Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 29 gennaio 2015, n. 4284
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 21 novembre 2013 il Tribunale di sorveglianza di Bari ha revocato, ai sensi degli artt. 51-ter e 47-ter, comma 6, Ord. Pen., la misura della detenzione domiciliare, prorogata nei confronti di C.C.D. dallo stesso Tribunale, con ordinanza dell’I agosto 2013, in relazione alla pena residua di cui al provvedimento di cumulo del 30 luglio 2009 della Procura Generale presso la Corte di appello di Bari.
Il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che:
– C. , in ragione delle sue condizioni di salute, attestate con successive note dell’ASL BAT, era stato ammesso, in relazione alla pena di cui all’indicato cumulo, pari ad anni trentatré di reclusione (per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, omicidio aggravato, rapina, estorsione, ricettazione, traffico di armi) e con fine pena al 24 settembre 2017, alla misura alternativa della detenzione domiciliare, ex artt. 146, comma 1, n. 3, cod. pen. e 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen., con ordinanza del 17 novembre 2011;
– detta misura era stata da ultimo prorogata, ex artt. 147, comma 1, n. 2, cod. pen. e 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen., fino all’I agosto 2015 con ordinanza dell’I agosto 2013, che aveva evidenziato la condotta sostanzialmente rispettosa delle prescrizioni imposte, tenuta da C. , e aveva ritenuto non sintomatiche di attuale pericolosità dello stesso e di incompatibilità con la misura applicata le due diffide emesse nei suoi confronti dal Magistrato di sorveglianza di Bari il 25 settembre 2012 e il 2 novembre 2012;
– in data 29 ottobre 2013 il Magistrato di sorveglianza di Bari aveva, però, emesso provvedimento di sospensione provvisoria della misura ex art. 51-ter Ord. Pen., in considerazione delle plurime e gravi violazioni da parte del condannato delle prescrizioni imposte, di cui alla nota dell’8 ottobre 2013 della P.S. di Barletta, cui era seguita la diffida in pari data dello stesso Magistrato, e alla informativa dei Carabinieri di Barletta e del GICO della Guardia di Finanza di Bari del 25 gennaio 2013, trasmessa il 24 ottobre 2013 dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Bari;
– il Magistrato di sorveglianza aveva, in particolare, ritenuto, che le condotte del condannato durante l’esecuzione della misura alternativa, non conosciute da esso Tribunale alla data della pronuncia dell’ordinanza dell’1 agosto 2013, imponevano di valutare più severamente anche le condotte oggetto delle precedenti diffide;
– con lo stesso provvedimento il Magistrato di sorveglianza aveva disposto il ricovero, in via provvisoria, del condannato presso idoneo Centro clinico dell’Amministrazione penitenziaria, finalizzato al monitoraggio delle sue condizioni di salute;
– le dichiarazioni rese dal condannato l’8 novembre 2013 allo stesso Magistrato di sorveglianza, di cui al verbale di ascolto in atti, erano smentite dalle risultanze della predetta informativa, che aveva dato conto dei rapporti del medesimo, telefonici e de visu presso la propria abitazione, con cadenza giornaliera, con persone gravate da precedenti penali nel periodo 25 luglio 2012/18 dicembre 2012, e aveva evidenziato la convergenza degli esiti delle intercettazioni telefoniche con l’attività di videosorveglianza e la indubbia identificazione del condannato;
– il differimento facoltativo della pena postulava condizioni di salute non tali per gravità da escludere ogni valutazione della pericolosità sociale, avuto riguardo alla espressa previsione normativa dell’art. 147, ultimo comma, cod. pen.;
– le ripetute e sistematiche violazioni delle prescrizioni, poste in essere dal condannato, nonostante le sue precarie condizioni di salute, ne evidenziavano l’elevatissimo rischio di recidivanza criminosa e, comunque, un’attuale pericolosità, non fronteggiabile con la misura adottata, che andava revocata per condotta colpevole.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione per mezzo del suo difensore, avv. Rachele Parrotta, l’interessato C. , che ha premesso alla illustrazione dei motivi il diffuso richiamo alle proprie condizioni di salute a partire dall’iniziale ricovero del gennaio 2009, quando era detenuto presso la Casa di reclusione di Milano – Opera; ne ha illustrato la incompatibilità, in ragione della gravità della malattia, con l’ambiente carcerario più volte attestata dai sanitari dell’ASL BAT incaricati dallo stesso Tribunale di sorveglianza di Bari; ha riferito in ordine al concesso differimento della esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare presso la propria abitazione in Barletta, alle sue ripetute proroghe e alla revoca del disposto differimento, con suo inserimento in un ordinario circuito penitenziario, privo di assistenza medica qualificata, sulla base di presunte violazioni solo ipotizzate per deduzioni e nonostante l’acclarata incompatibilità delle sue condizioni di salute con l’espiazione della pena in carcere, ulteriormente espressa nelle note del 7 e 12 novembre 2013 dell’ASL BAT.
