Annotazione cessione ipoteca essenziale per trasferimento diritto

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|9 gennaio 2025| n. 486.

Annotazione cessione ipoteca essenziale per trasferimento diritto

Massima: L’annotazione della cessione del vincolo dell’ipoteca su un immobile, eseguita ai sensi dell’art. 2843 c.c., ha effetto costitutivo, al pari dell’iscrizione ipotecaria a cui accede, sicché il diritto del cessionario esiste in quanto risultante dai registri immobiliari; ne consegue che, da un lato, una volta annotata formalmente la vicenda traslativa, il cessionario, è da considerare a tutti gli effetti titolare del diritto reale di garanzia – a prescindere dalle vicende sottostanti e dalla stessa coerenza di una simile risultanza con il titolo di provenienza – e, dall’altro, che gli effetti dell’annotazione, se indebitamente eseguita, possono essere annullati soltanto con una pronuncia giudiziale e all’esito di una congruente domanda della parte interessata. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che – in relazione ad una domanda di risarcimento del danno conseguente all’illegittima cancellazione dell’ipoteca compiuta senza il consenso del cessionario, il quale dai RR.II. ne risultava titolare – aveva negato la responsabilità del notaio rogante e affermato che la garanzia non era stata oggetto del negozio di cessione, così obliterando gli effetti dell’annotazione ex art. 2843 c.c., ricondotta ad un generico “errore formale”).

 

Sentenza|9 gennaio 2025| n. 486. Annotazione cessione ipoteca essenziale per trasferimento diritto

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilita’ patrimoniale – Cause di prelazione – Ipoteca – Iscrizione – Formalita’ – Annotazioni degli atti di disposizione del credito (cessione, surrogazione, pegno, postergazione di grado) cessione del vincolo ipotecario – Annotazione nei rr.ii. – Funzione costitutiva – Sussistenza – Conseguenze – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. TASSONE Stefania – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso N. 7035/2023 R.G. proposto da:

TR.DI., rappresentata e difesa dall’avv. Ca.Tr., come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale come in atti

– ricorrente –

contro

BA.BP. Spa, in persona del procuratore speciale Lo.Gi., rappresentata e difesa dall’avv. Gi.Me. come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti

– controricorrente –

e contro

CU.LA., rappresentata e difesa dagli avv.ti Ma.Fe. e St.Gi., come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia recante il n. 9/2023 depositata il 3.1.2023;

udita la relazione sulla causa svolta nella pubblica udienza dell’8 novembre 2024 dal consigliere Salvatore Saija;

udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Alessandro Pepe, che ha chiesto l’accoglimento dei primi tre motivi del ricorso e del quarto per quanto di ragione, con rigetto del resto;

uditi gli avv.ti Ca.Tr., Gi.Me. e, per delega, Ma.Gu..

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FATTI DI CAUSA

Con atto del 3.8.2017, Tr.Di. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Verona il BA.BP. Spa e il notaio Cu.La., deducendo che: con atto del 28.12.2009 aveva acquistato dalla società Li. Spa i crediti vantati da quest’ultima nei confronti della società Eu. Srl nonché dei suoi garanti Me.Or. e Ta.Na.; la società cedente Li. Spa aveva a sua volta acquistato i suddetti crediti dal Ba.Po. Soc. Coop. a r.l. (oggi BA.BP. Spa) con atto del 26.4.2006; i crediti menzionati erano assistiti da prelazione ipotecaria su diversi immobili, tra cui un immobile che all’atto delle cessioni risultava di proprietà di tale Ce.An. a S.; in seguito alle cessioni, dapprima la società Li. Spa e in seguito la Tr.Di. provvedevano all’annotazione di cui all’art. 2843 c.c.; ciononostante, in violazione del disposto dell’art. 2843, comma 2, c.c., in data 29.2.2016 la Banca aveva dato il proprio assenso alla cancellazione dell’ipoteca sull’immobile del Ce.An. a S.; l’atto era stato successivamente presentato dal notaio Cu.La. al conservatore dei RR.II. di Verona per l’annotazione e la conseguente cancellazione dell’iscrizione ipotecaria. L’attrice chiedeva pertanto la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni subiti, nella misura di Euro 625.000,00, ovvero nella diversa, maggiore o minore somma ritenuta di giustizia. Entrambe le convenute si costituirono in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda attorea; in particolare BA.BP. Spa – premettendo che l’immobile di proprietà del Ce.An. a S. era stato a lui ceduto da Me.Or. nel 1995, previo accordo con la Banca per il pagamento in suo favore di una parte del ricavato della vendita, con conseguente assenso alla cancellazione delle ipoteche trascritte – affermava che la cessione dei crediti in favore di Li. Spa non era comprensiva della garanzia ipotecaria sull’immobile in questione. Istruita solo documentalmente la causa, con sentenza del 19.2.2020 il Tribunale di Verona rigettò le domande attoree, compensando integralmente le spese di lite. Tr.Di. appellò in via principale detta decisione, per ottenerne l’integrale riforma, insistendo nelle proprie domande; il BA.BP. Spa propose appello incidentale, per la riforma della sentenza appellata con conseguente condanna della Tr.Di. al pagamento delle spese di lite; il notaio Cu.La. insistette per il rigetto del gravame della Tr.Di..

