Corte di Cassazione, sezione secoda civile, sentenza 15 febbraio 2018, n. 3739. I limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati previsti dall’art. 9, comma 2, D.M. 2 aprile 1968, n. 1444

I limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati previsti dall’art. 9, comma 2, D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, (emanato su delega dell’art. 41-quinquies della L. 17 agosto 1942, n. 1150 – c.d. legge urbanistica, aggiunto dall’art. 17, L. 6 agosto 1967, n. 765) che prevalgono sulle contrastanti previsioni del regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica, trovano applicazione anche con riferimento alle nuove costruzioni, quali devono considerarsi le sopraelevazioni effettuate in zona A (centro storico) dove, vigendo il generale divieto di realizzazione di costruzioni ex novo, é previsto solo che le distanze tra gli edifici interessati da interventi di ristrutturazione e di risanamento conservativo (i soli consentiti), non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i preesistenti volumi edificati.

Sentenza 15 febbraio 2018, n. 3739
Data udienza 28 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 7060/2013 proposto da:
(OMISSIS), ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2847/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 28/08/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/11/2017 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) in sostituzione dell’avv. (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Sondrio, sezione distaccata di Morbegno, rigettava la domanda di (OMISSIS) di condanna di (OMISSIS) al ripristino dello stato dei luoghi in relazione a una ringhiera, un tettuccio, un sottotetto con sopralzo e due vedute realizzati in asserita violazione dell’articolo 905 c.c., rispetto ad un terreno di sua proprieta’.
2. (OMISSIS) proponeva appello, la Corte d’appello di Milano, respingeva l’impugnazione in relazione a tutti i motivi proposti e confermava la sentenza di primo grado.
In particolare la Corte d’appello rilevava che, con riferimento alla sopraelevazione, il giudice di prime cure aveva correttamente sostenuto che mancava la prova della proprieta’ dell’attrice sulla corte comune, in quanto dall’atto di donazione prodotto non risultava che tra le pertinenze vi fosse anche una quota di comproprieta’ dell’area suddetta. Inoltre non era stato chiesto alcun accertamento istruttorio per dimostrare la contitolarita’ del bene ai sensi dell’articolo 1117 c.c..
3. Quanto alla sopraelevazione, secondo l’esito della consulenza tecnica, la stessa rispettava la normativa sulle distanze tra fabbricati. Per i sopralzi, la normativa locale sulle distanze imponeva l’obbligo del rispetto delle norme del codice civile.
La doglianza dell’appellante doveva essere disattesa anche perche’ il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, e’ diretto ad imporre dei limiti edilizi ed urbanistici ai Comuni e non puo’ considerarsi immediatamente operante nei rapporti tra privati, e oltretutto, come accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio, il decreto non era applicabile trattandosi di una zona A (centro storico) e, precisamente A1-R, cioe’ centri di antica formazione.
Dovendosi applicare la normativa codicistica la consulenza tecnica d’ufficio aveva accertato che il manufatto era ad una distanza variabile da 3,86 a 4,22 mt dal fondo di cui al mappale (OMISSIS).
4. In riferimento alla vedute la Corte d’Appello ribadiva la motivazione del Tribunale circa la mancanza di prova della comproprieta’ della (OMISSIS) sulla corte comune, in quanto cio’ che risultava dal catasto non poteva provare il diritto reale e, oltre a doversi escludere in base alle planimetrie la contitolarita’ della (OMISSIS), non poteva attribuirsi valore confessorio rispetto alle osservazioni alle relazioni peritali effettuate dalla controparte, essendo le stesse limitate alla dichiarazione di comproprieta’ di una ristretta porzione tra il fondo di cui ai mappali (OMISSIS).
5. In relazione alla ringhiera la sentenza impugnata confermava quanto rilevato dal giudice di primo grado circa la preesistenza del balcone con la ringhiera, realizzati tra il 1988 e il 1989, in accoglimento dell’eccezione di usucapione del diritto del convenuto a mantenere quella posizione.
La Corte d’Appello affermava anche che l’usucapione puo’ essere eccepita per contrastare l’azione di carattere reale della controparte senza necessita’ di formulare una domanda apposita. Infine rispetto al tettuccio condivideva la motivazione del giudice di primo grado che lo aveva ritenuto elemento accessorio e non nuova costruzione e quindi non rientrante nelle opere soggette alle distanze ex articolo 905 c.c. e neanche soggetto alla disciplina ex articolo 873 c.c..
6. Avverso la suddetta sentenza (OMISSIS) propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso (OMISSIS).
7. La ricorrente, in prossimita’ dell’udienza, ha depositato memoria illustrativa, insistendo nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso si articola in tre distinte censure.
1.1 La prima censura e’ cosi’ rubricata: “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver ritenuto assolto l’onere probatorio in ordine al diritto di comproprieta’ della ricorrente (OMISSIS), sull’immobile corte al foglio (OMISSIS) Comune di (OMISSIS), mapp. n. (OMISSIS)”.
La ricorrente premette che avendo agito in negatoria servitutis aveva l’onere di fornire una prova meno rigorosa di quella richiesta nell’azione di rivendica, in relazione alla proprieta’ del terreno che legittimava la sua domanda. In tal caso, infatti, e’ sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo, anche in via presuntiva, di possedere il fondo in virtu’ di un titolo valido, non essendo la titolarita’ del bene oggetto della causa.