Il ricorrente ha, quindi, chiesto l’annullamento dell’ordinanza sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 13, comma 4, 32 e 27, comma 3, Cost. e 3 Convenzione dei diritti dell’uomo.
Secondo il ricorrente, il provvedimento impugnato è contrario ai principi costituzionalmente garantiti e viola i principi fissati dalla Convenzione, poiché lesivo del suo fondamentale diritto alla salute, non disconoscibile neppure a fronte della generale inderogabilità dell’esecuzione della condanna, quando la pena si risolva in trattamento contrario al senso di umanità e degradante e sia priva della tendenza alla rieducazione.
Il Tribunale ha, inoltre, ignorato quanto già sostenuto con recente ordinanza dell’I agosto 2013, che, sulla base di quanto accertato e descritto circa l’esistenza di gravi patologie, ha affermato la certa inadeguatezza della cura in regime carcerario e la contrarietà della espiazione della pena in tale regime al senso di umanità e al suo diritto alla salute e alle cure.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. per difetto di motivazione.
Secondo il ricorrente, la motivazione del provvedimento impugnato è illogica e apparente, perché il Tribunale, basandosi solo sulle risultanze della informativa dei Carabinieri di Barletta, non ha seriamente considerato le giustificazioni evidenziate dalla difesa e riportate in ricorso, né ha proceduto al complessivo esame delle dette risultanze.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso per la infondatezza delle censure.
Il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che:
– C. , in ragione delle sue condizioni di salute, attestate con successive note dell’ASL BAT, era stato ammesso, in relazione alla pena di cui all’indicato cumulo, pari ad anni trentatré di reclusione (per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, omicidio aggravato, rapina, estorsione, ricettazione, traffico di armi) e con fine pena al 24 settembre 2017, alla misura alternativa della detenzione domiciliare, ex artt. 146, comma 1, n. 3, cod. pen. e 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen., con ordinanza del 17 novembre 2011;
– detta misura era stata da ultimo prorogata, ex artt. 147, comma 1, n. 2, cod. pen. e 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen., fino all’I agosto 2015 con ordinanza dell’I agosto 2013, che aveva evidenziato la condotta sostanzialmente rispettosa delle prescrizioni imposte, tenuta da C. , e aveva ritenuto non sintomatiche di attuale pericolosità dello stesso e di incompatibilità con la misura applicata le due diffide emesse nei suoi confronti dal Magistrato di sorveglianza di Bari il 25 settembre 2012 e il 2 novembre 2012;
– in data 29 ottobre 2013 il Magistrato di sorveglianza di Bari aveva, però, emesso provvedimento di sospensione provvisoria della misura ex art. 51-ter Ord. Pen., in considerazione delle plurime e gravi violazioni da parte del condannato delle prescrizioni imposte, di cui alla nota dell’8 ottobre 2013 della P.S. di Barletta, cui era seguita la diffida in pari data dello stesso Magistrato, e alla informativa dei Carabinieri di Barletta e del GICO della Guardia di Finanza di Bari del 25 gennaio 2013, trasmessa il 24 ottobre 2013 dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Bari;
– il Magistrato di sorveglianza aveva, in particolare, ritenuto, che le condotte del condannato durante l’esecuzione della misura alternativa, non conosciute da esso Tribunale alla data della pronuncia dell’ordinanza dell’1 agosto 2013, imponevano di valutare più severamente anche le condotte oggetto delle precedenti diffide;
– con lo stesso provvedimento il Magistrato di sorveglianza aveva disposto il ricovero, in via provvisoria, del condannato presso idoneo Centro clinico dell’Amministrazione penitenziaria, finalizzato al monitoraggio delle sue condizioni di salute;
– le dichiarazioni rese dal condannato l’8 novembre 2013 allo stesso Magistrato di sorveglianza, di cui al verbale di ascolto in atti, erano smentite dalle risultanze della predetta informativa, che aveva dato conto dei rapporti del medesimo, telefonici e de visu presso la propria abitazione, con cadenza giornaliera, con persone gravate da precedenti penali nel periodo 25 luglio 2012/18 dicembre 2012, e aveva evidenziato la convergenza degli esiti delle intercettazioni telefoniche con l’attività di videosorveglianza e la indubbia identificazione del condannato;
– il differimento facoltativo della pena postulava condizioni di salute non tali per gravità da escludere ogni valutazione della pericolosità sociale, avuto riguardo alla espressa previsione normativa dell’art. 147, ultimo comma, cod. pen.;
