Il consenso del minore al rapporto sessuale, pur se inidoneo ad escludere la configurabilità del reato di violenza sessuale, può essere valutato dal giudice al fine di riconoscere la circostanza attenuante della “minore gravità”.
Ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all’art. 609-bis, ultimo comma, cod. pen., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre, ai fini del diniego della stessa attenuante, è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
SENTENZA 12 dicembre 2016, n.52380
Ritenuto in fatto
Il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Napoli ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli che ha confermato la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Napoli del 13/05/2010 di condanna di C.A. per il reato di cui agli artt. 609 quater, commi 1 e 2, cod. pen. per avere, più volte e in tempi diversi, con abuso di relazioni domestiche e del rapporto di coabitazione, compiuto atti sessuali con la nipote infrasedicenne G.M.A..
Con un primo motivo lamenta la errata applicazione di legge in relazione all’art. 609 quater, comma 4, cod. pen. essendo stata illegittimamente concessa la attenuante del fatto di minore gravità; in particolare la Corte territoriale ha confermato la sussistenza della stessa essenzialmente per il fatto che la persona offesa era del tutto consenziente alle attenzioni riservatele dall’imputato; tuttavia, tale ragionamento è del tutto errato in diritto essendo il consenso della vittima già elemento materiale del reato di cui all’art. 609 quater cod. pen. che, proprio per questo, si differenzia ed è punito meno gravemente del reato ex art. 609 bis cod. pen.; inoltre, la Corte territoriale non ha tenuto conto di altre tre gravi emergenze processuali ciascuna delle quali è ostativa al riconoscimento dell’attenuante in oggetto, ovvero la reiterazione degli abusi sessuali, consistiti in plurimi approcci erotici avvenuti in ben due distinti periodi temporali, la tipologia e le modalità degli atti sessuali praticati sulla persona offesa, non limitatisi a toccamenti e baci ma proseguiti con masturbazioni e penetrazioni, e l’approfitta mento della particolare situazione di vulnerabilità della persona offesa derivante dalla fiducia nel rapporto di parentela, dall’ospitalità in casa dello zio e dall’affidamento dei genitori alla sua protezione. Aggiunge come, secondo la giurisprudenza di legittimità, sia comunque sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità per il diniego dell’attenuante in oggetto.
Con un secondo motivo lamenta l’inosservanza della legge penale e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche; in particolare queste sono state riconosciute non solo per la incensuratezza dell’imputato ma anche perché egli ha cessato ogni rapporto con la nipote ed ha risarcito i danni cagionati, da ciò dovendosi evincere che il non commettere reati non sia un dovere legale ma una facoltà discrezionale, e perciò, meritevole di immediata gratificazione quanto al risarcimento del danno; quanto al risarcimento, lo stesso può configurare l’autonoma attenuante di cui all’art. 62 n.6 cod. pen. ma non può essere duplicato con l’aggiunta della concessione delle attenuanti generiche; né, contrariamente a quanto affermato dalla Corte, risulta che l’imputato abbia ammesso le proprie responsabilità essendosi egli avvalso della facoltà di non rispondere.
Con memoria in data 03/10/2016 il Difensore dell’imputato ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo di ricorso è fondato nei termini di cui oltre.
Va anzitutto disatteso il primo rilievo posto dal ricorrente con il quale si censura la avvenuta valorizzazione, ai fini del riconoscimento della attenuante speciale in questione, del consenso prestato dalla vittima giacché tale consenso sarebbe già elemento materiale del reato ex art. 609 quater cod. pen.. In realtà, la stessa struttura del reato in parola, fondata sul mero compimento di atti sessuali con persona infraquattordicenne o, in casi particolari, infrasedicenne, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 609 bis cod. pen., è illustrativa del fatto che, ai fini della integrazione della fattispecie, il consenso ovvero il dissenso al rapporto del minore è indifferente, giacché è la stessa caratterizzazione della persona offesa, per età (nel caso di cui al n.1 dell’art. 609 quater, comma 1, cit.) o per altri fattori ad essa congiunti (nel caso di cui al n.2 dello stesso articolo), a rendere irrilevante e, dunque, inutiliter datum, l’espressione di un consenso che, per le ragioni appena viste, non potrebbe mai definirsi effettivamente tale (sicché deve, anzi, definirsi come erroneo il postulato del P.G. ricorrente secondo cui il consenso sarebbe elemento costitutivo del reato).