La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza del 3.1.2023, rigettò entrambi gli appelli. Quanto al gravame principale, il giudice lagunare osservò che emergeva chiaramente dagli atti di causa che la banca originariamente creditrice ipotecaria, cedendo a Li. Spa i propri crediti vantati verso Eu. Srl, “aveva sostanzialmente rinunciato alla garanzia ipotecaria sul bene immobile pervenuto in proprietà del Ce.An. a S., fermo restando che la relativa formalità ipotecaria non era stata cancellata per inerzia delle parti contraenti; pertanto, risultava condivisibile l’accertamento del Tribunale circa il fatto che la Tr.Di. non era mai subentrata nella titolarità del diritto di garanzia su detto immobile, anche perché l’annotazione della formalità in favore della sua dante causa, Li. Spa, “era avvenuta unicamente a causa di un errore formale”; inoltre, nessuna responsabilità era ravvisabile a carico del notaio Cu.La., che – dopo aver effettuato le opportune indagini – aveva espresso prudentemente il proprio iniziale dissenso all’effettuazione dell’operazione di restrizione ipotecaria, comunque stipulata.

Avverso detta sentenza, propone ricorso per cassazione Tr.Di., sulla scorta di cinque motivi, cui resistono con controricorso il BA.BP. Spa e Cu.La.. Il P.G. ha depositato requisitoria scritta, chiedendo l’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso e del quarto per quanto di ragione, con rigetto nel resto. Tutte le parti hanno depositato memoria.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2878, comma 1, n. 5, c.c. e 2879 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte d’Appello erroneamente ritenuto che la banca, creditrice ipotecaria, nel momento in cui cedette i crediti “aveva sostanzialmente rinunciato alla garanzia ipotecaria” anche se l’ipoteca risultava ancora iscritta, per inerzia delle parti contraenti, in tal modo violando il disposto dell’art. 2879, comma 1, c.c., secondo cui “la rinunzia del creditore all’ipoteca deve essere espressa e deve risultare da atto scritto, sotto pena di nullità”, nonché del secondo comma dell’art. 2879 c.c., secondo cui la rinunzia non ha effetto verso i terzi che abbiano acquistato il diritto d’ipoteca ed eseguito la relativa annotazione.

1.2 – Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2809, comma 2, c.c. e 2878, n. 3, c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte d’Appello erroneamente affermato che la Banca aveva rinunziato all’ipoteca a seguito del pagamento, da parte dell’acquirente dell’immobile, di una somma da destinarsi alla Banca stessa, e che la pretesa risarcitoria era priva di fondamento perché “il debito garantito era stato assolto dal debitore ipotecario” ed era stata solo omessa la formalità della restrizione dei beni e il creditore non avrebbe potuto agire su quel bene; in tal modo, è stato violato l’art. 2809, comma 2, c.c., secondo cui l’ipoteca “è indivisibile e sussiste per intero sopra tutti i beni vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro parte” (principio dell’indivisibilità dell’ipoteca), nonché dell’art. 2878, n. 3, c.c., per cui l’ipoteca grava a garanzia dell’intero credito.

1.3 – Con il terzo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1260 c.c. e 2843, comma 1 e 2, c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., laddove la Corte d’Appello ha affermato che l’annotazione dell’ipoteca sull’immobile a favore di Li. Spa sarebbe avvenuta per “un errore formale”, sicché l’appellante, pur divenuta cessionaria dei crediti, “subentrava formalmente nella cessata garanzia ipotecaria”, agendo poi in executivis sui beni su cui era iscritta ipoteca, e ancora laddove afferma che “Deve… ritenersi che l’erronea annotazione della garanzia… non avesse determinato il valido subingresso della soc. Li. Spa e quindi dell’appellante medesima, cui la garanzia non veniva trasmessa”. Si sostiene l’erroneità delle riportate affermazioni perché, divenendo cessionaria del credito, la Tr.Di. non poteva che rendersi cessionaria anche delle garanzie ipotecarie; rileva la ricorrente che, a tale proposito, l’impiego dei termini “formali” o “formalmente” è del tutto contrario ai principi in tema di pubblicità immobiliare e segnatamente al disposto di cui agli artt. 1260 e 2843, comma 1, c.c., per i quali, con la cessione del credito, si trasferisce anche il diritto ipotecario, e questa trasmissione deve essere annotata nei registri immobiliari.