– le ripetute e sistematiche violazioni delle prescrizioni, poste in essere dal condannato, nonostante le sue precarie condizioni di salute, ne evidenziavano l’elevatissimo rischio di recidivanza criminosa e, comunque, un’attuale pericolosità, non fronteggiabile con la misura adottata, che andava revocata per condotta colpevole.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione per mezzo del suo difensore, avv. Rachele Parrotta, l’interessato C. , che ha premesso alla illustrazione dei motivi il diffuso richiamo alle proprie condizioni di salute a partire dall’iniziale ricovero del gennaio 2009, quando era detenuto presso la Casa di reclusione di Milano – Opera; ne ha illustrato la incompatibilità, in ragione della gravità della malattia, con l’ambiente carcerario più volte attestata dai sanitari dell’ASL BAT incaricati dallo stesso Tribunale di sorveglianza di Bari; ha riferito in ordine al concesso differimento della esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare presso la propria abitazione in Barletta, alle sue ripetute proroghe e alla revoca del disposto differimento, con suo inserimento in un ordinario circuito penitenziario, privo di assistenza medica qualificata, sulla base di presunte violazioni solo ipotizzate per deduzioni e nonostante l’acclarata incompatibilità delle sue condizioni di salute con l’espiazione della pena in carcere, ulteriormente espressa nelle note del 7 e 12 novembre 2013 dell’ASL BAT.
Il ricorrente ha, quindi, chiesto l’annullamento dell’ordinanza sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 13, comma 4, 32 e 27, comma 3, Cost. e 3 Convenzione dei diritti dell’uomo.
Secondo il ricorrente, il provvedimento impugnato è contrario ai principi costituzionalmente garantiti e viola i principi fissati dalla Convenzione, poiché lesivo del suo fondamentale diritto alla salute, non disconoscibile neppure a fronte della generale inderogabilità dell’esecuzione della condanna, quando la pena si risolva in trattamento contrario al senso di umanità e degradante e sia priva della tendenza alla rieducazione.
Il Tribunale ha, inoltre, ignorato quanto già sostenuto con recente ordinanza dell’I agosto 2013, che, sulla base di quanto accertato e descritto circa l’esistenza di gravi patologie, ha affermato la certa inadeguatezza della cura in regime carcerario e la contrarietà della espiazione della pena in tale regime al senso di umanità e al suo diritto alla salute e alle cure.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. per difetto di motivazione.
Secondo il ricorrente, la motivazione del provvedimento impugnato è illogica e apparente, perché il Tribunale, basandosi solo sulle risultanze della informativa dei Carabinieri di Barletta, non ha seriamente considerato le giustificazioni evidenziate dalla difesa e riportate in ricorso, né ha proceduto al complessivo esame delle dette risultanze.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso per la infondatezza delle censure.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. Questa Corte ha più volte affermato che, mentre la detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalità la rieducazione e il reinserimento sociale del condannato, il rinvio facoltativo della esecuzione della pena per grave infermità fisica, ai sensi dell’art. 147, comma 1, n. 2 cod. pen., mira a evitare che l’esecuzione della pena avvenga in contrasto con il diritto alla salute e il senso di umanità, costituzionalmente garantiti, supponendo che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere cure e trattamenti tali da non potere essere praticati in regime di detenzione intramuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11 Ord. Pen., operando un bilanciamento tra l’interesse del condannato a essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività (tra le altre, Sez. 1, n. 45758 del 14/11/2007, dep. 06/12/2007, De Witt, Rv. 238140; Sez. 1, n. 28555 del 18/06/2008, dep. 10/07/2008, Graziano, Rv. 240602; Sez. 1, n. 27313 del 24/06/2008, dep. 04/07/2008, Commisso, Rv. 240877; Sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009, dep. 28/05/2009, Aquino, Rv. 244132; Sez. 1. n. 972 del 14/10/2011, dep. 13/01/2012, Farinella, Rv. 251674), e il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 146, comma 1, n. 3, cod. pen., suppone che il condannato sia affetto da una delle patologie previste dalla legge p particolarmente gravi, giunte a una fase così avanzata da escludere la rispondenza del soggetto ai trattamenti disponibili o alle terapie curative (tra le altre, Sez. 1, n. 41580 del 01/10/2009, dep. 29/10/2009, Cesarini, Rv. 245054; Sez. 1, n. 42276 del 27/0/2010, dep. 30/11/2010, Gradizzi, Rv. 249019).