1.2 In ogni caso la dimostrazione della proprieta’ del mappale (OMISSIS) era stata offerta attraverso il deposito di piu’ documenti, tra i quali l’atto pubblico 9 dicembre 1978, le misure catastali, le planimetrie depositate presso il catasto, la CTU espletata nel giudizio n. 71 del 2003 pendente tra le medesime parti e mai contestata; la relazione tecnica con la quale la parte resistente attraverso il suo tecnico di fiducia aveva dedotto che la porzione di terreno mapp. n. (OMISSIS) sita tra i due fabbricati apparteneva alla convenuta ( (OMISSIS)) sia pure unitamente a terzi.
Cio’ sarebbe dimostrato anche dal fatto che in un’altra causa tra le medesime parti era stata viceversa accertata e dichiarata la comproprieta’ di (OMISSIS) sulla corte (OMISSIS) pertinenziale ai subalterni del fabbricato (OMISSIS). Il riferimento e’ alla sentenza n. 1692 del 2009 resa nel procedimento n. 2862 del 2006 presso la seconda sezione civile della Corte d’Appello di Milano.
1.3 Infine il compendio probatorio documentale descritto era anche integrato dalla consulenza tecnica espletata nella causa, la quale dopo il positivo confronto del titolo di proprieta’ della signora (OMISSIS) con la situazione reale dei luoghi confermava il diritto di proprieta’ sullo specifico mappale (OMISSIS).
La signora (OMISSIS), dunque, aveva assolto l’onere che l’articolo 2697 c.c., richiedeva circa la proprieta’ della corte (OMISSIS) – in primo luogo producendo l’atto di donazione dal proprio padre – quindi, era legittimata a far valere il suo diritto.
1.4 La seconda censura relativa al primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricata: violazione e falsa applicazione dell’articolo 1362 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver privilegiato nell’interpretazione dell’atto di donazione del 1978 la comune intenzione dei contraenti quale desumibile dall’interpretazione letterale del documento e dal contegno complessivo delle parti ed aver cosi’ disatteso la titolarita’ del diritto di comproprieta’ della ricorrente sulla corte al foglio mappale (OMISSIS).
La ricorrente premette che l’accertamento dell’effettiva volonta’ delle parti in relazione al contenuto di un negozio, nel caso in discussione l’atto di donazione del 1978, si traduce in un’indagine di fatto, affidata ai giudici di merito, che puo’ essere censurata in sede di legittimita’ per inadeguata motivazione ovvero per la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui all’articolo 1362 c.c..
In relazione alla violazione dei due richiamati profili la ricorrente deduce l’errata interpretazione del contratto, e la violazione della comune intenzione delle parti desumibile dal contratto, dal quale si evince come il padre non avesse l’intenzione di escludere la figlia (OMISSIS) dal novero dei comproprietari della corte comune facente parte del terreno su cui sorge il fabbricato (OMISSIS).
1.5 La terza censura inerente il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricata: “violazione e falsa applicazione di legge (articolo 1117 c.c.) ed omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, per non aver considerato la corte sul mappale (OMISSIS) del fg. (OMISSIS) quale ente comune ex articolo 1117 c.c.”.
La sentenza impugnata ometterebbe di affrontare l’invocata presunzione di comproprieta’ della corte mappale (OMISSIS) in virtu’ dell’articolo 1117 c.c., norma, dunque, disapplicata. Il ricorrente fa ulteriore riferimento all’atto di donazione sopra richiamato, e censura la sentenza nella parte in cui afferma l’assenza di un valido titolo di acquisto da parte della (OMISSIS). Inoltre sarebbe illogica anche l’affermazione della sentenza secondo cui in base all’allegato D della CTU il (OMISSIS) di proprieta’ della (OMISSIS) non confina con la corte (OMISSIS), sempre al fine di escludere la contitolarita’ della (OMISSIS) quanto alla porzione di spazio in esame.
1.6 Occorre premettere che “In materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in piu’ profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per se’, ragione d’inammissibilita’ dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilita’ del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (Sez. U., Sent. n. 9100 del 2015).
Va ulteriormente premesso che in relazione al vizio di motivazione denunciato trova applicazione ratione temporis l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione precedente la modifica introdotta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012 (sentenza di appello pubblicata prima dell’11 settembre 2012), in base alla quale la sentenza poteva essere impugnata, in sede di legittimita’, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e non solo nei nuovi e piu’ ristretti limiti “dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”.
1.7 Le tre censure sopra riportate sono tutte dirette ad affermare che nel giudizio di merito la ricorrente aveva fornito la prova circa la proprieta’ o comproprieta’ del mappale (OMISSIS), circostanza negata sia dal giudice di primo grado che dal Giudice d’appello.
1.8 Sotto il profilo dell’invocata violazione di legge deve rilevarsi che secondo la giurisprudenza di questa Corte “Ove si deduca che il giudice ha fatto cattivo esercizio del proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ consentita esclusivamente ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sicche’ la prima parte della censura articolata nel primo motivo, prospettata anche sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, e’ inammissibile (Cass. n. 13960 del 2014; Cass. n. 26965 del 2007).
Per quanto attiene al vizio di motivazione, invece, la censura e’ fondata.

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