Corte di Cassazione, penale, Sentenza|9 marzo 2021| n. 9343.
La designazione, nell’ambito della pubblica amministrazione, del datore di lavoro soggiace alle regole dettate dall’articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 81 del 2008, che delinea l’individuazione di un’autonoma posizione datoriale, seppure conseguente a un atto espresso di nomina ex articolo 2 citato, in un quadro che rende inapplicabile la disciplina sulla delega di funzioni e sui limiti alla delegabilità di talune di queste funzioni (articoli 16 e 17 del decreto citato).
Sentenza|9 marzo 2021| n. 9343
Data udienza 15 gennaio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Sicurezza sul lavoro – Organo di vertice della Pa – Attribuzione della qualifica di datore di lavoro – Ai fini della sicurezza – Figura con competenze tecniche – Necessità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/07/2020 del tribunale di Gela;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Giuseppe Noviello;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Cuomo Luigi, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
lette le conclusioni del difensore dell’imputata, avv. (OMISSIS) che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e in subordine l’annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10 luglio 2020 il tribunale di Gela condannava (OMISSIS) in relazione ai reati di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 46 comma 2, articolo 43, comma 2, lettera b), articolo 36, comma 1, articolo 37, comma 1, articolo 37, comma 1, articolo 63, comma 1, articolo 86, comma 1, articolo 163, comma 1, articolo 174, comma 1 e articolo 28, comma 2, lettera a).
2. Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, avverso la suindicata sentenza della corte di appello, deducendo sei motivi di impugnazione.
3. Con il primo, ha dedotto il vizio ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) per inosservanza o erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 2, lettera b), articolo 16, lettera b), c), d) ed e) articoli 17 e 299, circa la qualifica di datore di lavoro in materia di sicurezza in capo alla ricorrente. Si premette che alla luce del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 2, lettera b) l’attribuzione da parte dell’organo di vertice di una pubblica amministrazione, nei confronti di un funzionario o dirigente, dei poteri di gestione in materia di prevenzione e protezione della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, deve riguardare un soggetto tecnicamente competente come prescrive il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 16, lettera b) in materia di delega, e come desumibile dallo stesso articolo 2 citato. Come indicato dal citato articolo 16 inoltre, la delega deve essere accettata dal delegato, e ai sensi degli articoli 2 e 16 citati a quest’ultimo vanno conferiti poteri di gestione, intendendosi con tale termine i poteri di autonomia decisionale e di spesa nella specifica materia della prevenzione. In particolare, avendo riguardo alle contestazioni, un dirigente comunale, come la ricorrente, puo’ dirsi dotato di poteri di gestione quando abbia a disposizione specifici capitoli di bilancio da dedicare alla tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, alla gestione delle emergenze e alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici comunali. L’assenza di tali poteri sarebbe dimostrata da atti processuali che evidenziano come, all’epoca dell’ispezione degli organi deputati in materia di sicurezza sul lavoro, il Servizio di Prevenzione e Protezione dai rischi, con i relativi capitoli di spesa era incardinato presso il settore Lavori Pubblici. In particolare, con provvedimento del 2015, il servizio di prevenzione e protezione dai rischi fu spostato dal settore Tributi – diretto dalla ricorrente al tempo dell’ispezione – presso il settore Lavori Pubblici e con attestazione del dirigente del settore Bilancio del 2019 si comunica che il bilancio del 2016 non prevedeva, in capo al settore Tributi, capitoli di spesa da dedicare alla sicurezza sul lavoro e/o alla manutenzione degli stabili comunali, trattandosi di capitoli di appannaggio, all’epoca, del settore Lavori Pubblici. Dagli atti processuali risulterebbe, altresi’, che l’organizzazione e coordinamento del Servizio di Prevenzione e Protezione faceva capo, all’epoca, al titolare del settore Lavori Pubblici. Consegue che la designazione dei dirigenti comunali come datori di lavoro, nell’ambito della prevenzione, di cui alla Delib. di GM n. 360/2011 valorizzata dal giudice in sentenza, sarebbe tamquam non esset, per i rilievi suindicati e perche’ proveniente da un organismo incompetente come la Giunta comunale e non il sindaco. Si aggiunge che la predetta designazione non sarebbe stata accettata ex articolo 16 citato, ed inoltre i dirigenti di riferimento e in particolare la ricorrente, non sarebbero stati messi nelle condizioni di decidere autonomamente nella materia in esame, non essendo stati dotati di mezzi necessari per dare applicazione al Decreto Legislativo n. 81 del 2008. Si aggiunge che qualora il dirigente del comune di Gela fosse stato realmente un datore di lavoro, in virtu’ della Delib. di GM del 2011, avrebbe avuto il diritto dovere di nominare un suo RSPP di ausilio, mentre nel comune di Gela vi sarebbe un solo RSPP nominato in nome e per conto del sindaco e scelto a seguito di gara pubblica, come da allegazioni.
