Corte di Cassazione, sezione secoda civile, sentenza 15 febbraio 2018, n. 3739. I limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati previsti dall’art. 9, comma 2, D.M. 2 aprile 1968, n. 1444

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A tal proposito secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte “l’azione diretta al rispetto delle distanze legali e’ modellata sullo schema dell'”actio negatoria servitutis”, essendo rivolta non gia’ all’accertamento del diritto di proprieta’ dell’attore, bensi’ a respingere l’imposizione di limitazioni a carico della proprieta’, suscettibili di dar luogo a servitu’; essa, pertanto, non esige la rigorosa dimostrazione della proprieta’ dell’immobile a cui favore l’azione viene esperita, essendo sufficiente che l’attore dimostri con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, di possedere il fondo in base ad un valido titolo di acquisto (ex plurimis Sez. 2, Sentenza n. 25342 del 12/12/2016).
In tema di prova per presunzioni, il giudice, chiamato a esercitare la sua discrezionalita’ nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti, deve esplicitare il criterio logico posto a base della selezione degli indizi e le ragioni del suo convincimento, tenendo conto che il relativo procedimento e’ necessariamente articolato in due momenti valutativi: il primo, di tipo analitico, volto a selezionare gli elementi che presentino una positivita’ parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria, il secondo, di tipo sintetico, tendente ad una valutazione complessiva di tutte le emergenze precedentemente isolate, per accertare se esse siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva; e’, pertanto, sindacabile in sede di legittimita’ la motivazione di tale percorso logico-giuridico quando siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o piu’ fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, un’oggettiva portata indiziante Sez. 3, Sentenza n. 23201 del 13/11/2015.
In altri termini, affinche’ l’apprezzamento dell’efficacia sintomatica dei fatti noti sfugga al sindacato del giudice di legittimita’, e’ necessario, non solo che essi vengano considerati sia singolarmente che nella loro globalita’, all’esito di un giudizio di sintesi, ma anche che del convincimento cosi’ maturato il decidente dia una motivazione adeguata e corretta sotto il profilo logico e giuridico (cfr. Cass. civ. 28 ottobre 2014, n. 22801; Cass. civ. 6 giugno 2012, n. 9108). Il che, specularmente, comporta la sindacabilita’ di una valutazione che abbia pretermesso, senza darne ragione, uno o piu’ fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, un’oggettiva portata indiziante.
Dunque, la Corte d’Appello di Milano ha omesso di compiere quel giudizio di sintesi di tutti gli elementi indizianti risultanti dall’istruttoria, limitandosi a considerarli solo nella loro individualita’, in particolare: il citato atto di donazione; le risultanze della consulenza tecnica, in relazione allo stato dei luoghi; la natura pertinenziale della corte oggetto di contestazione; la sentenza n. 1692 del 2009, resa nel procedimento n. 2862 del 2006 presso la Corte d’Appello di Milano, seconda civile tra le medesime parti, con la quale era stata accertata e dichiarata la comproprieta’ di (OMISSIS) sulla medesima corte (OMISSIS), pertinenziale ai subalterni del fabbricato (OMISSIS) (vedi pag. 10 del ricorso). Tale statuizione, peraltro, e’ passata in giudicato con sentenza confermativa di questa Corte n. 7058 del 2017.
A cio’ si aggiunga che la motivazione in ordine alla presunzione di comproprieta’ del bene, ai sensi dell’articolo 1117 c.c., e’ del tutto insufficiente. La Corte d’Appello, infatti, al fine di escludere la presunzione di contitolarita’ della (OMISSIS) quanto alla porzione di spazio in esame si e’ limitata ad affermare che la ricorrente non aveva chiesto alcun accertamento istruttorio sul punto e che dagli atti emergeva che il (OMISSIS) di proprieta’ della (OMISSIS) non confinava con la corte (OMISSIS).
La giurisprudenza di questa Corte in tema di presunzione di comproprieta’ ha ripetutamente affermato che “In tema di condominio degli edifici, la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall’articolo 1117 c.c., trova applicazione anche nel caso di cortile esistente tra piu’ edifici appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia strutturalmente destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano” Sez. 2, Sent. n. 17993 del 2010.
Il principio e’ stato affermato anche con riguardo ad edifici limitrofi strutturalmente autonomi; in particolare si e’ detto che “la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall’articolo 1117 c.c., senz’altro applicabile quando si tratti di parti dello stesso edificio, puo’ ritenersi applicabile in via analogica anche quando si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bensi’ di parti comuni di edifici limitrofi ed autonomi, purche’ si tratti di beni oggettivamente e stabilmente destinati all’uso od al godimento degli stessi, come nel caso di cortile esistente tra piu’ edifici appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia strutturalmente destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano” (Sez. 2, Sentenza n. 14559 del 30/07/2004).