Pertanto, a fronte di una richiesta di rinvio, obbligatorio o facoltativo, della esecuzione della pena per gravi condizioni di salute, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato siano o no compatibili con le finalità rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione.
Qualora, all’esito di tale valutazione, tenuto conto della natura dell’infermità e di un’eventuale prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l’espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativo in conseguenza della impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l’istituto del differimento previsto dal codice penale.
2.1. Se, invece, malgrado la presenza di gravi condizioni di salute, il condannato sia in grado di partecipare consapevolmente a un processo rieducativo, che si attua attraverso i previsti interventi obbligatori del servizio sociale, e residui un margine di pericolosità sociale che, nel bilanciamento tra le esigenze del condannato e quelle della difesa sociale, faccia ritenere necessario un minimo controllo da parte dello Stato, può essere disposta, in luogo del differimento della pena e per un periodo predeterminato e prorogabile, la detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen., che espressamente prescinde dalla durata della pena da espiare e non ne sospende l’esecuzione (tra le altre, Sez. 1, n. 4326 del 12/06/2000, dep. 04/08/2000, Sibio, Rv. 216912; Sez. 1, n. 4750 del 14/01/2011, dep. 09/92/2011, Tinelli, Rv. 249794) e richiede, per l’effetto, una duplice valutazione del Tribunale, che deve dapprima verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per concedere il differimento e poi disporre, eventualmente, la detenzione domiciliare in alternativa alla sospensione dell’esecuzione, qualora ricorrano ragioni particolari, rilevanti sul piano delle caratteristiche del reo e delle sue condizioni personali e familiari o sul piano della gravità e durata della pena da scontare (tra le altre, Sez. 1, n. 656 del 28/01/2000, dep. 06/03/2000, Ranieri, Rv. 215494; Sez. 1, n. 23512 del 08/04/2003, dep. 28/05/2003, Bisogno, Rv. 224424).
L’introduzione con legge n. 165 del 1998 di tale regime detentivo, come alternativo alla pura e semplice sospensione dell’esecuzione della pena, ha, in tal modo, chiaramente risposto alla finalità di colmare una lacuna della previgente normativa, per la quale, in presenza dei presupposti di fatto indicati negli artt. 146 e 147 cod. pen., si imponeva una alternativa secca tra carcerazione e libertà senza vincoli, mirando tale polifunzionale regime – da disporsi a termine in presenza di una negativa condizione soggettiva del condannato che non ne consenta la piena liberazione -, per un verso, all’esigenza di effettività dell’espiazione della pena e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi e, per altro verso, a una esecuzione mediante forme compatibili con il senso di umanità (tra le altre, Sez. 1, n. 6952 del 07/12/1999, dep. 14/02/2000, Saraco, Rv. 215203; Sez. 1, n. 8641 del 19/09/2000, dep. 28/02/2001, Mule, Rv. 218133; Sez. 1, n. 17208 del 19/02/2001, dep. 28/04/2001, Mangino, Rv. 218762; Sez. 1, n. 41492 del 09/10/2001, dep. 17/11/2001, Guddo, Rv. 220086).
2.2. In coerenza con tale finalità, si è affermato che, ai fini della revoca della detenzione domiciliare, concessa quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena per la gravità dei motivi di salute, occorre accertare la persistenza delle pregresse precarie condizioni di salute del condannato per verificare la compatibilità dello stato di salute con il ripristino della detenzione carceraria (Sez. 1, n. 44579 del 09/12/2010, dep. 20/12/2010, Villafranca, Rv. 249121), nell’ambito di una valutazione comparativa tra le esigenze di tutela della collettività e quelle del rispetto del principio dell’umanità della pena, sotto il profilo della sua abnorme afflittività in caso di accertata grave infermità fisica (Sez. F, n. 34286 del 21/08/2008, dep. 27/08/2008, Sposato, Rv. 240666).
