Obbligo giudice richiedere info P.A. se necessario

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 gennaio 2025| n. 525.

Obbligo giudice richiedere info P.A. se necessario

Massima: Il mancato esercizio del potere del giudice di cui all’art. 213 c.p.c. è censurabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., soltanto se vi è stata una sollecitazione di parte, se il rifiuto è stato motivato e se l’ordine giudiziale è l’unico mezzo per ottenere le informazioni in possesso della pubblica amministrazione. (Nella specie, la S.C., in una causa avente ad oggetto il risarcimento dei danni da emotrasfusioni, ha cassato con rinvio la sentenza che aveva negato la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 213 c.p.c. senza indicare la fonte che avrebbe consentito al Ministero della Salute di richiedere alla Regione la documentazione idonea a comprovare le somme percepite dall’attrice a titolo di indennizzo ex lege n. 210 del 1992).

 

Ordinanza|9 gennaio 2025| n. 525. Obbligo giudice richiedere info P.A. se necessario

Integrale

Tag/parola chiave: Prova civile – Informazioni della pubblica amministrazione potere di cui all’art. 213 c.p.c. – Mancato esercizio – Censurabilità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – Condizioni – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al N. 11688/2021 R.G. proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in R, (Omissis), è domiciliato, domicilio digitale come in atti

ricorrente –

contro

Od.Gi., elettivamente domiciliata in R, (Omissis), presso lo studio dell’avv. Cl.De., rappresentata e difesa dall’avv. Ce.Fo. come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale come in atti

– controricorrente –

e contro

GESTIONE LIQUIDATORIA EX USL 50 SALERNO

– intimata –

avverso la sentenza N. 62/2021 emessa dalla Corte d’Appello di Salerno, depositata in data 22.1.2021;

udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 4.11.2024 dal Consigliere relatore dr. Salvatore Saija.

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FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 4.9.2004, Od.Gi. convenne in giudizio il Ministero della Salute, la Regione Campania e la Gestione Liquidatoria ex USL 50, dinanzi al Tribunale di Salerno, chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni da lei subiti a seguito di un’epatite C diagnosticata nel 1998. In particolare l’attrice rappresentò di essere stata sottoposta nel luglio 1978 a taglio cesareo per la nascita del primo figlio presso l’ospedale Tortora di Pagani dove, a causa di complicanze, le vennero somministrate più sacche di plasma; aggiunse che nel 1998 risultò positiva al virus dell’epatite C, precisando che nel 2001 aveva presentato la domanda di indennizzo ai sensi della legge n. 210/1992, riconosciutole nel 2003 dalla Commissione medica di Napoli a seguito dell’accertamento del nesso causale tra le trasfusioni effettuate nel 1978 e l’insorgenza dell’epatite C.

I convenuti, costituitisi, resistettero in giudizio; in particolare il Ministero della Salute eccepì la prescrizione del diritto azionato.

Il Tribunale di Salerno, con sentenza non definitiva n. 573/2013 del 1.3.2013, rigettò la domanda nei confronti della Regione Campania per difetto di legittimazione passiva e nel contempo affermò quella del Ministero della Salute e della Gestione Liquidatoria ex USL 50, disponendo

per il prosieguo del giudizio. Successivamente, con sentenza definitiva n. 1438/2014 del 27.3.2014, il Tribunale accolse la domanda attorea, condannando il Ministero della Salute e la Gestione Liquidatoria dell’USL 50 al pagamento in solido, a titolo di risarcimento danni, della somma di Euro 104.324,00 oltre interessi, nonché al pagamento delle spese processuali. In particolare – per quanto ancora interessa – il Tribunale precisò che non era stata provata l’entità dell’indennizzo percepito dall’attrice ai sensi della legge n. 210/1992, sicché non poteva essere operata alcuna detrazione dalla somma liquidata a titolo di risarcimento danni.

Avverso le predette sentenze il Ministero della Salute propose appello, cui resistette Od.Gi.; la Gestione Liquidatoria dell’USL 50 non si costituì. La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza del 22.1.2021, rigettò l’appello, confermando entrambe le sentenze impugnate. In particolare, ancora per quanto qui d’interesse, la Corte salernitana rilevò che l’appellante non poteva dolersi – ai fini della eccepita compensatio lucri cum damno, in relazione alle somme percepite dalla Od.Gi. quale indennizzo ex lege 210/1992 – né della mancata ammissione di una CTU circa la quantificazione delle somme stesse (giacché avente, in tal caso, carattere esplorativo), né della mancata adozione dell’ordine ex art. 213 c.p.c., in quanto in tal guisa il giudice avrebbe sollevato essa appellante dal relativo onere della prova, trattandosi di documenti (quelli concernenti il pagamento di detto indennizzo, anche a fini quantitativi) che il Ministero avrebbe ben potuto richiedere per tempo alla Regione

Campania; né, tantomeno, potevano prendersi in considerazione i documenti prodotti dal Ministero solo nel giudizio d’appello (e neppure all’atto della costituzione, ma nel prosieguo, con nota del 9.7.2019), stante il tenore del vigente art. 345 c.p.c., applicabile ratione temporis, nonché la mancata allegazione, da parte dello stesso Ministero, di non aver potuto produrli per causa ad esso non imputabile.

