della responsabilità civile, nel contesto del più ampio genus dell’assicurazione contro i danni ex art. 1904 c.c., della cui causa indennitaria la clausola claims made è pienamente partecipe” (conforme, Cass., n. 12908/2022; con ordinanza interlocutoria n. 11005/2024, la trattazione della questione è stata recentemente rimessa alla pubblica udienza). In una fattispecie analoga alla presente, Cass., n. 15096/2021, ha ribadito che la valutazione di meritevolezza della clausola de qua, effettuata dal giudice di merito, “si sottrae al sindacato di questa Corte perché, per un verso risulta congruamente motivata in ordine all’adeguatezza dell’assetto degli interessi in gioco, per altro verso – al di là delle norme indicate in epigrafe, la cui violazione deve ritenersi esclusa per quanto innanzi esposto alla luce dell’orientamento inaugurato in materia dalle Sezioni Unite del 2018 -, con riferimento al caso concreto, ricadente nel tempo di validità del contratto, non si ravvisa alcuna violazione di norme imperative cogenti che possa indurre il giudice di legittimità a rivalutare, autonomamente e in via officiosa, la composizione dell’assetto degli interessi dettata dall’autonomia contrattuale” dei paciscenti (cfr. anche Cass. Sez. 3, n. 8894/2020 che considera il caso in cui la clausola ponga termini di decadenza troppo ristretti; tuttavia, non concretizzatosi nel caso in esame, ove la denuncia di sinistro è prevenuta a molti anni di distanza dalla scadenza della polizza)”).

4. Il terzo motivo deduce la nullità della sentenza per “error in iudicando, in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3, c.p.c., della clausola claims made in polizza d’assicurazione, (in) relazione alla giurisprudenza sia di merito che di legittimità vigente ratione temporis dei fatti di causa”. Il vizio del ragionamento svolto dal collegio catanese risiederebbe nel non aver considerato che, alla stregua della giurisprudenza (oltre che di legittimità, anche) della Corte d’appello di Catania (in particolare, della sentenza n. 2087/2017, resa in una fattispecie nella quale veniva in questione la medesima polizza assicurativa stipulata dalla stessa struttura ricorrente con la Na.As.), sarebbe stata più probabile che non, nel caso in cui l’appello fosse stato proposto, la declaratoria di nullità della clausola claims made.

Il motivo, per come formulato, è inammissibile, dal momento che, sotto l’egida del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., attinge direttamente l’interpretazione (riservata al giudice di merito) della clausola contrattuale, senza la necessaria intermediazione della denunzia della violazione delle norme relative all’ermeneutica contrattuale (della cui menzione non v’è traccia, infatti, nel ricorso).

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5. Il quarto motivo del ricorso principale denunzia la falsa applicazione dell’art. 1460 c.c., per avere la Corte d’appello riconosciuto il diritto alla percezione del compenso da parte dell’avv. Fa.Gi., pur a fronte di un’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. avanzata dalla struttura sua cliente; eccezione ritenuta, dalla parte ricorrente, di per sé sufficiente a “paralizzare” il suddetto diritto, senza che fosse necessario richiedere la risoluzione del contratto (come erroneamente postulato nella sentenza di merito). Anche questo motivo è infondato.

Rispetto alla fattispecie di cui all’art. 1460 c.c., in primo luogo, fa difetto il requisito della proporzionalità (v. Cass., n. 17020/2022), nel senso che la cliente pretenderebbe di non pagare alcunché all’avvocato che ha, invece, pacificamente eseguito (almeno in parte) la propria prestazione, la quale, lungi dal potersi circoscrivere alla mera comunicazione della sentenza di primo grado e all’informazione prodromica alla eventuale, relativa impugnazione, deve identificarsi nella più ampia difesa in seno al complessivo giudizio di primo grado. D’altra parte, contrario alla pretesa dedotta appare anche il contegno della ricorrente, estrinsecatosi nel pagamento della somma di Euro 10.937,64 all’avv. Fa.Gi. (v. pag. 30 del controricorso di quest’ultimo), il quale rileva (secondo quanto affermato da Cass., n. 307/1996) quale indicatore del fatto di non volersi avvalere dell’eccezione.

