Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 23 marzo 2016, n. 12305
Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Asti, con sentenza del 13 aprile 2015 ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di P.G. per essere il reato a lui ascritto non punibile per particolare tenuità.
Il predetto era chiamato a rispondere del reato di truffa consistita nell’avere indotto tale S.H.D. a credere che egli fosse in grado intercedere per ottenere un trattamento di favore per il disbrigo delle pratiche per il conseguimento del CQC, così facendosi consegnare (mediante accredito) l’ingiusto profitto di Euro 1.550,00.
La sentenza è stata impugnata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti, il quale, con il primo motivo di ricorso, lamenta l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, rilevando che il giudice del merito non avrebbe potuto pronunciare sentenza ai sensi dell’art. 469 cod. proc. pen., stante l’opposizione del Pubblico Ministero.
Con il secondo motivo di ricorso deduce, poi, che il Tribunale avrebbe fatto valutato in modo non corretto i presupposti di applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen., nella specie ravvisati nell’occasionalitòà della condotta, desunta dalla mancanza di precedenti penali.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è fondato e ciò comporta l’assorbimento del secondo.
2. Il Tribunale ha ritenuto possibile pervenire alla pronuncia della sentenza predibattimentale di cui all’art. 469, comma 1-bis cod. proc. pen., pur in presenza di opposizione di una delle parti e, segnatamente, del Pubblico Ministero.
Tale conclusione si fonda sulla lettura testuale della disposizione testé indicata.
Se, da un lato, sostiene il Tribunale, l’uso della congiunzione “anche” (“previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare”) non lascia adito a dubbi circa la necessità che al procedimento camerale partecipino pure le altre parti processuali, ossia l’imputato e il pubblico ministero, dall’altro, la mancanza di ogni espresso riferimento al diritto di veto loro riconosciuto dal primo comma del medesimo articolo dovrebbe condurre alla conclusione che queste non hanno il potere processuale di opporsi alla definizione preliminare del giudizio. Il legislatore, quindi, avrebbe voluto assicurare il contraddittorio tra le parti, ma non anche il diritto di veto delle stesse, che sarebbe in insanabile contrasto con le finalità deflattive cui è ispirato l’istituto. Al giudice sarebbe lasciata piena autonomia decisionale, ma solo dopo aver sentito le ragioni delle parti.
Il Tribunale sostiene ancora che, potendo il Pubblico Ministero richiedere l’archiviazione del procedimento per la particolare tenuità del fatto (art. 411 cod. proc. pen.), una volta esercitata l’azione penale, questi non possa ritenersi di diverso avviso, con la conseguenza che, consentendogli di opporsi alla pronuncia dibattimentale, la concreta applicazione dell’art. 469, comma 1-bis cod. proc. pen. sarebbe sempre sottoposta ad una condizione impossibile.
3. Così prospettati i termini della questione, occorre rilevare che la stessa è già stata affrontata da questa Corte con la sentenza Sez. 3, n. 47039 del 8/10/2015 – dep. 27/11/2015 – Rv. 265446, peraltro resa proprio su impugnazione proposta dal medesimo Procuratore della Repubblica nei confronti di sentenza di analogo tenore pronunciata dallo stesso Tribunale di Asti.
In quella occasione è stato chiarito che né l’interpretazione letterale, né argomento tratto dall’art. art. 411 cod. proc. pen., né l’esame della ratio legis conducono a ritenere che nell’ipotesi regolamentata dal comma 1-bis del citato art. 469 cod. proc. pen. non competano all’imputato e al pubblico ministero poteri di veto analoghi a quelli previsti dal primo comma della medesima disposizione.
4. L’art. 469, primo comma, cod. proc. pen., stabilisce che “salvo quanto previsto dall’articolo 129 comma 2, se l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita ovvero se il reato è estinto e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento, il giudice, in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero e l’imputato e se questi non si oppongono, pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo”.
Il comma 1-bis, aggiunto dall’art. 3, comma 1, lett. a), del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, così recita: “La sentenza di non doversi procedere è pronunciata anche quando l’imputato non è punibile ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale, previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare”.
Dalla mera lettura dell’articolo, così come attualmente formulato, non è dato rinvenire alcun intento, da parte del legislatore, di differenziare la procedura stabilita dal nuovo comma rispetto a quella originariamente prevista.
La congiunzione “anche”, intorno sulla cui interpretazione si sofferma il Tribunale, ha valore pacificamente aggiuntivo, con finalità coordinative tra i due commi, che, in tal modo, sono saldati fra loro. In sostanza, sul piano letterale, la sola differenza fra il proscioglimento predibattimentale nell’ipotesi di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. e gli altri casi, sta nella circostanza che nella prima ipotesi è prevista l’eventuale interlocuzione della persona offesa.
Proprio tale ultima previsione giustifica l’introduzione di un comma distinto rispetto al mero inserimento, nel primo comma dell’art. 469 cod. proc. pen., della causa di non punibilità ora prevista dall’art. 131-bis cod. pen..
Del resto, se il legislatore avesse inteso ulteriormente differenziare la procedura da seguire, durante la fase predibattimentale, nell’applicazione della causa di non punibilità, lo avrebbe fatto espressamente o, comunque, di tale intento vi sarebbe traccia nei lavori preparatori, mentre la relazione allegata allo schema di decreto legislativo – ad esempio – nel richiamare la finalità di coordinamento processuale delle disposizioni contenute nell’art. 3, si limita a precisare che la modifica all’art. 469 cod. proc. pen. ha lo scopo di consentire alla persona offesa, sempre che compaia, di “interloquire sul tema della tenuità, al pari del p.m. e dell’imputato”, specificando che non è stata prevista analoga forma di interlocuzione nell’udienza preliminare ed in quella dibattimentale, poiché, in tali casi, il contraddittorio è già pienamente garantito.