A differenza di quanto previsto per la detenzione domiciliare ordinaria, per la cui revoca è sufficiente la valutazione della condotta del soggetto contraria alla legge, nel caso di una situazione di salute particolarmente grave e tale da giustificare la incompatibilità con il regime carcerario devono essere, infatti, “sottoposte a valutazione e comparazione anche le condizioni sanitarie del soggetto, la cui salute può essere sacrificata soltanto in presenza di condotte altamente negative e del tutto incompatibili con una situazione diversa dalla detenzione in carcere” (Sez. F, n. 34286 del 21/08/2008, citata, in motivazione).
3. Di tali principi, che il Collegio condivide e riafferma, il Tribunale di Sorveglianza non ha fatto esatta interpretazione e corretta applicazione.
3.1. Il Tribunale, che ha dato atto dell’ammissione del ricorrente, con ordinanza del 17 novembre 2011, alla misura della detenzione domiciliare ai sensi degli artt. 146, comma 1, n. 3, cod. pen. e 47-ter, comma I-ter, Ord. Pen., in ragione delle sue condizioni di salute tali da determinare, in relazione alle norme richiamate, il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, proseguita nella forma della concessa misura alternativa, ha rappresentato le intervenute proroghe successive del suo termine di durata e l’ultima proroga disposta con ordinanza dell’1 agosto 2013 sulla base delle condizioni di salute, attestate con nota del 29 luglio 2013 dell’ASL BAT e testualmente descritte, e ritenute tali da determinare, in relazione alle norme richiamate, il rinvio facoltativo, per grave infermità fisica, dell’esecuzione della pena, proseguita nella forma della prorogata misura alternativa.
Nel suo percorso argomentativo, il Tribunale, richiamando le note informative della P.S. di Barletta, dei Carabinieri di Barletta e del GICO – Guardia di Finanza di Bari, pervenute in data successiva a quella dell’ordinanza dell’1 agosto 2013, ha valorizzato le emergenze fattuali delle stesse, non conosciute al momento della concessione dell’ultima proroga, e poste a fondamento del provvedimento del Magistrato di sorveglianza di sospensione provvisoria della misura, rimarcando che gli esiti delle intercettazioni telefoniche e dell’attività di videosorveglianza, tra loro convergenti, rendevano indubbio conto delle plurime e gravi violazioni da parte del condannato delle prescrizioni impostegli, e ritenendo da esse smentite le ragioni opposte dal ricorrente in occasione del suo ascolto da parte del Magistrato di sorveglianza.
Le descritte violazioni, ritenute espressive di “attuale elevatissima pericolosità” del ricorrente e sintomatiche di “Vischi di recidivazione”, sono state, infine, apprezzate dal Tribunale, quanto alla “paventata” incompatibilità delle condizioni di salute del medesimo con il regime carcerario, sotto il profilo che il differimento facoltativo dell’esecuzione della pena “postula(va) delle condizioni di salute non talmente gravi da escludere qualunque valutazione sulla pericolosità sociale” e che l’attuale pericolosità sociale non era fronteggiabile con la misura della detenzione domiciliare.
3.2. In tale sua analisi e apprezzamento della vicenda, posta a fondamento della proposta di revoca della misura della detenzione domiciliare e del suo accoglimento, il Tribunale ha, tuttavia, omesso del tutto di valutare le condizioni di salute del ricorrente, pur motivatamente considerate con sua recente ordinanza (dell’1 agosto 2013), sulla scorta dei dati medici e diagnostici acquisiti, come gravi, incompatibili con il regime carcerario e giustificative del differimento facoltativo dell’esecuzione della pena nella forma della indicata misura alternativa.
Vi è, infatti, nell’ordinanza il solo riferimento all’ultimo comma dell’art. 147 cod. pen, che prevede la non adottabilità del differimento facoltativo dell’esecuzione della pena e la sua revoca, ove adottato, “se sussiste il concreto pericolo di commissione di delitti”, e che il Tribunale ha richiamato come dimostrativo della non richiesta particolare gravità delle condizioni di salute ai fini del detto differimento e della conseguente insussistente preclusione di una valutazione della pericolosità sociale.
Tale rilievo, non coerente con i suddetti principi di diritto che attengono alla concessione del rinvio della esecuzione della pena in rapporto alla detenzione domiciliare, è anche privo di pertinenza alla fattispecie concreta, in cui il differimento della pena è stato concesso nella forma della detenzione domiciliare, in ordine alla cui revoca è mancata, come imprescindibile passaggio logico, la comparazione del già ritenuto, e non motivatamente superato, stato di grave infermità fisica con le individuate occorse violazioni delle prescrizioni, connesse alla stessa misura, e con l’afflittività della pena nel rispetto del principio della sua umanità.