1.12 In conclusione le rilevate lacune argomentative – che lasciano intravedere veri e propri deficit cognitivi – vulnerano l’iter decisorio e impongono un nuovo esame degli elementi probatori offerti dall’attrice, essendo sufficiente che questa dimostri con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, il possesso del fondo di cui in contestazione rispetto alla disciplina delle distanze.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ anch’esso strutturato in distinte censure.
2.1 La prima censura e’ cosi’ rubricata: “violazione e falsa applicazione dell’articolo 905 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver ritenuto violate, dalla sopraelevazione e dalle vedute del fabbricato (OMISSIS), le distanze dal confine del mappati (OMISSIS) del fg. (OMISSIS)”.
Secondo la ricorrente al positivo accertamento della sua titolarita’ del diritto di comproprieta’ sulla corte mappale (OMISSIS) dovrebbe conseguire il riconoscimento dell’illegittimita’ della sopraelevazione del (OMISSIS).
Sulla base della nozione di sopraelevazione da accogliere, il sovralzo e le vedute realizzate dal controricorrente violerebbero quanto disposto dall’articolo 905 cod. civ. rispetto alla distanza dal confine del fondo (OMISSIS) di (OMISSIS).
2.2 La censura e’ assorbita dall’accoglimento del primo motivo.
2.3 La seconda censura proposta con il secondo motivo e’ cosi’ rubricata: violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articoli 8 e 9, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver ritenuto violate dalla sopraelevazione e dalle vedute del fabbricato (OMISSIS) le distanze dei fabbricati sui mapp. (OMISSIS), (OMISSIS), foglio (OMISSIS).
Rileva la ricorrente che le norme citate, di cui la sentenza non ha tenuto conto, hanno natura di norme primarie prevalenti ed inderogabili per tutti i regolamenti edilizi approvati dopo l’emanazione del suddetto decreto ministeriale.
La censura si fonda sul fatto che il fabbricato della (OMISSIS) e’ in zona A nella quale le distanze tra edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti e la sopraelevazione, considerata alla stregua di nuova costruzione, deve essere inderogabilmente posta a distanza di 10 mt. dagli altri fabbricati. Nella specie considerate le misurazioni del consulente tecnico d’ufficio le distanze erano inferiori. Anche in relazione alle altezze massime degli edifici sarebbe violato il disposto dell’articolo 8 del medesimo decreto.
2.4 La censura e’ fondata.
Impregiudicata la questione relativa alla prova circa la comproprieta’ della ricorrente in ordine al mapp. (OMISSIS), che spettera’ al giudice del rinvio valutare, deve osservarsi che la motivazione della Corte d’Appello in ordine alla sopraelevazione non e’ conforme alla giurisprudenza di questa Corte in materia.
Devono richiamarsi i seguenti principi del tutto consolidati:
In tema di distanze tra costruzioni, il Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, comma 2, essendo stato emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41-quinquies (c.d. legge urbanistica), aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, articolo 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicche’ le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densita’, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica Sez. U, Sentenza n. 14953 del 07/07/2011 (Rv. 617949).
Inoltre del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, comma 1, n. 2), – emanato in forza della L. 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41-quinquies, aggiunto della L. 6 agosto 1967, n. 765, articolo 17 – in base al quale la distanza tra pareti finestrate di edifici frontisti non deve essere inferiore a dieci metri, si riferisce alle sole nuove edificazioni consentite in zone diverse dal centro storico (zona A), posto che in questo ultimo, dove vige il generale divieto di costruzioni ex novo, la norma si limita a prescrivere che la distanza non sia inferiore a quella intercorrente tra i volumi edificati preesistenti (Sez. 2, Sentenza n. 12767 del 20/05/2008).
La sopraelevazione, anche se di ridotte dimensioni, comporta sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va, pertanto, considerata a tutti gli effetti, e, quindi, anche per la disciplina delle distanze come nuova costruzione (Sez. 3, Sentenza n. 21509 del 1/10/2009.