5. Non risulta convincente neppure il discorso secondo cui sarebbe scontato che il pubblico ministero si opponga alla definizione predibattimentale del procedimento, in quanto, avendo già esercitato l’azione penale e non avendo chiesto prima l’archiviazione “è pressoché impossibile che cambi idea in sede di atti preliminari all’apertura del dibattimento”.
Infatti, l’art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen. non pone la pubblica accusa in una posizione differente rispetto a quella in cui verrebbe a trovarsi in presenza di una qualsiasi delle altre situazioni che, ai sensi del primo comma dell’art. 469 cod. proc. pen., giustificano la pronuncia della sentenza predibattimentale.
Peraltro, ragionando diversamente, alla posizione processuale del pubblico ministero dovrebbe inevitabilmente essere accomunata quella dell’imputato: l’art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen., infatti, non menziona né l’uno né l’altro e non potrebbe certo affermarsi che il potere di veto spetti solo a uno dei due. Sicché l’opzione interpretativa del Tribunale avrebbe quale ulteriore (inammissibile) esito la sottrazione all’imputato del diritto di opporsi alla definizione predibattimentale per speciale tenuità.
6. A ben vedere, il potere di opposizione alla definizione del procedimento con sentenza predibattimentale ai sensi dell’art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen. trova giustificazione nel possibile interesse delle parti ad un diverso esito del procedimento.
L’imputato, in particolare, potrebbe mirare all’assoluzione nel merito o a una diversa formula di proscioglimento, considerato anche che la dichiarazione di non punibilità per particolare tenuità del fatto comporta, quale conseguenza, l’iscrizione del relativo provvedimento nel casellario giudiziale.
Quanto al pubblico ministero, va tenuto in conto che le finalità deflattive non sono le uniche che hanno ispirato l’emanazione delle disposizioni in esame, dovendosi considerare, evidentemente, anche quella di attuare il principio di proporzione e meritevolezza della sanzione penale, nel senso che le condotte ritenute in concreto “non gravi” non giustificano il dispendio di risorse e l’applicazione della pena.
Anche sotto questo profilo, si svela l’intrinseca debolezza del ragionamento del giudice del merito.
7. In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto: la sentenza di non doversi procedere, prevista dall’art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen., perché l’imputato non è punibile ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., presume che l’imputato medesimo ed il pubblico ministero non si oppongano alla declaratoria di improcedibilità, rinunciando alla verifica dibattimentale.
Nella specie, la sentenza impugnata è stata pronunziata nonostante il parere contrario del pubblico ministero. La stessa deve essere pertanto annullata con rinvio.
8. Tale declaratoria di nullità assorbe il secondo motivo di ricorso, relativo all’accertamento della concreta sussistenza dei presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen..
Infatti, poiché la decisione sul punto è comunque nulla a cagione del vizio sopra rilevato, non vi è più alcun interesse a verificare nella stessa si fosse fatta corretta applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. oppure no..
9. L’individuazione del giudice di rinvio impone la previa qualificazione della sentenza impugnata.
Invero, il provvedimento reca, nell’intestazione, un esplicito riferimento alla pubblica udienza del 13 aprile 2015, seguito, sempre nell’intestazione, da un richiamo all’art. 469, comma 1-bis cod. proc. pen., mentre nella motivazione si afferma che la decisione è stata assunta “nel corso dell’udienza in camera di consiglio del 13.4.2015, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento…”.
Nel verbale di udienza viene, fatto riferimento alla trattazione in pubblica udienza e si dà atto del controllo, da parte del giudice, della regolare costituzione delle parti (l’imputato è qualificato “libero assente” nell’intestazione della sentenza). A seguire, si specifica che “preliminarmente il giudice invita le parti ad interloquire circa la punibilità del fatto alla luce della normativa sulla particolare tenuità” e, successivamente, che “esaurita la discussione” il giudice “dichiara chiuso il dibattimento”.
Ciò posto, deve ricordarsi come la giurisprudenza di questa Corte sia unanime nel ritenere che, indipendentemente dalla qualificazione datante dal giudice, la sentenza che, sia pure per una causa di improcedibilità dell’azione penale o di estinzione del reato, è pronunciata in pubblica udienza, dopo le formalità di verifica della costituzione delle parti, deve considerarsi come sentenza dibattimentale ed è, pertanto, soggetta all’appello (Sez. 2, n. 48340 del 17/11/2004, Rv. 230535; Sez. 2, n. 51513 del 4/12/2013, Rv. 258075; Sez. 2, n. 18763 del 24/1/2013, Rv. 255360).
Il ricorso immediato in cassazione per violazione di legge costituisce, quindi, ricorso per saltum, con la conseguenza che, se il suo accoglimento comporti l’annullamento con rinvio, il giudice di rinvio è individuato in quello che sarebbe stato competente per l’appello (Sez. 4, n. 48310 del 28/11/2008, Rv. 242394).
10. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, che va disposto, in ragione di quanto sopra indicato, alla Corte di appello di Torino.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Torino per il giudizio di secondo grado.
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