4. Con il secondo motivo, ha dedotto il vizio ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per travisamento della prova in ordine alla ricorrenza dei poteri di gestione in ambito prevenzionistico in capo alla ricorrente, con riferimento al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 2, lettera b) e articolo 16, lettera b) e d), non avendo il giudice considerato al riguardo prove dedotte dalla difesa, dando nel contempo rilevanza ad elementi probatori non attuali. Il giudice avrebbe valorizzato la Delib. del 2014 n. 69, nella parte in cui annovera tra le funzioni del settore Tributi quella in materia di sicurezza sul lavoro e benessere organizzativo ex Decreto Legislativo n. 81 del 2008, trascurando atti che smentiscono tale circostanza, quali la Delib. del 2015, con cui il Servizio di Prevenzione e Protezione dai rischi fu spostato dal settore Tributi – diretto dalla ricorrente al tempo dell’ispezione presso il Settore Lavori Pubblici, tanto che come sopra gia’ rilevato, vi e’ attestazione del dirigente del settore Bilancio del 2019, con cui si comunica che il bilancio del 2016 non prevedeva in capo al settore Tributi capitoli di spesa da dedicare alla sicurezza sul lavoro, trattandosi di capitoli di appannaggio, all’epoca, del Settore Lavori Pubblici. Vi sarebbero atti del fascicolo della difesa che dimostrato come l’organizzazione e il coordinamento della attivita’ in parola era nelle mani del dirigente del Settore Lavori Pubblici. In altri termini, il giudice avrebbe erroneamente ritenuto che la delibera del 2014, di designazione della ricorrente quale datore di lavoro, avrebbe assegnato alla stessa anche i correlati poteri di gestione mentre tale provvedimento nel 2016 non era piu’ in vigore, attesa la gia’ citata nota del 2015 che incardino’ il Servizio di Prevenzione e Protezione in capo al settore Lavori Pubblici, rimanendovi sino al 2018.
5. Con il terzo motivo, ha dedotto il vizio ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per mancanza di motivazione, nella parte in cui, condannando la ricorrente, il giudice non avrebbe considerato gli elementi allegati dalla difesa in ordine ai presupposti di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 16, lettera b) ed e) e articolo 17 e in generale circa la sussistenza degli elementi idonei a configurare i reati contestati. Con particolare riguardo alla deduzione del limitato tempo intercorso tra la designazione della ricorrente (22.3.2016) a capo del settore Tributi e l’ispezione dell’ASP (14 – 16 giugno 2016), anche alla luce dell’attivismo dalla stessa subito mostrato. Si fa riferimento, in particolare, alla impossibilita’ per la ricorrente di nominare un suo RSPP, alla sua qualifica come dirigente amministrativo e non tecnico del comune, che la rendeva inadeguata ad assumere ex articolo 16 citato il ruolo di datore di lavoro, o alla circostanza per cui la designazione di cui alla delibera del 2014 non e’ stata mai accettata. Si fa altresi’ riferimento alle dichiarazioni rilasciate alla difesa dall’allora RSPP del comune di Gela, da cui emergerebbe l’irrazionalita’ delle contestazioni formulate, le quali presupporrebbero violazione connesse al Documento di valutazione dei rischi sia con riguardo alla fase antecedente e concomitante alla sua redazione sia con riguardo alla sua attuazione. E in proposito si osserva che al momento dell’insediamento della ricorrente nel settore Tributi il DVR era stato gia’ redatto e la ricorrente aveva partecipato alla elaborazione allorquando era preposta al settore Ambiente fino ai 22.3.2016. Ancora, alla data del 14.6.2016 era stata programmata una riunione tra il RSPP, medico competente e dirigenti, per illustrare a questi ultimi i rischi rilevati nei vari settori dell’ente, cosi’ che nulla sarebbe rimproverabile alla ricorrente.
6. Con il quarto motivo ha dedotto il vizio ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) con riferimento al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 86, comma 1 in combinato disposto con il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 87, comma 4, lettera d) nella parte in cui sarebbe intervenuta condanna per un fatto non costituente reato e anche con riferimento al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 163, comma 1 in combinato disposto con il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 178, comma 1, lettera a). La fattispecie di cui all’articolo 86 sopra citato non sarebbe penalmente sanzionata.