1.4 – Con il quarto motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2843, comma 2, c.c. e 2882 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, c.p.c., per aver la Corte veneta ritenuto l’infondatezza della pretesa della Tr.Di., affermando che erroneamente ella aveva agito in via risarcitoria contro la Banca e il notaio, anziché nei confronti di Li. Spa, che non le aveva correttamente trasmesso la garanzia ipotecaria. Sostiene la ricorrente che l’affermazione è errata, perché in contrasto col disposto dell’art. 2843, comma 2, c.c., secondo cui una volta eseguita l’annotazione, l’ipoteca non si può cancellare senza il consenso dei titolari dei diritti indicati nell’accettazione, nonché dell’art. 2882 c.c., secondo cui la cancellazione può essere eseguita soltanto a richiesta delle parti interessate, cioè degli attuali titolari dei diritti, tra cui non rientrava la Banca.

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1.5 – Con il quinto motivo, infine, si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2843, comma 2, c.c. e 2882 c.c., nonché dell’art. 2043 c.c. o, alternativamente, dell’art. 1218 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte veneta mandato assolto dalla domanda il notaio Cu.La., ritenendo che l’aver ricevuto l’atto da chi non ne era legittimato e l’aver poi richiesto – e ottenuto – la cancellazione della formalità dal conservatore dei RR.II. integri una condotta esente da colpa. Si sostiene che, poiché il notaio è un pubblico ufficiale, la cui attività può cagionare effetti dannosi anche nei confronti dei terzi, la violazione di norme di legge da parte sua non può considerarsi non foriera di responsabilità, allorquando detta violazione abbia cagionato un danno. Nel caso che occupa, risultano violati gli artt. 2843, comma 2, e 2882 c.c., e dunque il notaio deve rispondere dei danni subiti da essa Tr.Di. in forza della norma generale dettata dall’art. 2043 c.c. In alternativa, per l’ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere la sussistenza di un’ipotesi di responsabilità da “contatto sociale”, la norma violata sarebbe da individuare nell’art. 1218 c.c..

2.1 – Preliminarmente, salvo quanto si dirà infra nello scrutinio di ciascun motivo, vanno disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla controricorrente Cu.La., giacché le doglianze proposte dalla Tr.Di. sono adeguatamente specifiche, individuando chiaramente la ratio decidendi dell’impugnata sentenza e sottoponendola a ragionata critica, nel pieno rispetto dei dettami dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (sul tema, si vedano tra le altre: Cass., Sez. Un., n. 23745/2020; Cass. n. 640/2019).

Meramente di stile si rivela, poi, l’eccezione sulla inammissibilità ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c., neppure individuandosi quale insegnamento giurisprudenziale la Corte lagunare avrebbe pedissequamente applicato nella decisione della causa, considerato anche che, nel corpo della motivazione della sentenza impugnata, non risulta evocato alcun precedente.

Ancora, non coglie nel segno l’ulteriore eccezione di inammissibilità per c.d. doppia conforme in facto (fatta propria, in memoria, anche dal BA.BP.), posto che, ai sensi del vigente art. 360, comma 4, c.p.c., il ricorso per cassazione non può essere proposto per il vizio di cui allo stesso art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., all’evidenza non agitato con nessuno dei motivi del ricorso che occupa.

3.1 – Ciò posto, i primi due motivi, così come prospettati, sono inammissibili, perché risultano eccentrici rispetto alla ratio decidendi dell’impugnata sentenza, come anche eccepito dal BA.BP..

Sul tema del trasferimento dell’ipoteca per cui è processo dalla banca alla prima cessionaria, Li. Spa, la Corte d’Appello testualmente afferma, a p. 6: “Consta al Collegio che la banca abbia effettivamente posto in essere le dichiarazioni negoziali e i comportamenti non compatibili con la volontà di mantenimento del vincolo ipotecario sull’immobile, sia considerando le premesse dell’azione volta al recupero dei residui crediti prima della cessione a Li. Spa che in ragione di quanto dichiarato negli atti di intervento dell’esecuzione immobiliare n. 240/97”.

La Corte territoriale, cioè, fa riferimento ad elementi esterni alla cessione dei crediti operata con rogito notarile del 26.4.2006, ossia specialmente al comportamento della banca successivo alla cessione, per risalire (è da ritenere, ai sensi dell’art. 1362, comma 2, c.c.) alla presunta volontà della stessa banca di non trasferire a Li. l’ipoteca sull’immobile del Ce.An. a S., quale oggetto del contratto di cessione del credito. Infatti, subito dopo, la Corte conclude sul punto così affermando: “Ritiene quindi la Corte d’Appello che la comune intenzione delle parti in relazione alla cessione dei crediti tra Banco della cessione di Verona e Li. Spa sia stata correttamente individuata da parte del giudice di primo grado, in quanto il Tribunale ha giustamente ritenuto non pervenuta all’appellante una garanzia ipotecaria non più esistente per sostanziale la rinuncia del creditore ipotecario che aveva formato la garanzia stessa”.

