Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 29 ottobre 2018, n. 27380
La massima estrapolata:
La prova del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, all’interno del quale si colloca anche la impossibilità di repechage, quale fatto estintivo del rapporto di lavoro, non può che gravare sul datore di lavoro sia in base alla espressa previsione di cui all’art. 5 Legge n. 604/1966. sia in ragione del principio generale secondo il quale il creditore, provata la fonte legale o negoziale del proprio diritto, ha poi solo l’onere di allegare l’altrui inadempimento, mentre il debitore deve provare i fatti impeditivi, modificativi od estintivi della pretesa azionata.
Sentenza 29 ottobre 2018, n. 27380
Data udienza 29 maggio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere
Dott. LORITO Matilde – Consigliere
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 955-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 207/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 06/07/2015 R.G.N. 658/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/05/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del primo e secondo motivo, accoglimento del terzo.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Ancona, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di (OMISSIS), intesa all’accertamento dell’illegittimita’ del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato con lettera in data 24.11.2009 dalla datrice di lavoro (OMISSIS) s.r.l..
1.1. Il giudice di appello, premesso che il recesso datoriale era stato motivato mediante riferimento “alla riorganizzazione del reparto tagliatura tomaie calzature resasi necessaria per gli alti costi di gestione”, ha ritenuto che la scelta di esternalizzare l’attivita’ di tagliatura pelli alla quale era addetto il (OMISSIS), pur in assenza di una situazione di crisi o di un richiamo a cali di fatturato, quale espressione della liberta’ di iniziativa economica tutelata dall’articolo 41 Cost., fosse insindacabile nei suoi profili di congruita’ ed opportunita’. La effettivita’ di tale riorganizzazione e la conseguente eliminazione del ruolo di tagliatore non erano state contestate dal (OMISSIS), le cui deduzioni attinenti all’andamento del fatturato e degli utili aziendali nel periodo di interesse non erano, per quanto sopra detto, conferenti; era, inoltre, rimasto indimostrato l’assunto di un intento discriminatorio in danno del lavoratore, licenziato al rientro da un periodo di assenza per infortunio, e dell’arbitrarieta’ della scelta del (OMISSIS) quale lavoratore da licenziare. In ordine alla impossibilita’ del “repechage”, premesso che l’onere probatorio a carico della parte datoriale non poteva prescindere dalle allegazioni a riguardo del lavoratore, il giudice di appello ha ritenuto che le circostanze allegate dal (OMISSIS), riferite all’assunzione di altri dipendenti, non risultavano significative nel senso preteso in quanto l’originario ricorrente non aveva indicato alcun posto che risultasse vacante o alcun riassetto che consentisse la utilizzazione altrimenti delle proprie energie lavorative; in particolare, dalla istruttoria espletata era emerso che l’assunzione del dipendente (OMISSIS), era avvenuta per soli due mesi, con mansioni diverse da quelle espletate dal (OMISSIS) ed era stata determinata da ragioni sostanzialmente umanitarie, essendo, al contrario, rimasta privo di riscontro l’assunto che il rapporto del (OMISSIS) si era protratto oltre il termine di due mesi; l’assunzione del (OMISSIS), dopo tre mesi dal licenziamento del (OMISSIS), era avvenuta per lo svolgimento delle mansioni di “montatore di calzature” mansioni che il (OMISSIS) non negava di non avere mai svolto in passato o di non essere in grado di svolgere.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di tre motivi; la parte intimata non ha svolto attivita’ difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti. Premesso che la ritenuta insindacabilita’ della scelta datoriale di riassetto organizzativo attuato al solo fine della piu’ economica gestione dell’impresa, richiedeva, comunque, la dimostrazione del carattere non apparente di tale scelta, osserva che le emergenze della prova orale e documentale avevano, al contrario, dimostrato il carattere strumentale della riorganizzazione in quanto esclusivamente finalizzata all’espulsione del lavoratore. Richiama a tal fine una serie di circostanze che assume indebitamente trascurate dal giudice di merito, quali il fatto che il licenziamento era stato intimato in corrispondenza dal rientro dall’infortunio sul lavoro, il fatto che la societa’ aveva rinunziato al periodo di preavviso lavorato, l’assenza di ragioni tecniche o produttive che giustificassero la soppressione del reparto emersa dalla consulenza tecnica d’ufficio; ecc..