In tale contesto, si è posta come generica la conclusiva affermazione della non fronteggiabilità della pericolosità del ricorrente con una situazione detentiva domiciliare.
3.3. La decisione impugnata presenta carenze e incongruenze argomentative anche nella disamina delle violazioni delle prescrizioni ascritte in correlazione alla disposta revoca, per condotta colpevole, della misura alternativa, ritenuta con esse non compatibile, essendo privi di esaustiva rappresentazione i posti collegamenti tra i rilievi fotografici e gli esiti delle intercettazioni telefoniche, poiché i primi sono evidenziati come attinenti all’abituale introduzione nello stabile, in cui era l’abitazione del ricorrente, dei soggetti indicati come pregiudicati, che il ricorrente ha contestato essere a lui diretti in presenza di altri nuclei familiari nel medesimo stabile, e i secondi sono riferiti a contatti telefonici, riguardo ai quali la posizione e la identificazione del ricorrente, usuario di utenze, sono prive di riferimenti fattuali e temporali che ne conferiscano specificità, mentre sia gli uni sia gli altri non sono neppure enunciati, sì come collocati nel periodo 25 luglio 2012/18 dicembre 2012, in termini di attualità rispetto alla decisione di revoca e di concreta incidenza su una grave prognosi di recidivanza criminosa.
4. Il provvedimento impugnato va, di conseguenza, annullato con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Bari, che procederà a nuovo esame tenendo presenti i principi e i rilievi prima formulati.
2. Questa Corte ha più volte affermato che, mentre la detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalità la rieducazione e il reinserimento sociale del condannato, il rinvio facoltativo della esecuzione della pena per grave infermità fisica, ai sensi dell’art. 147, comma 1, n. 2 cod. pen., mira a evitare che l’esecuzione della pena avvenga in contrasto con il diritto alla salute e il senso di umanità, costituzionalmente garantiti, supponendo che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere cure e trattamenti tali da non potere essere praticati in regime di detenzione intramuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11 Ord. Pen., operando un bilanciamento tra l’interesse del condannato a essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività (tra le altre, Sez. 1, n. 45758 del 14/11/2007, dep. 06/12/2007, De Witt, Rv. 238140; Sez. 1, n. 28555 del 18/06/2008, dep. 10/07/2008, Graziano, Rv. 240602; Sez. 1, n. 27313 del 24/06/2008, dep. 04/07/2008, Commisso, Rv. 240877; Sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009, dep. 28/05/2009, Aquino, Rv. 244132; Sez. 1. n. 972 del 14/10/2011, dep. 13/01/2012, Farinella, Rv. 251674), e il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 146, comma 1, n. 3, cod. pen., suppone che il condannato sia affetto da una delle patologie previste dalla legge p particolarmente gravi, giunte a una fase così avanzata da escludere la rispondenza del soggetto ai trattamenti disponibili o alle terapie curative (tra le altre, Sez. 1, n. 41580 del 01/10/2009, dep. 29/10/2009, Cesarini, Rv. 245054; Sez. 1, n. 42276 del 27/0/2010, dep. 30/11/2010, Gradizzi, Rv. 249019).
Pertanto, a fronte di una richiesta di rinvio, obbligatorio o facoltativo, della esecuzione della pena per gravi condizioni di salute, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato siano o no compatibili con le finalità rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione.
Qualora, all’esito di tale valutazione, tenuto conto della natura dell’infermità e di un’eventuale prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l’espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativo in conseguenza della impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l’istituto del differimento previsto dal codice penale.
2.1. Se, invece, malgrado la presenza di gravi condizioni di salute, il condannato sia in grado di partecipare consapevolmente a un processo rieducativo, che si attua attraverso i previsti interventi obbligatori del servizio sociale, e residui un margine di pericolosità sociale che, nel bilanciamento tra le esigenze del condannato e quelle della difesa sociale, faccia ritenere necessario un minimo controllo da parte dello Stato, può essere disposta, in luogo del differimento della pena e per un periodo predeterminato e prorogabile, la detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen., che espressamente prescinde dalla durata della pena da espiare e non ne sospende l’esecuzione (tra le altre, Sez. 1, n. 4326 del 12/06/2000, dep. 04/08/2000, Sibio, Rv. 216912; Sez. 1, n. 4750 del 14/01/2011, dep. 09/92/2011, Tinelli, Rv. 249794) e richiede, per l’effetto, una duplice valutazione del Tribunale, che deve dapprima verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per concedere il differimento e poi disporre, eventualmente, la detenzione domiciliare in alternativa alla sospensione dell’esecuzione, qualora ricorrano ragioni particolari, rilevanti sul piano delle caratteristiche del reo e delle sue condizioni personali e familiari o sul piano della gravità e durata della pena da scontare (tra le altre, Sez. 1, n. 656 del 28/01/2000, dep. 06/03/2000, Ranieri, Rv. 215494; Sez. 1, n. 23512 del 08/04/2003, dep. 28/05/2003, Bisogno, Rv. 224424).