Insomma, l’affermazione – invero, infelice – della Corte lagunare circa la “sostanziale rinuncia” all’ipoteca da parte della banca deve leggersi non già nel senso che essa si riferisca alla rinuncia vera e propria del creditore ipotecario, quale atto negoziale unilaterale (di per sé incompatibile, almeno, col disposto dell’art. 2879 c.c.), ma alla effettiva individuazione della volontà negoziale del cedente nell’ambito del contratto di cessione e, per effetto della interpretazione di quest’ultimo, alla esatta individuazione della comune intenzione delle parti e dell’oggetto del contratto stesso, con valutazione resa incidenter tantum, attesa la mancata evocazione in giudizio, da parte di chicchessia, della stessa cessionaria Li. Spa

Ciò, del resto, in piena coerenza con le ragioni a sostegno dell’appello della Tr.Di., che si era doluta proprio della erroneità di tale accertamento, già effettuato dal Tribunale.

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3.2 – Così stando le cose, i primi due motivi si rivelano dunque inammissibili, perché non colgono la ratio decidendi dell’impugnata sentenza: nonostante la Corte lagunare abbia formulato qualche improprio passaggio espressivo, essa non ha affatto inteso affermare, pleno iure, che il creditore possa rinunciare in senso sostanziale all’ipoteca ai fini della successiva cancellazione della garanzia, né che l’adempimento parziale del credito complessivamente garantito possa giustificare la stessa cancellazione (questioni tutte agitate con i due mezzi in esame).

Tutti gli argomenti spesi al riguardo dalla Corte d’Appello, in realtà, mirano a perimetrare l’oggetto dell’accordo di cessione tra la banca e la Li. Spa e riguardano solo l’accertamento inerente alla circostanza che, in forza del ripetuto contratto di cessione del 26.4.2006, la banca non ha inteso cedere il diritto d’ipoteca alla Li., né questa ha inteso acquistarlo, o quantomeno l’ha potuto acquistare (si ripete, si tratta di accertamento incidentale, non idoneo ad acquisire valenza di giudicato – come pure pretenderebbe il notaio Cu.La., in memoria – posto che una parte di quel contratto, ossia proprio la Li., non ha partecipato al presente giudizio perché non evocata).

3.3 – Del resto, il Procuratore Generale è giunto alle proprie conclusioni – nel senso della fondatezza dei due motivi in parola – sul presupposto per cui la cessione della predetta ipoteca non era specificamente contemplata nel contratto di cessione dei crediti, donde l’applicabilità dell’art. 1263 c.c. e, dunque, il subentro “automatico” di Li. Spa nella posizione della banca cedente in relazione a tutte le garanzie dei crediti ceduti, tra cui l’ipoteca per cui è processo. Ma è questione evidentemente diversa.

Né può dubitarsi, infine e già sul piano astratto (tenuto anche conto di quanto sostenuto dalla ricorrente circa il fatto che la cessione del 26.4.2006 aveva ad oggetto tutti i crediti vantati dalla banca ed, espressamente, tutte le garanzie ipotecarie – v. memoria Tr.Di., p. 4), della facoltà del creditore di poter ad un tempo cedere il diritto di credito, ma non anche il diritto di garanzia che lo assiste (che, in ipotesi, seguirà ovviamente il suo corso; nel caso dell’ipoteca, salva rinuncia formale del cedente, in ogni caso con l’estinzione ex art. 28/8, n. 3, c.c., non essendo configurabile un diritto ipotecario astratto, ossia scollegato dal diritto di credito garantito – a quel punto non più esistente in capo al cedente per effetto della cessione -, stante anche il principio di accessorietà): il disposto dell’art. 1263 c.c. certamente non esprime norma inderogabile, restando evidentemente nella piena disponibilità delle parti definire gli inerenti rapporti, anche in ordine alla loro estensione.

D’altronde, ferma la validità ed efficacia della cessione del credito tra le parti, ex art. 1260 c.c., per effetto dello scambio dei consensi, il trasferimento del diritto ipotecario che eventualmente ad esso acceda dipende pur sempre dall’espletamento delle formalità di annotazione, posto che, ai sensi dell’art. 2843, comma 2, primo periodo, “la trasmissione o il vincolo dell’ipoteca non ha effetto finché l’annotazione non sia stata eseguita”.

Insomma, la tesi propugnata al riguardo dalla parte pubblica non è condivisibile, e si pone anch’essa in termini di incoerenza rispetto al decisum.

4.1 – Il terzo e il quarto motivo possono esaminarsi congiuntamente perché connessi, e sono invece fondati.

Il presupposto da cui muove la Corte lagunare, all’esito della disamina circa l’oggetto del contratto di cessione del 26.4.2006, è che Li. Spa non sia subentrata nel diritto d’ipoteca sull’immobile in discorso e che, quindi, l’annotazione ex art. 2843 c.c. effettuata in suo favore sia frutto di un “errore formate”. Per tale ragione, dunque l’annotazione a sua volta effettuata dalla Tr.Di. circa il proprio subentro nella garanzia ipotecaria, ancora ex art. 2843 c.c., a seguito del proprio acquisto da potere della Li., sarebbe inefficace:

l’odierna ricorrente, in sostanza, si sarebbe resa cessionaria di un diritto di cui il cedente non poteva disporre, perché non ne era divenuto titolare, donde l’inefficacia dell’acquisto della Tr.Di., in virtù della regola generale per cui nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet.