7. Con il quinto motivo, ha dedotto i vizi ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) con riferimento all’articolo 133 c.p., articolo 81 c.p., comma 2, articolo 62 bis c.p. e articolo 533 c.p.p., per omessa motivazione in ordina alla quantificazione della pena base e dei singoli aumenti di pena per i reati satellite. Tale circostanza peraltro, svilirebbe gli effetti positivi delle attenuanti generiche.
8. Con il sesto motivo, ha dedotto il vizio ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per carenza di motivazione nella parte in cui si afferma la penale responsabilita’ dell’imputata con riferimento ai reati ex Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 46, comma 2, articolo 43, comma 1, lettera b), articolo 36, comma 1 e articolo 37, comma 1 e 10, Art. 63, comma 1, articolo 163, comma 1, articolo 174, comma 1 e articolo 28, comma 2, lettera a). La motivazione sarebbe carente, non avendo considerato doglianze difensive in grado di disarticolare l’apparato argomentativo della sentenza. Con riguardo al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 46, comma 2, il giudice non avrebbe considerato una annotazione difensiva relativa ad un progetto di ristrutturazione di tutto il settore, in cui erano ricomprese le misure antincendio; con riguardo all’articolo 43, comma 1, lettera b) il giudice non avrebbe considerato un’annotazione difensiva relativa ad una precedente designazione dei lavoratori incaricati delle misure antincendio, operata qualche mese prima dal Settore Tributi, oltre alla ulteriore considerazione difensiva per cui un’ulteriore designazione in quel momento, da parte della ricorrente, avrebbe integrato un atto inutile ed abnorme, atteso che i soggetti gia’ nominati per svolgere il ruolo assegnato loro avrebbero dovuto ricevere prioritariamente un’adeguata formazione ex Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 37, comma 9, di competenza degli organi accreditati; con riguardo al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 36, comma 1 e articolo 37, comma 1 e articolo 10 il giudice non avrebbe considerato una deduzione difensiva richiamante dichiarazioni del RSPP Infantino, che avrebbe riferito come della formazione sia occuparono lui e il Dott. (OMISSIS) – come da verbale di sopralluogo del (OMISSIS) – e della formazione avrebbero dovuto occuparsi gli enti accreditati, non essendo in materia competenti i dirigenti, siccome essi stessi destinatari della formazione ex Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 37, comma 7. Come avvenuto successivamente all’ispezione. Il giudice non avrebbe spiegato come possa condannarsi l’imputata, subentrata nel settore Tributi solo dal marzo al luglio 2016, per la mancata formazione dei rappresentanti dei lavoratori ex articolo 37, commi 1 e articolo 10 citato, tenuto conto che essi furono nominati nel lontano 1999 e con riferimento all’intero ente e rimasero invariati tranne uno; con riguardo al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 63, comma 1, il giudice non avrebbe accennato al dato per cui la ricorrente da poco insediata nel settore Tributi si era interessata al progetto di ristrutturazione per riadattarlo alle esigenze di prevenzione nonche’ al fatto per cui ella fu piu’ volte da stimolo nei confronti del settore competente, per cio’ solo dovendosi ritenere esonerata da responsabilita’; con riferimento al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 163, comma 1 e articolo 174, comma 1, il giudice non avrebbe accennato all’intervento della ricorrente per adattare un progetto alle esigenze da lei rilevate in ordine alle postazioni di lavoro, stimolando un rapido intervento del Settore Lavori Pubblici; con riguardo al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 28, comma 2, lettera a) sarebbe ingiustificato il silenzio del giudice essendosi sul punto pronunziato il RSPP, smentendo gli ispettori, atteso che il DVR definirebbe sia i criteri per la valutazione dei rischi derivanti dall’uso di attrezzature munite di videoterminali sia le misure per eliminare o ridurre i rischi relativi. Con affermazione da parte del RSPP che le predette misure sarebbero state elaborate con la collaborazione di tutti i dirigenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi due motivi devono essere considerati congiuntamente, avendo riguardo entrambi ai presupposti per rinvenire la qualifica di datore di lavoro in capo alla ricorrente.