2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, articoli 3 e 5. Premesso che la Corte di appello aveva dichiarato la esistenza del legittimo motivo oggettivo di licenziamento ritenendo la motivazione addotta insindacabile e non contestata dal lavoratore sotto il profilo delle “valutazioni circa l’andamento del fatturato e degli utili aziendali”, assume che, in tal modo, si sarebbe posto a carico del lavoratore un incombente probatorio particolarmente gravoso ed in contrasto con la previsione della L. n. 604 del 1966, articolo 5 cit. alla stregua del quale la dimostrazione del giustificato motivo oggettivo di licenziamento fa capo al datore di lavoro. Al lavoratore era stato, infatti, addossato l’onere di verificare ed indicare negli atti di causa le effettive ragioni di carattere riorganizzativo a fondamento del recesso datoriale.
3. Con il terzo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, articoli 3 e 5, censurando la sentenza impugnata per avere, in sintesi, condizionato l’onere probatorio gravante sulla parte datoriale alle allegazioni del dipendente licenziato circa gli eventuali posti in azienda reperibili nei quali potesse essere utilmente collocato; contesta, in particolare che, come affermato dal giudice di appello, l’onere probatorio a carico della parte datoriale fosse condizionato alla previa indicazione da parte del dipendente dei posti nei quali il lavoratore avrebbe potuto essere utilmente collocato.
4. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile. La Corte territoriale ha accertato che il licenziamento del (OMISSIS) era frutto della ristrutturazione organizzativa determinata dall’esigenza di esternalizzare un’attivita’ aziendale che comportava l’incremento di oneri economici negativi per l’andamento dell’impresa e tale da integrare legittimamente il presupposto dettato dalla L. n. 604 del 1966, articolo 3, cosi’ implicitamente negando il carattere strumentale del recesso datoriale; ha, inoltre, esplicitamente escluso che alla base dello stesso vi fosse un intento discriminatorio nei confronti del dipendente.
4.1. Tale accertamento non risulta inficiato dalle censure formulate dal ricorrente sia in quanto articolate con modalita’ non conformi all’attuale configurazione del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 sia in quanto la denunzia di omesso esame e’ riferita a circostanze delle quali non viene illustrato, ne’ emerge ex se, il carattere di decisivita’. Sotto il primo profilo si evidenzia che la evocazione delle circostanze rispetto alle quali si denunzia omesso esame non rispetta la previsione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto non risulta riprodotto il contenuto dell’atto o del documento dal quale tale circostanza risulta e neppure specificato il come ed il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, come, invece, prescritto (v. per tutte Cass. Sez. Un. 7/4/2014 n. 8053). Sotto il secondo profilo si evidenzia che i “fatti richiamati” o investono profili di opportunita’ della scelta organizzativa (v. riferimento alla positiva situazione aziendale desumibile dai bilanci e dalla ctu contabile) sottratti al sindacato giurisdizionale (v. fra le altre, Cass. 1/7/2016 n. 13516) o attengono a circostanze (es. dichiarazione del teste (OMISSIS), rinunzia al preavviso lavorato, licenziamento seguito subito dopo il rientro in azienda del (OMISSIS), assente per infortunio lavorativo) di non univoco significato probatorio e, pertanto, prive di decisivita’, risolvendosi nella inammissibile richiesta di un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio, apprezzamento precluso al giudice di legittimita’ (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846, Cass 7/2/2004 n. 2357).