6. Quello che nel ricorso è denominato quinto motivo in realtà non lo è, limitandosi a sollecitare la decisione nel merito del ricorso ai sensi dell’art. 384 c.p.c. (la quale, tuttavia, resta preclusa in radice dal rigetto del ricorso medesimo).

7. Passando a trattare del ricorso incidentale dell’avv. Fa.Gi., il primo motivo si incentra sulla violazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 2697, 2729, 1227, comma 2, c.c.: il giudice di merito, ritenendo non adempiuto da parte dell’avvocato l’obbligo informativo circa l’utilità dell’impugnazione della sentenza di primo grado sfavorevole, non avrebbe considerato che l’assolvimento di tale obbligo emergeva in via presuntiva dalla circostanza (documentalmente comprovata) che, in data 4 gennaio 2013 (dunque, 21 giorni prima dello spirare del termine per l’impugnazione) un altro professionista (l’avv. Si.) avesse richiesto copia del fascicolo alla cancelleria del Tribunale di Catania, nell’interesse dell’azienda ospedaliera.

Il motivo deve ritenersi assorbito dal rigetto del secondo motivo del ricorso principale: l’inconfigurabilità della fattispecie di responsabilità professionale, per carenza del nesso causale tra il contegno dell’avvocato e il pregiudizio dedotto dal cliente, priva, infatti, il ricorrente incidentale di qualsivoglia interesse a censurare la sentenza di merito nella parte in cui ha, invece, ritenuto ricorrere il profilo della colpa, non essendo tale ultima statuizione – di per sé sola – idonea a fondare il giudizio di responsabilità.

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8. Col secondo motivo del ricorso incidentale, l’avv. Fa.Gi. deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2233 c.c., per avere i giudici di merito confermato la sentenza di primo grado che aveva liquidato i compensi a lui dovuti nella misura dei valori tariffari medi, pur in mancanza di contestazione, da parte dell’Azienda ospedaliera, dell’entità degli importi richiesti.

Il motivo è infondato, atteso che la contestazione in radice del diritto alla percezione del compenso impedisce di ritenere che l’assenza di un’ulteriore esplicita contestazione del quantum possa rilevare ai sensi dell’art. 115 c.p.c. A conforto di tale conclusione, si può richiamare (mutatis mutandis) Cass., n. 357/2023, secondo cui, “nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali, ogni contestazione, anche generica, in ordine all’espletamento e alla consistenza dell’attività è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di verificare anche il quantum debeatur, costituendo la parcella una semplice dichiarazione unilaterale del professionista, sul quale perciò rimangono i relativi oneri probatori del credito azionato ex art. 2697 c.c.”.

9. Con il terzo motivo del suo ricorso incidentale, l’avv. Fa.Gi. deduce la violazione degli artt. 1224 e 1284 c.c., e 5 della L. n. 231/2002, nonché dell’art. 112 c.p.c., per non essersi pronunciato il giudice di merito in ordine alla domanda di condanna della ARPAS Ga. al pagamento degli interessi ex L. n. 231/2002 sulla somma riconosciutagli a titolo di corrispettivo per la prestazione a opera professionale.

Questo motivo è fondato.

Nella comparsa di costituzione e risposta di primo grado, contenente la domanda riconvenzionale, l’avv. Fa.Gi. aveva domandato, tra l’altro, che l’attrice fosse condannata “al pagamento della somma di Euro 23.465.93 o di quell’altra maggiore o minore che sarà accertata, oltre gli interessi e la rivalutazione e dallo scadere del trentesimo giorno dalla data di ricezione della parcella gli interessi nella misura di cui all’art. 5 della legge n. 231/2002”. Il giudice di primo grado nulla stabilì in merito agli interessi. Nell’appello incidentale, il Fa.Gi. aveva censurato l’omissione, e ciononostante neppure la Corte d’appello statuì alcunché al riguardo.