Avverso detta sentenza il Ministero della Salute propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso Od.Gi. La Gestione Liquidatoria USL 50 è rimasta intimata.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo si lamenta la falsa applicazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nella versione vigente all’attualità, nonché violazione dell’art. 24 Cost.; violazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c. nella versione vigente ratione temporis (ante modifica ex D.L. n. 83/2012, conv. in legge n. 134/2012); falsa applicazione dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Secondo il Ministero ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la produzione dei documenti, attestante i pagamenti ricevuti dall’attrice a titolo di indennizzo ex lege n. 210/1992, sia avvenuta tardivamente nel corso del giudizio di appello, nonostante essa si fosse formata in epoca antecedente alla definizione del giudizio di primo grado, senza che il Ministero abbia allegato e provato di non averla potuta produrre precedentemente per causa allo stesso non imputabile. Osserva il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato nell’applicare l’art. 345, comma 3, c.p.c. nella formulazione attualmente vigente, che limita la produzione dei documenti nuovi in appello unicamente a quelli che la parte dimostri non aver potuto produrre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile, giacché doveva ritenersi operante la formulazione immediatamente precedente dell’art. 345 c.p.c., che consente la produzione nuova in appello anche nel caso della sua “indispensabilità” ai fini del giudizio.

1.2 – Con il secondo motivo, in subordine, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 2, legge n. 210/1992, degli artt. 2043, 2056 ss., dell’art. 2041 e degli artt. 2697 e 2727 ss. c.c., nonché degli artt. 115, 116 c.p.c.; violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2934, 2935 e 2946 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. In via gradata, il ricorrente lamenta che l’eccepita compensatio lucri cum damno poteva essere accolta già sulla base di fatti allegati e acquisiti nel processo, dai quali poter determinare l’entità delle somme corrisposte ed in via presuntiva l’effettivo percepimento da parte della danneggiata e che il primo giudice abbia errato nel non ammettere d’ufficio la richiesta di informazioni alla Regione Campania ai sensi dell’art. 213 c.p.c.

2.1 – Preliminarmente, occorre rilevare che il ricorso è stato notificato alla Gestione Liquidatoria ex USL 50 di Salerno presso il procuratore costituito in primo grado, ed è quindi nulla. Tuttavia, non occorre disporne la rinnovazione, perché la sentenza impugnata (qui non importa se a torto o a ragione) ha indicato la stessa Gestione Liquidatoria come destinataria della notifica dell’appello solo ai fini della litis denuntiatio e, dunque, ha

qualificato la posizione della stessa come riconducibile all’art. 332 c.p.c. Non essendo stata mossa censura alcuna su tale qualificazione, questa Corte non può che prenderne atto, sicché non vi è ragione per ordinare il rinnovo della notificazione in parola.

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3.1 – Ciò posto, il primo motivo è infondato.

Infatti, non è revocabile in dubbio che nella fattispecie trovi applicazione l’art. 345, terzo comma, c.p.c., nel testo attualmente vigente, poiché le sentenze di primo grado sono state depositate dopo l’11.9.2012 (v. Cass. n. 6590/2017; Cass. n. 21606/2021). Quindi, la regola applicabile, sul tema in discussione, è che non rileva affatto la natura indispensabile o meno della produzione documentale tardiva, effettuata in appello, giacché la parte onerata è da considerare oramai irrimediabilmente decaduta dall’esercizio della relativa facoltà processuale.

3.2.1 – Per vero, proprio con specifico riferimento a controversia similare a quella che occupa, deve registrarsi un recente precedente di questa stessa Sezione (Cass. n. 16808/2023), da cui è stato tratto il seguente principio di diritto: “Nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento dei danni, subiti dai congiunti “iure hereditatis” e “iure proprio”, conseguenti al contagio a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, l’indennizzo previsto dall’art. 2, comma 3, della L. n. 210 del 1992, dev’essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo risarcitorio, in applicazione del principio della “compensatio lucri cum damno”; inoltre, costituendo la “compensatio” un’eccezione in senso lato, non è assoggettata a preclusioni essendo rilevabile d’ufficio dal giudice, il quale, per determinarne l’esatta misura, può avvalersi del proprio potere officioso di sollecitazione presso gli uffici competenti. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. – in relazione a vicenda nella quale la documentazione attestante l’avvenuta erogazione dell’indennizzo, prodotta solo in appello, non era stata esaminata dal giudice del gravame in quanto considerata tardiva – ha ritenuto che la predetta documentazione avrebbe, invece, potuto e dovuto essere tenuta in considerazione, avuto anche riguardo alla agevole realizzabilità dell’operazione di scomputo, per essere l’indennizzo in questione determinato dalla legge nel suo preciso ammontare)”.