Annotazione cessione ipoteca essenziale per trasferimento diritto

Quale ulteriore corollario – conclude la Corte territoriale – la Tr.Di. avrebbe dovuto rivolgere le proprie pretese risarcitone nei confronti del proprio dante causa, Li. Spa, anziché contro la banca e il notaio Cu.La.: in buona sostanza, i danni lamentati dalla Tr.Di. deriverebbero non già dall’operato delle odierne controricorrenti, bensì dalla mancata valida trasmissione del diritto d’ipoteca da parte del dante causa della stessa ricorrente.

4.2 – Si tratta di un percorso decisorio all’evidenza non sostenibile in iure, perché confonde e sovrappone il piano negoziale (ossia, cosa i vari soggetti coinvolti abbiano voluto o potuto – rispettivamente – trasferire ed acquistare, con le due cessioni in rilievo), con il piano che deriva dall’espletamento delle formalità ipotecarie, ed in particolare quello concernente gli effetti dell’annotazione ex art. 2843 c.c., pacificamente effettuati prima dalla Li. Spa, e poi dalla Tr.Di., avente causa di quest’ultima.

In proposito, è indiscutibile che l’annotazione della cessione del vincolo ipotecario su un immobile abbia effetto costitutivo (ex multis, Cass. n. 16669/2008), similmente all’iscrizione ipotecaria tout court cui accede, sicché il relativo diritto in tanto esiste in quanto risulti dai RR.II. In altre parole, il cessionario che abbia annotato la vicenda traslativa del diritto d’ipoteca in proprio favore (eseguendo le relative formalità e presentando al conservatore i relativi documenti giustificativi, perché questi vi provveda) è da considerare a tutti gli effetti titolare del diritto di garanzia, a prescindere dalie vicende sottostanti e dalla stessa coerenza di una simile risultanza con il titolo di provenienza; gli effetti di una tale annotazione, dunque, non possono obliterarsi sulla base di valutazioni estemporanee circa la validità o efficacia dell’annotazione stessa (come, ad es., opina la Corte lagunare, laddove rileva che detta annotazione, in favore della Li., avvenne per “errore formale”, peraltro non meglio individuato, da tanto ritenendo di poter escludere, da un lato, la titolarità del diritto d’ipoteca in capo alla Tr.Di., dall’altro, ogni responsabilità della banca e del notaio per la cancellazione di detta formalità), perché tutti i consociati devono necessariamente attenersi alle risultanze dei RR.II.; ciò a meno che non si sia al cospetto di una formalità che neppure possa considerarsi quale vera e propria annotazione (si fa riferimento ad ipotesi sostanzialmente scolastiche, quale ad es. l’inesistenza). Non a caso, l’art. 2843, comma 2, secondo periodo, c.c. espressamente recita: “dopo l’annotazione l’iscrizione non si può cancellare senza il consenso dei titolari dei diritti indicati nell’annotazione medesima”.

Tutto quanto precede, quindi, implica che, qualora l’annotante non presti il consenso alla cancellazione dell’annotazione indebitamente eseguita, il soggetto che ne abbia interesse è tenuto a proporre, dinanzi alla competente A.G., la relativa domanda di accertamento dell’inesistenza del diritto di ottenere l’annotazione ex art. 2843 c.c. e la relativa declaratoria di nullità della formalità, giacché in caso di accoglimento della domanda gli effetti dell’annotazione stessa, una volta passata in giudicato la sentenza che quelle domande abbia accolto e che abbia disposto la relativa cancellazione (trattandosi di sentenza dichiarativa da una parte, e tanto espressamente prevedendo, ai fini dell’esecuzione dell’ordine, l’art. 2884 c.c.), dovranno considerarsi tamquam non essent.

Ma, nella specie, non risulta che una simile domanda sia stata proposta da alcuno, con riguardo alle vicende per cui è processo.

4.3 – Ha dunque indiscutibilmente errato la Corte veneta allorché ha ritenuto che la questione di fondo agitata dalla Tr.Di. con l’atto introduttivo (ossia, l’illecita cancellazione dell’ipoteca in parola senza il suo consenso, con rivendicazione dei conseguenti danni) avrebbe dovuto in realtà dirigersi verso il suo dante causa, Li. Spa, anziché contro la banca e il notaio Cu.La., perché essa non si è avveduta che la natura costitutiva dell’annotazione ex art. 2843 c.c. ingloba e assorbe ogni sostanziale questione sottostante: salva l’ipotesi del consenso alla cancellazione da parte dell’annotante, gli effetti dell’annotazione indebitamente eseguita, infatti, possono essere posti nel nulla solo con una pronuncia giudiziaria e all’esito di una congruente domanda che la parte interessata abbia proposto, non certo con una valutazione estemporanea resa, seppur dall’A.G., in un giudizio in cui una tale questione non sia stata ritualmente introdotta. A nulla rileva, dunque, che la garanzia ipotecaria in questione, secondo il giudice di merito, non sia stata oggetto di trasferimento in seno al ripetuto rogito del 26.4.2006, tanto che il danno non sarebbe comunque configurabile proprio per tale ragione: in realtà, la Tr.Di., per effetto delle vicende sull’annotazione più volte descritte e sulla base delle sole risultanze dei RR.II., era da considerare creditore ipotecario tout court, sicché per la cancellazione della relativa formalità in forza di mera istanza al conservatore non poteva prescindersi dal suo consenso, in ogni caso.