Tuttavia, una tale presunzione legislativa, di carattere assoluto quanto alla configurabilità, come appena detto, del reato, viene ad assumere carattere relativo laddove si tratti di valutare, in concreto, l’atteggiamento del minore ai fini della circostanza attenuante di cui all’art. 609 quater, u.co. cod. pen. posto che, trattandosi, in tale diverso ambito, di valorizzare i ‘casi di minore gravità’ (secondo quella che è una clausola a contenuto aperto utilizzata dal legislatore), il consenso prestato dal minore, pur ineluttabilmente recessivo ai fini della sussistenza del reato, torna però ad essere, ove effettivamente prestato, valorizzabile.
Deve pertanto ribadirsi l’affermazione già resa da questa Corte secondo cui il consenso del minore al rapporto sessuale, pur se inidoneo ad escludere la configurabilità del reato di violenza sessuale, può essere valutato dal giudice al fine di riconoscere la circostanza attenuante della ‘minore gravità’ (Sez. 3, n. 29618 del 14/06/2011, dep. 25/07/2011, M., Rv. 250626).
Ciò posto, e pertanto non censurabile l’affermazione della sentenza che ha valorizzato in senso favorevole all’imputato il consenso della persona offesa, va tuttavia, allo stesso tempo, ricordato che questa Corte ha affermato che, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all’art. 609-bis, ultimo comma, cod. pen., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre, ai fini del diniego della stessa attenuante, è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep. 22/02/2016, P.G. in proc. D., Rv. 266272; Sez. 3, n. 21623 del 15/04/2015, dep. 25/05/2015, K., Rv. 263821). Ora, la motivazione della sentenza impugnata, pur avendo affermato doversi fare riferimento ad una globale valutazione dei fatti, quale compito necessariamente discendente dalla giurisprudenza appena ricordata, si è poi, in concreto, limitata a valorizzare, come appena visto, il solo consenso della persona offesa senza spiegare perché la attenuante fosse riconoscibile pur in presenza di elementi, quali, ad esempio, in particolare, la reiterata commissione delle condotte pur pacificamente accertata (vedi pag. 3 della sentenza impugnata) che, in quanto attinente al fatto nel suo complesso, avrebbe dovuto rientrare nella disamina del giudice.
E’ fondato anche il secondo motivo laddove è stato valorizzato in senso favorevole al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, da un lato l’intervenuto risarcimento, ovvero lo stesso elemento per il quale, però, era già stata riconosciuta in primo grado la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., con indebita conseguente duplicazione della diminuzione della pena così attuata (in tal senso, a contrario, Sez. 6, n. 34522 del 27/06/2013, dep. 08/08/2013, Vinetti, Rv. 256134) e, dall’altro, l’intervenuta interruzione di ogni rapporto con la minore senza che sia stato però specificato perché una detta interruzione sia realmente espressiva di resipiscenza e non invece di una conseguenza imposta dal disvelamento dei fatti e dall’instaurazione del processo de quo in tal modo non favorevolmente valorizzabile.
Ne consegue, in definitiva, l’annullamento della sentenza sui punti già indicati sopra con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli che terrà conto, quanto al primo profilo, nel valutare i presupposti per il riconoscimento dell’attenuante speciale, dei principi sopra ribaditi e, quanto al secondo profilo, procederà, sulla base di quanto appena sopra indicato, a nuovo esame della concedibilità delle circostanze attenuanti generiche.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 609 quater, comma 4, cod. pen. e delle circostanze attenuanti generiche e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli
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