Potendosi decidere la questione nel merito ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., si deve in primo luogo puntualizzare che la misura degli interessi moratori spettanti al professionista è quella di cui al D.Lgs. n. 231/2002 (applicabile, sulla scorta delle definizioni contenute nell’art. 2, anche ai contratti conclusi tra liberi professionisti e pubbliche amministrazioni, quale le ARNAS possono considerarsi, in considerazione della fisionomia attribuitagli dal D.Lgs. n. 502/1992, che le istituì), non potendo invece applicarsi, ratione temporis, la disciplina di cui all’art. 1284, comma 4, c.c. In ordine al dies a quo della mora, a pag. 18 della propria memoria l’avv. Fa.Gi. afferma che “l’Azienda a pag. 5 del proprio controricorso dà atto di avere ricevuto la parcella relativa alla pratica De.Sa.”, concludendone che da detta data sono dovuti gli interessi moratori. A pag. 5 del controricorso dell’ARNAS Ga., si legge che “la parcella dell’Avv. Fa.Gi. (doc. n. 8 della comparsa di costituzione in primo grado di giudizio) recherebbe la data del 5 marzo 2013 (.)”. E in effetti, la parcella è prodotta in tale documento del giudizio di primo grado, in uno con la copia del testo dell’e-mail (datata 5 marzo 2013) che la contempla tra gli allegati.

Gli interessi sono dunque dovuti a decorrere da tale data.”

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10. Il quarto motivo del ricorso incidentale involge la violazione degli artt. 112 c.p.c.; 1227, comma 2, c.c.; 28 cost.; 19, 20, 22 e 23 T.U. impiegati dello stato; 1 L. n. 20/1994; 21 CCNL dirigenza medica; 25 CCNL comparto sanità, non essendosi il giudice di merito pronunciato in ordine all’eccezione formulata dall’odierno controricorrente, per cui il danno lamentato dalla struttura sarebbe stato evitato ove essa avesse agito in rivalsa contro i medici, come era suo obbligo fare a fronte dell’accertamento della colpa grave di questi ultimi.

11. Con il quinto motivo del ricorso incidentale, l’avv. Fa.Gi. deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi pronunciato il giudice di merito in ordine alla efficacia della polizza relativa alla responsabilità professionale stipulata dall’avv. Fa.Gi. con le As.Ge..

12. Entrambi i motivi da ultimo illustrati sono inammissibili, sulla base dell’insegnamento per cui “in tema di giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato allorché proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì a questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza” (Cass., n. 22095/2017 e Cass., n. 11270/2020).

13. Il sesto e ultimo motivo di ricorso incidentale riguarda la statuizione della Corte d’appello di compensazione delle spese di lite, che si porrebbe in violazione dell’art. 91 c.p.c., siccome incoerente con il rigetto della domanda proposta dall’azienda ospedaliera nei confronti dell’avv. Fa.Gi.

Il motivo è infondato, basandosi la compensazione sulla soccombenza reciproca, derivante dal rigetto (anche) dell’appello

incidentale proposto dal Fa.Gi. E’ noto, per il resto, il principiò per cui “in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi” (Cass., n. 24502/2017).

14. In conclusione, il ricorso principale dev’essere rigettato, mentre quello incidentale dev’essere accolto limitatamente al terzo motivo, e rigettato per i restanti.

15. La reciproca soccombenza induce alla compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Opera professionale e la misura degli interessi moratori

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale;

accoglie il ricorso incidentale limitatamente al terzo motivo e, decidendo nel merito, condanna l’ARNAS Ga. a corrispondere all’avv. Fa.Gi. gli interessi ex D.Lgs. n. 231/2002, sulla somma liquidata dal giudice di primo grado a titolo di compenso professionale, con decorrenza dal 5 marzo del 2013; compensa le spese processuali del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente ARNAS Ga., del contributo unificato relativo al ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

Così deciso in Roma il 28 giugno 2024.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2024.

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