Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 6 marzo 2018, n. 5176. In tema di esecuzione forzata e per il caso di aggiudicazione del bene espropriato, la erronea utilizzazione delle somme versate come cauzione dall’aggiudicatario da parte del cancelliere

In tema di esecuzione forzata e per il caso di aggiudicazione del bene espropriato, la erronea utilizzazione delle somme versate come cauzione dall’aggiudicatario da parte del cancelliere, con il pagamento dell’imposta proporzionale di registro anziché, trattandosi di alienazione effettuata nell’esercizio di impresa da una società di capitali, dell’imposta fissa di registro e dell’imposta sul valore aggiunto, ricade sull’aggiudicatario-acquirente e non sull’esecutato con la conseguenza che quest’ultimo, ha diritto di rivalsa sul primo.

Sentenza 6 marzo 2018, n. 5176
Data udienza 19 dicembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 6053-2015 proposto da:
(OMISSIS) SRL, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore sig. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL, in persona del procuratore speciale sig. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 358/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/01/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/12/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE ROSSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI ANNA MARIA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega non scritta.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Latina – sezione distaccata di Terracina emise decreto ingiuntivo di condanna della (OMISSIS) s.r.l. al pagamento, in favore della (OMISSIS) s.r.l., della somma di Euro 260.570, oltre accessori, a titolo di rivalsa dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in relazione a due decreti di trasferimento di immobili di cui la (OMISSIS) s.r.l. si era resa aggiudicataria nell’ambito di una procedura di espropriazione forzata promossa in danno della (OMISSIS) s.r.l..
L’opposizione avverso il provvedimento monitorio, accolta in primo grado, e’ stata disattesa dalla Corte di Appello di Roma con sentenza n. 358/2015 del 19 gennaio 2015.
Ricorre per cassazione la (OMISSIS) s.r.l., affidandosi a tre motivi illustrati da memoria; resiste con controricorso la (OMISSIS) s.r.l..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare, va dichiarata la inammissibilita’ della produzione documentale eseguita dal ricorrente in epoca successiva alla notifica dell’atto introduttivo: gli atti e i documenti cosi’ depositati (ordinanza ex articolo 373 c.p.c. della Corte di Appello di Roma di sospensione dell’esecutivita’ della sentenza impugnata; istanza di sgravio rivolta all’Agenzia delle Entrate di Latina e conseguente risposta, visura camerale relativa alla societa’ intimata) esulano infatti dai (circoscritti) limiti previsti dall’articolo 372 c.p.c., in quanto non concernenti la nullita’ della sentenza gravata o l’ammissibilita’ del ricorso o del controricorso, ma diretti ad asseverare la fondatezza delle ragioni dedotte a sostegno della proposta impugnazione.
2. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 591-ter, 591-bis, 617, 113, 60 e 580 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonche’ nullita’ della sentenza e del procedimento ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Espone che la Corte territoriale ha ritenuto la fondatezza della domanda monitoria accertando: l’esatta forma impositiva cui soggiace la vendita forzata in sede di espropriazione immobiliare, ravvisandola nella imposta sul valore aggiunto; l’obbligo del debitore esecutato di emettere la fattura in favore dell’aggiudicatario in virtu’ del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 4, comma 2, n. 2; l’obbligo dell’aggiudicatario di pagare al debitore esecutato che agisca in rivalsa quanto da questi dovuto all’erario a titolo di IVA.
Assume che, in tal maniera argomentando, la cognizione della Corte territoriale ha finito con il sindacare l’attivita’ del professionista delegato per le operazioni di vendita nella espropriazione forzata, il quale, nell’espletamento dello specifico compito lui deferito ai sensi dell’articolo 591-bis c.p.c., comma 3, n. 11, aveva assunto la determinazione di assoggettare ad imposta di registro (e non gia’ ad IVA) il decreto di trasferimento: una valutazione del genere, tuttavia, non era consentita nel giudizio a quo, per essere il controllo sull’operato del professionista delegato inderogabilmente riservato, attraverso i rimedi del reclamo (articolo 591-ter c.p.c.) e dell’opposizione agli atti esecutivi (articolo 617 c.p.c.) alla “competenza funzionale” del giudice dell’esecuzione.
Il secondo motivo censura, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, l'”omesso esame circa un fatto decisivo della controversia che e’ stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’articolo 112 c.p.c.” e “contraddittorieta’ manifesta della sentenza nella esposizione dei motivi di diritto”.
Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata: ha omesso di esaminare una questione idonea a definire il giudizio, ovvero la mancata proposizione da parte del debitore esecutato del reclamo ex articolo 591-ter c.p.c.; si basa su una motivazione apparente, connotata su principi di diritto mal intesi, in quanto, in caso di vendita forzata, “all’obbligo del debitore esecutato di emettere fattura con addebito di imposta corrisponde l’obbligo del creditore aggiudicatario di versare il relativo importo ma solo in cancelleria, giammai nelle mani del debitore”.
2.1. Le censure, suscettibili di congiunta disamina perche’ tra loro strettamente connesse, vanno disattese.
Al fondo, esse muovono dal seguente ragionamento: l’esecuzione delle formalita’ di registrazione e tassazione del decreto di trasferimento di immobile pignorato e’ attivita’ devoluta, in via esclusiva, al professionista delegato, sottoposto alla direzione ed al controllo del giudice dell’esecuzione, e il versamento delle relative imposte da parte dell’aggiudicatario deve avvenire unicamente nell’ambito del procedimento esecutivo, con derivante inammissibilita’ dell’azione di condanna in via di rivalsa autonomamente esperita dal debitore esecutato.
L’argomentazione, a ben vedere, implicitamente presuppone che l’assoggettamento a tassazione del decreto di trasferimento operato dall’ausiliario del giudice dell’esecuzione (ovvero il compimento della materiale attivita’ presso gli uffici finanziari) involga e determini un accertamento in iure sul relativo regime fiscale, destinato alla irrevocabilita’ attraverso il sistema di rimedi interni al procedimento esecutivo (reclamo ed opposizione agli atti esecutivi).
Si tratta di una premessa (non estrinsecata, ma fondante) in tutta evidenza palesemente erronea.
Alcun atto compiuto da un ausiliario del giudice dell’esecuzione o provvedimento pronunciato da quest’ultimo (nemmeno a seguito di reclamo ex articolo 591-ter c.p.c.) puo’ contenere statuizioni circa il (o comunque incidere sul) trattamento fiscale degli atti della procedura, e in primis del decreto di trasferimento, per essere la relativa disciplina stabilita da disposizioni legislative per definizione inderogabili, in ossequio al basilare principio di legalita’.
Ne deriva che una non corretta sottoposizione a tassazione del decreto di trasferimento (che in astratto potrebbe andare tanto a vantaggio quanto a detrimento dell’aggiudicatario) ad opera del professionista delegato ad hoc preposto, anche se avvenuta nell’osservanza di specifica direttiva impartita dal giudice dell’esecuzione, non puo’ certo determinare, nemmeno in caso di mancato esperimento dei rimedi avverso gli atti dell’ausiliario o i provvedimenti del G.E., il formarsi di un irreversibile accertamento sulla imposizione dovuta, cioe’ a dire non preclude un – successivo ed anche esterno rispetto all’espropriazione – recupero a tassazione dell’atto, su impulso dell’ufficio finanziario o di iniziativa del soggetto passivo dell’imposta.
E’ questo, in sostanza, un principio di diritto gia’ affermato dal giudice di legittimita’ in vicenda in tutto analoga a quella controversa (con la sola, insignificante, differenza sulla figura dell’ausiliario del G.E. tenuto alla registrazione, in ragione della mancata delega delle operazioni di vendita) e che qui si intende espressamente ribadire: “In tema di esecuzione forzata e per il caso di aggiudicazione del bene espropriato, la erronea utilizzazione delle somme versate come cauzione dall’aggiudicatario da parte del cancelliere, con il pagamento dell’imposta proporzionale di registro anziche’, trattandosi di alienazione effettuata nell’esercizio di impresa da una societa’ di capitali, dell’imposta fissa di registro e dell’imposta sul valore aggiunto, ricade sull’aggiudicatario -acquirente e non sull’esecutato con la conseguenza che quest’ultimo, ha diritto di rivalsa sul primo a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 18 per l’imposta sul valore aggiunto da lui pagata” (cosi’ Cass. 14/10/1992, n. 11210).
Nemmeno puo’ revocarsi in dubbio l’affermazione della sentenza impugnata (pervero, non specificamente criticata dal ricorrente) secondo cui la vendita in sede di esecuzione forzata in danno di una societa’ commerciale (quale la controricorrente) di un bene facente parte di un’azienda e’ assoggettata ad IVA ed imposta fissa di registro, dal momento che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 2, comma 1, definisce come cessioni di beni soggette ad IVA gli “atti a titolo oneroso che importano il trasferimento di proprieta’” adottati nell’esercizio di impresa, senza distinzione tra la natura volontaria o coattiva del trasferimento (ex multis, Cass. 13/05/2009, n. 10964; Cass. 07/07/2006, n. 15570; Cass. 12/08/1997, n. 7528).