1.1. Preliminarmente, deve distinguersi il conferimento di una delega da parte del datore di lavoro ex Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 16 rispetto alla designazione, nell’ambito della P.A., del datore di lavoro. Si tratta di istituti distinti, per cui quest’ultimo esula dalla delega di funzioni, che presuppone la persistenza di due soggetti, delegato e delegante, tra cui si ripartiscono poteri anche alla luce dei limiti di delegabilita’ contemplati dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 17 dettato specificamente in materia. Laddove quindi, la designazione del datore di lavoro ex articolo 2 citato, nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, delinea l’individuazione di un’autonoma posizione datoriale, seppur conseguente ad un atto espresso di nomina ex Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 2 citato, in un quadro in cui la regola che limita la delegabilita’ di taluni obblighi propri del datore di lavoro ex articolo 17 suindicato non e’ applicabile alle pubbliche amministrazioni che abbiano proceduto alla individuazione del dirigente ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 2, comma 1, lettera b) (cfr. Cass. sez. IV n. 40491 del 16.11.2010. Spiga; Cass. sez. IV n. 22415 del 27 maggio 2015 Borghi non massimate).
1.2. Consegue che la valutazione della designazione della ricorrente, quale datore di lavoro, deve operarsi solo ai sensi dell’articolo 2 citato, risultando quindi non corretti i richiami all’articolo 16 in tema di delega.
1.3.Tale nomina appare conforme ai necessari presupposti richiesti: essa promana da organi politici (Sindaco e Giunta Comunale) ovvero di vertice dell’amministrazione (Cass. sez. IV n. 22415 del 27 maggio 2015 Borghi cit.). Puo’ aggiungersi inoltre che, la nomina, essendo intervenuta nel caso concreto con delibera del 2011 della giunta municipale, comprensiva della partecipazione del sindaco, e’ indubitabile che sia intervenuta anche da parte di tale ultimo organo, superandosi quindi ogni disquisizione circa la riferibilita’ del potere di delega al Sindaco piuttosto che alla Giunta. Con essa la posizione di datore di lavoro appare riconosciuta alla ricorrente come agli altri dirigenti dei vari settori comunali, quale dirigente dotato di poteri di gestione e titolare di autonomi poteri di spesa alla luce del principio per cui rileva, al riguardo, la ripartizione di funzioni indicata dall’Ordinamento degli enti locali (Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articolo 107), che conferisce ai dirigenti amministrativi autonomi poteri di organizzazione delle risorse. In tal senso del resto depone lo stesso verbale di riunione del 14.7.216 h. 16., allegato (allegato al ricorso n. 8) dalla ricorrente e quindi esaminabile da questa Corte, inerente una riunione di coordinamento nella materia in esame, da cui emerge la decisione dei dirigenti, datori di lavoro partecipanti, “di intervenire nell’immediato con interventi minimali sulla base delle loro disponibilita’ e di programmare quegli interventi piu’ impegnativi per i quali si dovranno ricercare e stanziare adeguate risorse a bilancio per eseguire urgentemente tali interventi”. Consegue che il richiamo alla attestazione dirigenziale del 2019, secondo la quale il bilancio del 2016 non prevedeva in capo al settore Tributi capitoli di spesa da dedicare alla sicurezza sul lavoro, trattandosi di capitoli di appannaggio, all’epoca, del Settore Lavori Pubblici, non appare in grado di confutare la suesposta ricostruzione normativa e fattuale in termini di poteri di spesa; rispetto alla quale la deduzione appare quindi carente in termini di specificita’, non essendo precisato come possa tale attestazione sconfessare i dati, normativi e documentali, sopra indicati. Tanto piu’ ove si aggiunga che non appare significativa, ai fini della ricostruzione della validita’ della designazione della ricorrente quale datore di lavoro, la sottolineatura della collocazione del Servizio di Protezione e Prevenzione presso il settore Lavori Pubblici, cui competerebbero i capitoli di spesa citati nella attestazione del 2019 sopra accennata, ove si consideri che il responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione svolge un ruolo di consulente in materia antinfortunistica del datore di lavoro, ed e’ privo di effettivo potere decisionale, e pertanto la sua nomina non incide sulla identificazione del datore di lavoro ne’ di per se’ lo esonera da responsabilita’ (Sez. 4, n. 24958 del 26/04/2017 Rv. 270286 – 01 Rescio). Con l’ulteriore rilievo, di interesse nel caso concreto, alla luce del contenuto dei motivi proposti, che anche le argomentazioni sviluppate dalla ricorrente, con riguardo alla intervenuta nomina unitaria e da parte degli organi comunali di vertice, del predetto RSSP, non paiono pertinenti al tema della corretta ricostruzione del ruolo dell’imputata quale datore di lavoro in relazione al settore di competenza.