Del che, peraltro, la stessa Corte lagunare mostra anche – con evidente contraddittorietà logico-giuridica – di essere ben consapevole, allorché evidenzia il mancato coinvolgimento della Tr.Di., ai fini della prestazione del consenso, per giustificare la compensazione delle spese di lite operata dal Tribunale e, così, rigettare l’appello incidentale del BA.BP. sul punto (singolare, sempre in proposito, è poi la ulteriore considerazione della Corte territoriale, in sé esatta, per cui il BA.BP., in caso di mancato conseguimento del consenso da parte della stessa Tr.Di., avrebbe dovuto “rivolgersi al giudice”: di tanto, però, essa ha tenuto conto solo ai fini della questione delle spese di primo grado, non anche ai fini della soluzione della lite tout court, come invece avrebbe dovuto).

4.4.1 – Discende da quanto precede che l’operato del BA.BP., allorché si è attivato prestando “l’assenso alla cancellazione dell’ipoteca pur inidoneo a conseguire l’annotazione della cancellazione” (così il BA.BP., p. 16 del controricorso), ben può costituire fatto illecito rilevante ai sensi dell’art. 2043 c.c., perché ha innescato la serie causale che ha condotto alla illegittima cancellazione della formalità in parola, i cui effetti sono irrimediabili, non essendo possibile, neppure a seguito di ordine giudiziale, ripristinare con effetto ex tunc l’ordine originario della garanzia ipotecaria, ma solo eventualmente ottenere, ove possibile, una nuova iscrizione (con grado basato sulla data di quest’ultima formalità) ed agire – comunque – per ottenere la tutela risarcitoria (si veda, sul punto, la recente Cass. n. 33740/2022).

A nulla rileva, pertanto, la circostanza per cui detto assenso venne prestato “perché costituiva adempimento di un obbligo assunto per un’iscrizione mai trasferita ai soggetti indebitamente annotati come surrogati nel diritto” (così ancora il BA.BP., ibidem), perché il Banco non era affatto abilitato a chiedere la cancellazione di alcunché, in quanto non più titolare del diritto d’ipoteca e, dunque, non legittimato ai sensi dell’art. 2882 c.c.: al tempo dell’operazione in discorso, l’unico creditore ipotecario sull’immobile del Ce.An. a S. era solo e soltanto Tr.Di..

Al fine di adempiere agli obblighi a suo tempo contrattualmente assunti con i soggetti interessati al noto trasferimento immobiliare, dunque, il BA.BP., preso atto delle vicende del diritto ipotecario più volte descritte, avrebbe solo potuto agire in sede giudiziaria per ottenere la declaratoria della invalidità e/o dell’inefficacia di entrambe le annotazioni in discorso, non certo attivarsi per ottenere direttamente la cancellazione da parte del conservatore, come invece avvenuto, in assenza del consenso del soggetto legittimato, ossia della Tr.Di..

4.4.2 – Né può sostenersi – come pure ha ribadito il BA.BP. anche nel corso dell’udienza pubblica, con tesi invero singolare – che l’assenso alla cancellazione da esso prestato riguardava la sola ipoteca originaria in suo favore, non anche l’annotazione in favore di Tr.Di., sicché detto assenso “non poteva essere considerato dagli uffici competenti come titolo per ottenere la cancellazione dell’ipoteca iscritta a favore della signora Tr.Di.” (così ancora il BA.BP., ibidem; ma v. anche la memoria, p. 5, ove si afferma claris verbis che “il conservatore dei registri non avrebbe potuto annotare l’assenso alla cancellazione dell’ipoteca iscritta a favore della Signora Tr.Di. sulla base dell’assenso alla cancellazione dell’ipoteca iscritta a proprio favore”). A tacer d’altro, la tesi esposta postula la possibilità di una sorta di gemmazione del diritto d’ipoteca, in caso di cessione del credito con connessa cessione della garanzia, sicché ciascuno dei danti causa dell’ipotetica catena traslativa del diritto stesso ne conserverebbe la titolarità, quantomeno, ai fini della prestazione del consenso alla cancellazione.