5. Il secondo motivo e’ infondato. L’accertamento relativo alla esistenza di una riorganizzazione aziendale realizzata mediante esternalizzazione del reparto al quale era addetto il (OMISSIS) non e’ frutto della violazione dell’onere probatorio facente capo al datore di lavoro ai sensi della L. n. 604 del 1966, articoli 3 e 5 cit. essendo tale accertamento stato espressamente fondato sulla non contestazione della circostanza da parte del (OMISSIS). L’ulteriore affermazione del giudice del gravame relativa alla non conferenza delle valutazioni del lavoratore relative all’andamento del fatturato ed agli utili aziendali risulta coerente con le ragioni alla base del licenziamento de qua alle quali sono estranee, come puntualizzato nella sentenza impugnata, cali di fatturato o situazioni di crisi. E’ da escludere, peraltro, al contrario di quanto sembra adombrare parte ricorrente, che il datore di lavoro debba anche provare che la soppressione del posto di lavoro derivi dalla necessita’ di fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti atteso che, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, il licenziamento per motivo oggettivo puo’ essere giustificato anche dal riassetto organizzativo determinato dalla piu’ economica gestione dell’impresa, a prescindere dal verificarsi di situazioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendali (cfr. Cass. 7/12/2016 n. 25201; Cass. 3/5/2017 n 10699; Cass. 20/10/2017).
6. Il terzo motivo di ricorso e’ fondato. La sentenza impugnata afferma che l’onere della prova relativo al “repechage” e’ astretto al datore di lavoro ma non a prescindere dalle allegazioni, doverose per il lavoratore, in merito all’impossibilita’ di una diversa utile ricollocazione lavorativa del dipendente licenziato.
6.1. Tale affermazione costituisce espressione dell’orientamento giurisprudenziale (nell’ambito del quale si annoverano, tra le altre, oltre alla richiamata Cass. 08/02/2011 n. 3040, Cass. 08/11/2013 n. 25197, Cass. 08/03/2010 n. 6559, Cass. 22/10/2009 n. 22417) secondo il quale la prova della impossibilita’ di “repechage” non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore, che impugni il licenziamento, una collaborazione nell’accertamento di un possibile “repechage”, mediante l’allegazione della esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato; a tale allegazione, poi, corrisponde l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilita’ nei posti predetti, da intendersi assolto anche mediante la dimostrazione di circostanze indiziarie. Secondo, altro orientamento (v., tra le altre, Cass. 24882/2017 cit.; Cass. 05/01/2017 n. 160, in motivazione; Cass. 13/06/2016 n. 12101; Cass. 22/03/201.6 n. 5592), invece, spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilita’ di una diversa utile collocazione lavorativa. Tale ultimo indirizzo, al quale si ritiene di dare continuita’, nasce da condivisibili considerazioni di ordine dogmatico e sistematico alla stregua delle quali viene evidenziato come il dovere di cooperazione fra le parti del rapporto operi solo sul piano sostanziale, in quanto espressione del principio di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1375 e 1206 c.c.; l’obbligo di cooperazione non puo’, invece, estendersi fino al piano processuale, connotato da una leale ma pur sempre dialettica contrapposizione fra le parti. E’ stato evidenziato, in particolare, come la prova del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, all’interno del quale si colloca anche la impossibilita’ di “repechage” (Cass. 12101/2016 cit., in motivazione), quale fatto estintivo del rapporto di lavoro, non puo’ che gravare sul datore di lavoro sia in base alla espressa previsione di cui alla L. n. 604 del 1966, articolo 5 cit. sia in ragione del principio generale secondo il quale il creditore, provata la fonte legale o negoziale del proprio diritto, ha poi solo l’onere di allegare l’altrui inadempimento, mentre il debitore deve provare i fatti impeditivi, modificativi od estintivi della pretesa azionata (cfr., per tutte, Cass. Sez. Un. 30/10/2001 n. 13533 e successiva conforme giurisprudenza); e’ stato, inoltre rimarcato che la divaricazione tra oneri di allegazione e oneri probatori non appare coerente con i principi che regolano il nostro sistema processuale in quanto chi ha l’onere di provare un fatto primario (costitutivo del diritto azionato o impeditivo, modificativo od estintivo dello stesso) ha altresi’ l’onere della relativa compiuta allegazione (sull’impossibilita’ di disgiungere fra loro onere di allegazione e relativo onere probatorio gravante sulla medesima parte v., ex aliis, Cass.15/10/2014 n. 2184).
7. A tanto consegue la cassazione con rinvio della sentenza impugnata non coerente sul punto con il condivisibile indirizzo giurisprudenziale da ultimo richiamato.
8. Al giudice del rinvio, che si indica nella Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, e’ demandato il regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo e accoglie il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimita’.
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