3.2.2 – Ritiene la Corte come detta decisione non appaia convincente, perché – pur ampiamente condivisibile nei suoi presupposti – finisce però col sovrapporre due piani, che invece vanno opportunamente tenuti distinti, nonché contestualizzati: quello della natura di eccezione in senso lato della compensatio, e quello dell’onere di produzione documentale, a supporto di detta eccezione. Insomma, il citato precedente attribuisce alla qualificazione dell’eccezione di compensatio lucri cum damno come eccezione in senso lato una sorta di potere di rilevazione dall’inosservanza dell’onere di allegare e, gradatamente provare, le circostanze fattuali a sostegno dell’eccezione, ma è un’impostazione che non trova giustificazione nel sistema.

Si vuole cioè dire che, ai fini della valutazione circa la tempestività o meno di una determinata produzione documentale eseguita in grado d’appello, è del tutto irrilevante che la stessa sia funzionale a supportare una

eccezione in senso lato (che, com’è noto, ben può essere rilevata dal giudice, anche d’ufficio, se il fatto integratore sia emergente ex actis – v., ex multis, Cass. n. 20138/2023), perché occorre pur sempre che detta produzione sia stata effettuata secondo le regole processuali: dunque, se la parte interessata vi ha provveduto solo nel giudizio d’appello, essa – anche al lume del vigente art. 345, comma 3, c.p.c. – è irrimediabilmente decaduta dal relativo potere, essendo incorsa nelle preclusioni istruttorie del giudizio di primo grado, fatta ovviamente salva l’ipotesi della rimessione in termini ove il ritardo non le sia imputabile.

Anche per tal verso, dunque, il motivo in esame non può trovare accoglimento.

4.1 – Il secondo motivo è invece fondato, nei limiti di cui appresso, quanto alla denuncia di violazione dell’art. 213 c.p.c.

Nella giurisprudenza di legittimità si è più volte affermata la non censurabilità del mancato esercizio del potere di disporre la richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c. (tra molte, v. Cass. n. 6101/2013), come non manca di evidenziare la controricorrente.

Tuttavia, al riguardo, non può prescindersi dalla verifica della fattispecie, occorrendo anzitutto valutare se parte ricorrente si dolga di tale mancato esercizio in una situazione nella quale, nel giudizio di merito, l’esercizio del potere, da parte del giudice, non era stato sollecitato da alcuno, né il giudice stesso vi aveva fatto riferimento, sia pure per negarne i presupposti. In questa specifica ipotesi, è evidente la giustificazione della incensurabilità della decisione in sede di legittimità, per l’assorbente ragione per cui in tal guisa si finisce con l’introdurre un tema nuovo, estraneo al contraddittorio nel giudizio di merito, e per di più in assenza di qualsiasi pronunciamento sul punto, da parte dello stesso giudice di merito.

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Qualora invece – come nel caso di specie – il giudice abbia enunciato una motivazione con cui ha negato l’esercizio del potere, occorre considerare che essa potrebbe essere in conflitto con la giustificazione della previsione normativa del potere, che è affidato ad una facoltà del giudice (così l’art. 213 c.p.c.: “… il giudice può richiedere d’ufficio alla pubblica amministrazione le informazioni scritte…”), ma con tale ampiezza di potere dispositivo che si presta a comprendere: a) sia il caso in cui la richiesta di informazione alla p.a. potrebbe avvenire anche ad iniziativa di parte; b) sia il caso in cui la prova potrebbe essere data altrimenti dalla parte su cui grava l’onere probatorio; c) sia il caso in cui invece l’acquisizione della informazione potrebbe avvenire solo per effetto di un ordine del giudice ai sensi dell’art. 213 c.p.c. Insomma, la facoltà richiamata da tale norma comprende tutte queste situazioni.

Ebbene, è certamente sindacabile il rifiuto del giudice di merito di dar luogo all’esercizio del potere di cui all’art. 213 c.p.c. nel caso sub c), mentre non è invece censurabile il rifiuto nelle situazioni sub a) e b), a meno di un’oggettiva impossibilità della loro praticabilità.

In generale, se il giudice di merito ha negato l’esercizio del potere di cui all’art. 213 c.p.c., l’incidenza di tale negazione sul giudizio rende senz’altro controllabile l’applicazione della norma ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; con specifico riferimento all’ipotesi sub c), dunque, questa Corte ha il potere di controllare se ricorresse o meno la necessità di esercitare il potere di richiedere l’informazione, essendo l’ordine giudiziale l’unico mezzo per ottenerla.