Annotazione cessione ipoteca essenziale per trasferimento diritto

Il che è chiaramente insostenibile, posto che l’annotazione ex art. 2843 c.c. concerne le vicende traslative del diritto di garanzia, sicché questo non può che essere uno e uno solo: se l’originario creditore ipotecario lo ha ceduto e se tanto emerga dai RR.II. a seguito di annotazione (si ripete, non importa se indebitamente effettuata), quegli non è più titolare di nessuna potestà al riguardo, perché – stanti anche i principi di accessorietà e di specialità – l’unico titolare dell’ipoteca è necessariamente il cessionario del credito, che abbia proceduto all’annotazione stessa; tanto è vero che, a mente del già citato art. 2843, comma 2, secondo periodo, c.c., è previsto, ai fini della cancellazione della formalità, il solo “consenso dei titolari dei diritti indicati nell’annotazione medesima”, non certo dei loro danti causa.

Non senza evidenziare, infine, l’intrinseca illogicità della tesi sopra esposta: se davvero il BA.BP. era pienamente consapevole che l’assenso prestato non avrebbe comunque giustificato la cancellazione della formalità con riguardo alla posizione della Tr.Di., resta incomprensibile perché mai esso avrebbe dovuto incaricare un notaio (è pacifico, tra tutte le parti, che la dr.ssa Cu.La. era stata incaricata proprio dal Banco anche per quanto era necessario richiedere al conservatore dei RR.II. – v., in particolare, controricorso Cu.La., pp. 18-19) per annotare lo stesso assenso con le ventilate limitazioni, posto che, ove mai tanto fosse stato possibile, il Banco non avrebbe comunque potuto ritenersi adempiente rispetto ai propri richiamati obblighi, in quanto il bene immobile in questione non avrebbe comunque potuto considerarsi libero da formalità. Anche per tal verso, dunque, la tesi propugnata dal BA.BP. si rivela completamente destituita di fondamento. 5.1 – Anche il quinto motivo, infine, è fondato.

Nel mandare assolto da ogni responsabilità il notaio Cu.La., la Corte lagunare ha evidenziato che il pubblico ufficiale aveva posto in essere quanto di propria competenza circa le necessarie ricerche e visure ipotecarie, avendo anche “espresso prudentemente il proprio iniziale dissenso alla restrizione ipotecaria comunque stipulata”.

L’argomento è ripreso anche dal Procuratore Generale, che evidenzia come il notaio sia obbligato a rogare l’atto che la parte richiede, dovendo astenersi dal farlo solo a fronte di atti inequivocamente nulli perché vietati da norme imperative, ex art. 28 della legge notarile; per il resto, il notaio è solo tenuto a consigliare la parte stipulante e non può opporsi alla sua volontà. Nella specie, la dr.ssa Cu.La. aveva infine rogato l’atto restrittivo, ma solo a seguito delle insistenze della banca. Infine, il Procuratore Generale conclude evidenziando che il conservatore dei RR.II. ben avrebbe potuto rifiutare l’atto, ai fini dell’annotazione di cancellazione, essendone ultimo responsabile ex art. 2882 c.c.: l’operato del notaio, ponendosi in posizione intermedia tra la parte istante e lo stesso conservatore, resterebbe dunque estraneo alla catena causale.

In tale solco, infine, la stessa Cu.La., in controricorso, evidenzia che in nessun modo l’atto di restrizione autenticato nelle firme in data 29.2.2016 e presentato al conservatore dei RR.II. di Verona in data 8.3.2016 “in linea con gli obblighi imposti dalla legge… per le relative formalità pubblicitarie” (pp. 18-19), avrebbe potuto condurre alla cancellazione della formalità iscritta in favore di Tr.Di., perché la richiesta proveniva da soggetto non legittimato, ossia dal BA.BP.; il rifiuto del conservatore – conclude la Cu.La. – era dunque sostanzialmente necessitato.

5.2 – Ora, va anzitutto chiarito che, nella specie, ciò che viene in rilievo è la eventuale responsabilità extracontrattuale del notaio, non già quella da “contatto sociale” (su cui v. da ultimo Cass. n. 19849/2024): non si tratta, infatti, di danni subiti da un soggetto che abbia confidato nella piena validità, o nell’autorevolezza, che devono attribuirsi ad un atto rogato da notaio ed inerente alla circolazione o al regime giuridico di uno o più beni immobili, bensì – in tesi – della illiceità della condotta del notaio stesso, che si sia reso compartecipe, con dolo o colpa, di una condotta, mediante il rogito in questione, comunque idonea ad arrecare un danno ad un soggetto ben determinato. In altre parole, ciò che rileva è se il notaio Cu.La., rogando il citato atto di restrizione su istanza del BA.BP. e curandone gli adempimenti pubblicitari, abbia o meno realizzato una condotta foriera di danni nei confronti della Tr.Di.: ci si muove chiaramente, dunque, nell’ambito della clausola generale dell’art. 2043 c.c., ossia del neminem laedere.