Da quanto sopra esposto consegue la manifesta infondatezza dei primi due motivi di ricorso.
2. Anche il terzo motivo e’ manifestamente infondato. Innanzitutto le argomentazioni sopra esposte, circa l’irrilevanza, ai fini della determinazione della qualifica di datore di lavoro in capo alla ricorrente, delle questioni relative alla disciplina della delega di funzioni ovvero alla intervenuta nomina del RSSP, con riconduzione del medesimo nell’ambito di operativita’ di settore diverso da quello affidato all’imputata, evidenziano la non pertinenza rispetto al tema proposto delle richiamate considerazioni difensive in ordine alla impossibilita’, per la ricorrente, di nominare un suo RSPP, alla sua qualifica come dirigente amministrativo e non tecnico del comune, che la rendeva inadeguata ad assumere, ex articolo 16 citato, il ruolo di datore di lavoro, o alla circostanza per cui la designazione di cui alla delibera del 2014 non sarebbe stata mai accettata. Quanto al riferimento alle dichiarazioni rilasciate alla difesa dall’allora RSPP del comune di Gela esso, come in ogni caso l’intero motivo, nella misura in cui, sulla base di tali affermazioni, richiama indistintamente, con conseguente difetto di specificita’ estrinseca (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568), le contravvenzioni contestate per sostenere, in maniera non meglio illustrata e quindi generica, la loro conseguente insussistenza, anche in rapporto alle doglianze difensive che non sarebbero state considerate, si contraddistingue per l’assoluta inadeguatezza nel rappresentare, avvalendosi del predetto contesto probatorio dichiarativo, le ragioni per cui le contestazioni formulate presupporrebbero violazioni connesse al Documento di valutazione dei rischi, sia con riguardo alla fase antecedente e concomitante alla sua redazione sia con riguardo alla sua attuazione. Con incidenza sulla responsabilita’ della ricorrente. Quanto al breve arco temporale in cui avrebbe operato l’imputata a capo del settore Tributi, oltre alla mancata illustrazione delle ragioni per cui tanto inciderebbe sulle contestazioni, si tratta di una valutazione di fatto insuscettibile di esame in questa sede.
3. E’ invece fondato il quarto motivo, atteso che la condotta di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 86, comma 1 e di cui al capo G) non presenta rilevanza penale bensi’ amministrativa.
4. Prima di procedere all’esame del quinto motivo dedotto, inerente il trattamento sanzionatorio, occorre esaminare il sesto motivo siccome preliminare rispetto al suddetto profilo della determinazione della pena. Tanto premesso, occorre osservare come il giudice, illustrata la qualifica di datore di lavoro ricoperta dalla ricorrente, ha poi sostenuto l’intervenuta integrazione delle contravvenzioni contestate alla luce della rilevata violazione delle medesime, siccome illustrata nei corrispondenti atti del personale che ha svolto le verifiche in loco, redigendo specifici verbali descrittivi delle omissioni, acquisiti in atti e citati in sentenza.
Si tratta di una affermazione del tutto carente di motivazione. Come noto, la motivazione “per relationem” di un provvedimento giudiziale e’ da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facolta’ di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Sez. 2 -, n. 55199 del 29/05/2018 Cc. (dep. 10/12/2018) Rv. 274252 – 01 Salcini). Si tratta di un principio generale, applicabile quindi anche al caso concreto, che non risulta rispettato, con particolare riferimento all’obbligo di dar conto dell’avvenuto esame, critico, del contenuto sostanziale delle ragioni degli atti di riferimento, attraverso attenta valutazione dei medesimi funzionale alla assunzione della decisione finale di responsabilita’ della ricorrente. In altri termini, il giudice avrebbe dovuto dar conto delle ragioni per cui ha ritenuto condivisibili le indicazioni contenute negli atti di accertamento richiamati ed inerenti la consumazione delle contravvenzioni contestate; tanto piu’ confrontandosi rispetto alle deduzioni e allegazioni difensive. Circostanze non rinvenibili nella sentenza impugnata.
5. Il fondamento del sesto motivo rende superfluo l’esame del quinto motivo, che ne rimane assorbito.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che la sentenza impugnata debba essere annullata limitatamente al reato di cui al capo g) della rubrica perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato e con rinvio al tribunale di Gela per nuovo giudizio in ordine ai residui reati, anche in relazione al trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo g) della rubrica perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato e con rinvio al tribunale di Gela per nuovo giudizio in ordine ai residui reati, anche in relazione al trattamento sanzionatorio.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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