Al debitore esecutato, soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto in ordine alla cessione (coattiva) dell’immobile aziendale e tenuto, in detta qualita’, all’emissione della fattura con addebito di imposta all’aggiudicatario – cessionario (cosi’ Cass. 31/05/2006, n. 13013; Cass. 13/02/2001, n. 2065), deve essere riconosciuta idonea tutela qualora quest’ultimo non versi i relativi importi nella procedura espropriativa (e cio’, alla luce di quanto detto, sia in caso di volontario inadempimento sia di mancata richiesta o errore da parte degli organi della procedura): tutela che, in difetto di previsioni speciali, va senz’altro individuata nella esperibilita’ di un’ordinaria azione di condanna nelle forme della cognizione piena o, ricorrendone i presupposti, semplificata (quale il procedimento per ingiunzione).
3. Con il terzo motivo, per violazione dell’articolo 2709 c.c. e degli articoli 115, 116 e 345 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente rileva come la Corte territoriale abbia tratto il suo convincimento da un documento (una cartella esattoriale per il recupero coattivo dell’IVA non versata sul decreto di trasferimento) mai prodotta in giudizio dalla controparte ne’ aliunde acquisita agli atti del processo.
La censura e’ infondata.
Senza neppur verificare la effettiva presenza in atti del denunciato documento, e’ sufficiente qui rilevare come la sentenza impugnata abbia, a fondamento della decisione, rinvenuto la giustificazione causale (e, ad un tempo, la idonea asseverazione) della pretesa azionata in via monitoria nella emissione di due fatture per le cessioni coattive (con addebito IVA all’aggiudicatario) e nell’appostazione nel bilancio dell’anno dei relativi importi tra i debiti tributari, solamente menzionando l’allegazione ad opera della societa’ cedente di una copia della cartella esattoriale ma senza nemmeno esprimere alcun apprezzamento o valutazione sulla rilevanza di essa.
Difetta dunque, in maniera radicale, la incidenza dell’asserito vizio processuale sulla decisione impugnata, potendo invero espungersi dalla stessa il riferimento alla cartella esattoriale senza in alcun modo minare la compiutezza e la concludenza della motivazione: e di cio’, peraltro, e’ ben consapevole lo stesso ricorrente, il quale riconosce espressamente che la cartella de qua “non ha nessun rilievo, perche’ (…) l’esistenza del preteso credito IVA (…) non trova certamente la sua fonte e prova nell’eventuale attivita’ esecutiva dell’erario”.
4. Con il quarto motivo, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si eccepisce la nullita’ della sentenza impugnata in quanto decisa in data 19 giugno 2014, epoca antecedente all’udienza di precisazione delle conclusioni (tenutasi il 27 giugno 2014) e poiche’ recante statuizione (nel dispositivo) di condanna alle spese emessa anche nei confronti di un soggetto ( (OMISSIS)) non parte del giudizio.
Il motivo e’ infondato: ambedue le indicazioni, frutto di evidenti errori materiali, non inficiano la validita’ della pronuncia.
La menzione – quale beneficiario della condanna alle spese di lite di un soggetto non parte del giudizio e’ priva di giuridica rilevanza, dacche’ quest’ultimo mai potrebbe giovarsi della pronuncia come titolo esecutivo, proprio perche’ estraneo al processo.
La data di deliberazione della sentenza, poi, a differenza della data di pubblicazione (che ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica), non e’ un elemento essenziale dell’atto processuale, sicche’ tanto la sua mancanza, quanto la sua erronea indicazione, non integrano alcuna ipotesi di nullita’, ma costituiscono fattispecie di mero errore materiale,come tale emendabile ai sensi degli articoli 287 e 288 c.p.c. (in tal senso, Cass. 20/09/2017, n. 21806; Cass. 12/04/2013, n. 8942).
5. La regolamentazione delle spese del giudizio di legittimita’ tra le parti segue il principio della soccombenza ex articolo 91 c.p.c., con liquidazione operata alla stregua dei parametri fissati dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, come in dispositivo.
Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte da’ atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater): il rigetto del ricorso costituisce il presupposto per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento in favore del contro ricorrente delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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