Ora, con la sentenza impugnata, la Corte salernitana ha negato la sussistenza dei presupposti dell’esercizio del potere in parola, affermando che il Ministero avrebbe potuto richiedere alla Regione Campania (cui erano state devolute le funzioni amministrative in tema di indennizzi ex lege n. 210/1992) la documentazione idonea a comprovare le somme già percepite dall’attrice, e così produrla in giudizio.

Tale motivazione è però del tutto assertoria, in quanto non indica la fonte che avrebbe legittimato il Ministero a rivolgere la richiesta di documentazione alla Regione, restando dunque inesplorata la sussistenza dell’effettivo discrimine tra l’ipotesi supra descritta sub c) e quella sub a).

4.2 – A tanto può aggiungersi una ulteriore considerazione, consentita dal tenore del mezzo in esame.

La Od.Gi. ha esercitato l’azione per cui è processo assumendo che le era stato riconosciuto il diritto all’indennizzo; dal tenore della sentenza impugnata, emerge poi che, nel corso del giudizio, era comunque emerso che detto indennizzo era stato anche percepito dalla stessa Od.Gi., essendone rimasto però incerto solo l’ammontare (v. in particolare la sentenza d’appello, a pag. 5, prima proposizione, là dove si riferisce il tenore della motivazione di primo grado).

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Ebbene, può senz’altro affermarsi che, allorquando ab origine la parte agisca per il risarcimento del danno, affermando di aver già percepito l’indennizzo, oppure quando agisca affermando che l’indennizzo le è stato riconosciuto ed in corso di giudizio ammetta di averlo percepito (o non ne contesti adeguatamente la circostanza, comunque ritualmente acquisita), l’onere di provarne l’ammontare non può che essere a suo carico, in quanto il diritto risarcitorio sussiste solo nella misura eccedente l’indennizzo (v. Cass., Sez. Un., n. 9246/2022). Si vuole cioè dire che, in consimili evenienze, chi agisce per il risarcimento del danno è onerato di allegare e provare l’entità dell’indennizzo percepito, perché la quantificazione del danno subito deve correlativamente essere diminuita dell’aliunde perceptum, ossia appunto dell’indennizzo stesso, la cui dimensione non può che essere evidentemente nota, in primis, alla stessa parte attrice. La domanda, dunque, non può prescindere da tali elementi, giacché l’ordinamento non può prestarsi al silenzio strumentale di chi, agendo in giudizio, richieda (o, in caso di sopravvenienza in corso di giudizio, insista nel richiedere) somme di cui abbia piena consapevolezza della parziale non debenza da parte del Ministero convenuto.

Tali considerazioni, in uno con quanto prima considerato circa l’esercizio dei poteri ex art. 213 c.p.c., sono state di recente condivisibilmente coniugate da Cass. n. 2840/2024, nei termini che seguono: “Nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento dei danni da emotrasfusioni con sangue infetto, l’indennizzo previsto dall’art. 2, comma 3, della L. n. 210 del 1992 dev’essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo risarcitorio per il principio della “compensatio lucri cum damno”; inoltre, la “compensatio” è rilevabile d’ufficio dal giudice il quale, per determinarne l’esatta misura, può avvalersi del proprio potere officioso di sollecitazione presso gli uffici competenti, il cui esercizio, di regola non suscettibile di sindacato di legittimità, non può essere immotivatamente omesso quando la percezione dell’indennizzo è stata ammessa, essendo necessario per verificarne lo specifico ammontare, e per inibire un’ingiustificata locupletazione risultata certa, anche se non nella sua misura. (In applicazione di tale principio la S.C. ha affermato la sindacabilità del mancato esercizio del potere di acquisire informazioni ex art. 213 c.p.c. in un caso in cui l’erogazione dell’indennizzo, ammessa dall’avente diritto senza indicare l’importo riscosso, era stata effettuata non dal predetto Ministero, ignaro perciò dell’esatto ammontare percepito, ma dalla Regione Sicilia)”.

Si tratta di impostazione che il Collegio condivide e cui si intende dare continuità. Anche per tal verso, dunque, risulta conclamato l’errore della Corte salernitana circa la giustificazione del mancato esercizio del potere ex art. 213 c.p.c.

4.3 – Restano assorbiti gli ulteriori profili di doglianza.

5.1 – In definitiva, è rigettato il primo motivo, mentre è accolto il secondo, per quanto di ragione. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione, che si atterrà ai superiori principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Infine, vista la causa petendi, va disposto l’oscuramento dei dati della controricorrente.

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P.Q.M.

la Corte rigetta il primo motivo del ricorso e accoglie il secondo nei termini di cui in motivazione. Cassa in relazione e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi della controricorrente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il giorno 4 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2025.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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