5.3 – Ciò posto, non v’è dubbio che la condotta complessivamente tenuta dal notaio Cu.La. sia ben suscettibile di essere valutata ai fini che occupano. Il notaio, infatti, pur tenuto (in base allo status notarile) a rogare gli atti che gli vengano richiesti, col solo divieto inerente agli atti nulli (artt. 27 e 28 legge n. 89/1913), non può comunque rogare l’atto richiesto ove consapevole che detto atto, benché non nullo, sia potenzialmente idoneo ad arrecare danno a terzi.

La vicenda che occupa è esemplare in tal senso: la dr.ssa Cu.La., accortasi della carenza di legittimazione ex art. 2882 c.c. in capo al BA.BP., avvertì il cliente del rifiuto pressoché certo del conservatore (e, dunque, dell’inutilità del rogito, manifestando il proprio iniziale dissenso); il cliente, però, insistette per procedere, incaricando il notaio anche per la cura delle formalità pubblicitarie. A tal punto, è evidente come l’operato del notaio, che comunque procedette nel senso voluto dalla cliente, esuli dal cono d’ombra degli artt. 27 e 28 della legge notarile: non si tratta di individuare la sussistenza o meno della violazione di tali disposizioni, dettate eminentemente a fini disciplinari/deontologici (v. Cass. n. 2033/2023), ma del generale dovere di astensione da comportamenti produttivi di danni a terzi.

In altre parole, non viene in rilievo il rispetto, da parte del notaio, delle regole deontologiche, né tampoco la valutazione circa l’espletamento del c.d. dovere di consiglio in favore del cliente, ma la verifica del parametro della condotta del notaio stesso rispetto al generale dovere del neminem laedere: se il notaio è consapevole che l’atto richiestogli si pone in violazione di una o più norme giuridiche, quand’anche queste non ne comportino la nullità, deve evidentemente interrogarsi su quali possano esserne le conseguenze, specialmente nei confronti di quei soggetti terzi che, inequivocamente, sono individuabili ex ante quali destinatari degli effetti dell’atto, benché non vi abbiano partecipato, sì da restare potenzialmente danneggiati dal compimento dell’atto stesso.

Per passare al concreto: a seguito della richiesta del BA.BP. per la restrizione di una formalità ipotecaria di cui non era più titolare, per esserlo divenuta (in base alle risultanze dei RR.II., correttamente acquisite dal notaio stesso) Tr.Di., è del tutto evidente che il notaio Cu.La. avrebbe dovuto porsi il problema – anche al lume della diligenza professionale quam in suis – della potenziale dannosità del rogito, non potendo certo di per sé confidare nell’operato del conservatore, peraltro richiesto a più riprese dell’annotazione di una simile restrizione (benché, asseritamente, destinata con certezza al suo rifiuto), né potendo limitarsi a sconsigliare il Banco stesso dal procedere oltre, per poi cedere alle sue insistenze. Nessun dovere di rogare l’atto può mai configurarsi ove esso sia potenzialmente pregiudizievole nei confronti di terzi estranei e, conseguentemente, anche dello stesso notaio, chiamato se del caso a risarcire il danno arrecato.

5.4 – Né può dirsi, infine, che la questione resti superata dalla non configurabilità del danno in capo alla Tr.Di. (v. memoria Cu.La., p. 5): l’assunto si fonda, ancora una volta (ma erroneamente), sulla circostanza per cui l’odierna ricorrente non si sarebbe resa valida cessionaria del credito e dell’ipoteca accessoria; come già ampiamente detto, però, la questione è mal posta, perché ciò che rileva, in questo giudizio, è che il diritto ipotecario annotato in favore della Tr.Di. è stato cancellato senza il suo consenso, a prescindere da ogni ulteriore considerazione sulle vicende presupposte.

Quanto poi alle considerazioni sulla sequenza causale, che secondo la stessa controricorrente (nonché il Procuratore Generale) sarebbe rimasta interrotta per effetto dell’operato del conservatore dei RR.II., che ha disposto la cancellazione tout court, anziché rifiutare l’adempimento, sarà il giudice di rinvio a valutare quanto necessario, sulla base degli elementi istruttori acquisiti, trattandosi di questione allo stesso riservata (Cass. n. 13096/2017). Nel far ciò, il giudice del rinvio si atterrà al seguente consolidato principio: “Con riguardo all’illecito civile, si ha interruzione del nesso di causalità soltanto quando la causa sopravvenuta (che può identificarsi anche con la condotta dello stesso danneggiato) sia da sola sufficiente a provocare l’evento, in quanto autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, sì da assorbire sul piano giuridico ogni diverso antecedente causale e ridurlo al ruolo di semplice occasione” (così, Cass. n. 21563/2022, alla cui motivazione si rinvia, anche per richiami).

6.1 – In definitiva, sono inammissibili i primi due motivi, mentre sono accolti il terzo, il quarto e il quinto. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, che si atterrà ai superiori principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo e accoglie il terzo, il quarto e il quinto motivo; cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il giorno 8 novembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 9 gennaio 2025.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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