Orbene la Corte d’Appello di Milano non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e, al contrario, ha ritenuto che il Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, non fosse immediatamente operante nei rapporti fra i privati, nonostante l’adozione nel Comune di Civo del piano regolatore sin dal 1984 e, in secondo luogo, ha ritenuto, sulla base del rilievo del C.T.U., che la normativa applicabile fosse quella codicistica perche’ il manufatto di cui ai mappali (OMISSIS) era ricompreso nella zona A1-R del piano regolatore comunale e nelle zone A del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, nonostante si trattasse di una sopraelevazione, da intendersi sempre come nuova costruzione. Deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto:
I limiti inderogabili di densita’, altezza e distanza tra i fabbricati previsti del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, comma 2 (emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41-quinquies – c.d. legge urbanistica, aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, articolo 17) che prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica, trovano applicazione anche con riferimento alle nuove costruzioni, quali devono considerarsi le sopraelevazioni effettuate in zona A (centro storico) dove, vigendo il generale divieto di realizzazione di costruzioni ex novo, e’ previsto solo che le distanze tra gli edifici interessati da interventi di ristrutturazione e di risanamento conservativo (i soli consentiti), non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i preesistenti volumi edificati.
2.5 La terza censura proposta con il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricata “omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver ritenuto violate dalla sopraelevazione e dalle vedute del fabbricato (OMISSIS) le disposizioni del piano regolatore generale 1994 del Comune di Civo vigente all’epoca dell’effettuazione delle opere.
La censura deve ritenersi assorbita.
3. Il terzo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: “violazione e falsa applicazione dell’articolo 167 c.p.c., comma 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver ritenuto l’inammissibilita’ della domanda riconvenzionale di usucapione del diritto di veduta dal ballatoio con ringhiera e violazione dell’articolo 2697 c.c., per aver ritenuto esistente da oltre vent’anni il manufatto de quo.
Si deduce il vizio di ultra petizione della sentenza gravata laddove riconosce l’esistenza ultraventennale del balcone con ringhiera in quanto (OMISSIS) aveva posto la domanda riconvenzionale diretta all’usucapione oltre il rituale termine di venti giorni prima dell’udienza ex articolo 167 c.p.c..
Ne’ tale domanda poteva essere riqualificata come eccezione.
Inoltre si contesta che la Corte abbia deciso sulla base del riscontro probatorio derivante da una fotografia senza invece prendere in considerazione le dichiarazioni testimoniali richieste dalla difesa della (OMISSIS).
3.1 Con il terzo motivo viene proposta anche l’ulteriore censura cosi’ rubricata: “violazione e falsa applicazione di legge (articolo 905 c.c.) in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver ritenuto violate dalle nuove opere (ringhiera sul ballatoio e tettuccio) le distanze dal confine con il mapp. n. (OMISSIS) e dal fabbricato mapp. (OMISSIS).
Secondo la ricorrente entrambe le opere non possono essere ritenute aventi funzione meramente ornamentale o di minima entita’ e dunque sono soggette alle prescrizioni normative sulle distanze.
3.2 Il terzo motivo nella prima parte e’ infondato e nella seconda inammissibile.
E’ infondato perche’ secondo la giurisprudenza consolidata cui il Collegio intende dare continuita’ “La decadenza dalla proposizione di domanda riconvenzionale di usucapione, per inosservanza del termine stabilito dall’articolo 166 c.p.c., non impedisce alla stessa di produrre gli effetti di una semplice eccezione di usucapione, mirante al rigetto della pretesa attrice, sempre che la costituzione sia comunque avvenuta nel termine utile per proporre le eccezioni” (ex plurimis Sez. 2, Sentenza n. 10206 del 19/05/2015).
E’ inammissibile nella parte in cui pretende una nuova valutazione delle prove o del carattere di accessorieta’ della ringhiera e del tettuccio. Si e’ gia’ detto, infatti, che secondo il consolidato orientamento di Questa Corte “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (v. tra le varie, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016 Rv. 638425; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171; Sez. 5, Sentenza n. 8315 del 04/04/2013 Rv. 626129; Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010 Rv. 612745).
4. Il quarto motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: “violazione falsa applicazione di legge degli articoli 244, 245, 253 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver ammesso le prove orali ritualmente dedotte dall’attrice in primo grado con memoria 5 gennaio 2007 ed omessa motivazione sul punto.
Anche il quarto motivo di ricorso e’ inammissibile.
Il vizio di omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova puo’ essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento (ex plurimis Sez. 3, Sentenza n. 11457 del 17/05/2007.
5. In conclusione, il ricorso va accolto, limitatamente alla prima censura del primo motivo e alla seconda censura del secondo motivo, assorbite le restanti censure dei medesimi motivi, rigettati il terzo e quarto motivo, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, la quale procedera’ ad un riesame della causa uniformandosi agli enunciati principi e regolera’ anche le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e il secondo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, rigetta il terzo e quarto motivo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, che provvedera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione

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