L’introduzione con legge n. 165 del 1998 di tale regime detentivo, come alternativo alla pura e semplice sospensione dell’esecuzione della pena, ha, in tal modo, chiaramente risposto alla finalità di colmare una lacuna della previgente normativa, per la quale, in presenza dei presupposti di fatto indicati negli artt. 146 e 147 cod. pen., si imponeva una alternativa secca tra carcerazione e libertà senza vincoli, mirando tale polifunzionale regime – da disporsi a termine in presenza di una negativa condizione soggettiva del condannato che non ne consenta la piena liberazione -, per un verso, all’esigenza di effettività dell’espiazione della pena e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi e, per altro verso, a una esecuzione mediante forme compatibili con il senso di umanità (tra le altre, Sez. 1, n. 6952 del 07/12/1999, dep. 14/02/2000, Saraco, Rv. 215203; Sez. 1, n. 8641 del 19/09/2000, dep. 28/02/2001, Mule, Rv. 218133; Sez. 1, n. 17208 del 19/02/2001, dep. 28/04/2001, Mangino, Rv. 218762; Sez. 1, n. 41492 del 09/10/2001, dep. 17/11/2001, Guddo, Rv. 220086).
2.2. In coerenza con tale finalità, si è affermato che, ai fini della revoca della detenzione domiciliare, concessa quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena per la gravità dei motivi di salute, occorre accertare la persistenza delle pregresse precarie condizioni di salute del condannato per verificare la compatibilità dello stato di salute con il ripristino della detenzione carceraria (Sez. 1, n. 44579 del 09/12/2010, dep. 20/12/2010, Villafranca, Rv. 249121), nell’ambito di una valutazione comparativa tra le esigenze di tutela della collettività e quelle del rispetto del principio dell’umanità della pena, sotto il profilo della sua abnorme afflittività in caso di accertata grave infermità fisica (Sez. F, n. 34286 del 21/08/2008, dep. 27/08/2008, Sposato, Rv. 240666).
A differenza di quanto previsto per la detenzione domiciliare ordinaria, per la cui revoca è sufficiente la valutazione della condotta del soggetto contraria alla legge, nel caso di una situazione di salute particolarmente grave e tale da giustificare la incompatibilità con il regime carcerario devono essere, infatti, “sottoposte a valutazione e comparazione anche le condizioni sanitarie del soggetto, la cui salute può essere sacrificata soltanto in presenza di condotte altamente negative e del tutto incompatibili con una situazione diversa dalla detenzione in carcere” (Sez. F, n. 34286 del 21/08/2008, citata, in motivazione).
3. Di tali principi, che il Collegio condivide e riafferma, il Tribunale di Sorveglianza non ha fatto esatta interpretazione e corretta applicazione.
3.1. Il Tribunale, che ha dato atto dell’ammissione del ricorrente, con ordinanza del 17 novembre 2011, alla misura della detenzione domiciliare ai sensi degli artt. 146, comma 1, n. 3, cod. pen. e 47-ter, comma I-ter, Ord. Pen., in ragione delle sue condizioni di salute tali da determinare, in relazione alle norme richiamate, il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, proseguita nella forma della concessa misura alternativa, ha rappresentato le intervenute proroghe successive del suo termine di durata e l’ultima proroga disposta con ordinanza dell’1 agosto 2013 sulla base delle condizioni di salute, attestate con nota del 29 luglio 2013 dell’ASL BAT e testualmente descritte, e ritenute tali da determinare, in relazione alle norme richiamate, il rinvio facoltativo, per grave infermità fisica, dell’esecuzione della pena, proseguita nella forma della prorogata misura alternativa.
Nel suo percorso argomentativo, il Tribunale, richiamando le note informative della P.S. di Barletta, dei Carabinieri di Barletta e del GICO – Guardia di Finanza di Bari, pervenute in data successiva a quella dell’ordinanza dell’1 agosto 2013, ha valorizzato le emergenze fattuali delle stesse, non conosciute al momento della concessione dell’ultima proroga, e poste a fondamento del provvedimento del Magistrato di sorveglianza di sospensione provvisoria della misura, rimarcando che gli esiti delle intercettazioni telefoniche e dell’attività di videosorveglianza, tra loro convergenti, rendevano indubbio conto delle plurime e gravi violazioni da parte del condannato delle prescrizioni impostegli, e ritenendo da esse smentite le ragioni opposte dal ricorrente in occasione del suo ascolto da parte del Magistrato di sorveglianza.
Le descritte violazioni, ritenute espressive di “attuale elevatissima pericolosità” del ricorrente e sintomatiche di “Vischi di recidivazione”, sono state, infine, apprezzate dal Tribunale, quanto alla “paventata” incompatibilità delle condizioni di salute del medesimo con il regime carcerario, sotto il profilo che il differimento facoltativo dell’esecuzione della pena “postula(va) delle condizioni di salute non talmente gravi da escludere qualunque valutazione sulla pericolosità sociale” e che l’attuale pericolosità sociale non era fronteggiabile con la misura della detenzione domiciliare.
3.2. In tale sua analisi e apprezzamento della vicenda, posta a fondamento della proposta di revoca della misura della detenzione domiciliare e del suo accoglimento, il Tribunale ha, tuttavia, omesso del tutto di valutare le condizioni di salute del ricorrente, pur motivatamente considerate con sua recente ordinanza (dell’1 agosto 2013), sulla scorta dei dati medici e diagnostici acquisiti, come gravi, incompatibili con il regime carcerario e giustificative del differimento facoltativo dell’esecuzione della pena nella forma della indicata misura alternativa.
Vi è, infatti, nell’ordinanza il solo riferimento all’ultimo comma dell’art. 147 cod. pen, che prevede la non adottabilità del differimento facoltativo dell’esecuzione della pena e la sua revoca, ove adottato, “se sussiste il concreto pericolo di commissione di delitti”, e che il Tribunale ha richiamato come dimostrativo della non richiesta particolare gravità delle condizioni di salute ai fini del detto differimento e della conseguente insussistente preclusione di una valutazione della pericolosità sociale.
Tale rilievo, non coerente con i suddetti principi di diritto che attengono alla concessione del rinvio della esecuzione della pena in rapporto alla detenzione domiciliare, è anche privo di pertinenza alla fattispecie concreta, in cui il differimento della pena è stato concesso nella forma della detenzione domiciliare, in ordine alla cui revoca è mancata, come imprescindibile passaggio logico, la comparazione del già ritenuto, e non motivatamente superato, stato di grave infermità fisica con le individuate occorse violazioni delle prescrizioni, connesse alla stessa misura, e con l’afflittività della pena nel rispetto del principio della sua umanità.
In tale contesto, si è posta come generica la conclusiva affermazione della non fronteggiabilità della pericolosità del ricorrente con una situazione detentiva domiciliare.
3.3. La decisione impugnata presenta carenze e incongruenze argomentative anche nella disamina delle violazioni delle prescrizioni ascritte in correlazione alla disposta revoca, per condotta colpevole, della misura alternativa, ritenuta con esse non compatibile, essendo privi di esaustiva rappresentazione i posti collegamenti tra i rilievi fotografici e gli esiti delle intercettazioni telefoniche, poiché i primi sono evidenziati come attinenti all’abituale introduzione nello stabile, in cui era l’abitazione del ricorrente, dei soggetti indicati come pregiudicati, che il ricorrente ha contestato essere a lui diretti in presenza di altri nuclei familiari nel medesimo stabile, e i secondi sono riferiti a contatti telefonici, riguardo ai quali la posizione e la identificazione del ricorrente, usuario di utenze, sono prive di riferimenti fattuali e temporali che ne conferiscano specificità, mentre sia gli uni sia gli altri non sono neppure enunciati, sì come collocati nel periodo 25 luglio 2012/18 dicembre 2012, in termini di attualità rispetto alla decisione di revoca e di concreta incidenza su una grave prognosi di recidivanza criminosa.
4. Il provvedimento impugnato va, di conseguenza, annullato con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Bari, che procederà a nuovo esame tenendo presenti i principi e i rilievi prima formulati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Bari.
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