Consiglio di Stato
sezione IV
sentenza 13 ottobre 2014, n. 5048
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE QUARTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8997 del 2013, proposto da:
Fr.Da., rappresentato e difeso dagli avv.ti Ro.Ca., Ge.Sc., con domicilio eletto presso Studio Gr. in Roma, corso (…);
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura, domiciliata in Roma, via (…);
Commissione Esaminatrice del Concorso Bandito con Ddg del 28/09/2009, in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita nel presente giudizio;
nei confronti di
Cr.Ca., Fr.Ma.;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma: Sezione I n. 04621/2013, resa tra le parti, concernente mancata ammissione alle prove orali del concorso per il conferimento di n.200 posti di notaio;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 giugno 2014 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Pa., per delega dell’Avv. Sc., e l’Avvocato dello Stato Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il presente gravame l’appellante chiede l’annullamento della sentenza con cui il TAR Lazio ha respinto il suo ricorso diretto avverso il giudizio di inidoneità agli scritti al concorso a 200 posti per la nomina a notaio, bandito con decreto dirigenziale del 2009.
L’appello è affidato alla denuncia, sotto due articolate rubriche, della violazione degli artt. 10 e 11 del D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 166; della L. 7 agosto 1990, n. 241; nonché dell’eccesso di potere sotto tutte le forme sintomatiche.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia che, con memoria per la discussione ha confutato analiticamente le tesi dell’appellante concludendo per il rigetto dell’appello.
Con la memoria di replica, l’appellante ha sottolineato le proprie argomentazioni.
Chiamata all’udienza pubblica, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato.
1. Con la prima rubrica l’appellante lamenta la violazione degli articoli 10 e 11 del D.Lgs. n. 166/2006 lamentando l’erroneità delle conclusioni del Tar che non avrebbe ritenuto di accogliere le sue censure relative all’illegittimità dell’esclusione dalla prova orale.
Anche senza far luogo ad alcuna sostituzione dei poteri della commissione sarebbe stato ictu oculi evidente l’erroneità del giudizio di travisamento della traccia di diritto commerciale, con riferimento alla soluzione del concorrente in termini di “costituzione di società con conferimento di azienda e di danaro”.
La Corte di Cassazione, proprio con riferimento al concorso notarile aveva sottolineato che al giudice amministrativo può essere richiesto di esaminare se i criteri siano coerenti con le possibili argomentazioni offerte nella traccia e se la motivazione della singola valutazione renda evidente il travisamento le premesse logico giuridiche ovvero sia frutto di travisamento (cfr. Cassazione, Sezioni Unite 21 giugno 2010 n. 14.893) per cui il difetto di percezione degli elaborati compiuto dalla commissione né inficerebbe il giudizio e comunque non comporterebbe alcuna fuoriuscita dall’area del sindacato di legittimità (richiama Consiglio di Stato sezione IVª 16 aprile 2012 n. 2196).
La Commissione avrebbe superficialmente letto la traccia e non la avrebbe compresa nella sostanza, perché l’atto non sarebbe un conferimento di azienda ma sarebbe qualificata come trasformazione eterogenea in società di capitali (cfr. pag. 1, prima riga) in quanto:
– le parti “convengono unanimemente trasformare l’azienda ai sensi dell’articolo 2500 octies c.c.” (art. 1 dell’elaborato);
– si richiama espressamente la decorrenza dell’efficacia della trasformazione ai sensi dell’articolo 2500 nonies (art. 7 dell’elaborato) Tale regola, siccome sarebbe posta nell’interesse dei creditori, sarebbe specifica e incompatibile con le trasformazioni eterogenee.
L’appellante al riguardo osserva inoltre che:
a) l’apprezzamento della commissione relativo al “conferimento di azienda e di danaro” di cui all’articolo 4 dell’atto non sarebbe decisivo per poter dimostrare che il candidato aveva posto in essere una costituzione di società, come del resto dimostrato anche dalla normativa fiscale di cui all’articolo 171 comma 2º del d.p.r. 917/1986. In ogni caso non si potrebbe trasformare la discrezionalità della commissione in mero arbitrio. Di qui la necessità dell’annullamento anche solo ai fini del riesame.
b) la soluzione contestata al candidato sarebbe stata l’unica e non si sarebbe trattato di una “grave insufficienza”; come dimostrerebbe la locuzione “inoltre” apposta alla contestata erroneità della necessità di autorizzazione per la partecipazione del minore all’impresa familiare di cui all’art.320 V co. c.c. ;
c) all’altro candidato, busta n. 707, il medesimo errore non sarebbe stato considerato una “grave insufficienza”.
Pertanto erroneamente, ed immotivatamente, il Tar avrebbe affermato che la censura del ricorrente sarebbe limitata ad un’esegesi dell’effettivo contenuto dell’atto – se costituzione di società o “trasformazione eterogenea”- alternativo a quella individuata come corretta dalla Commissione.
Del resto la stessa Sezione del Tar (cfr. 25 giugno 2013 n.6295), in un’altra pronuncia — relativa ad un’ipotesi asseritamente identica al caso in esame — aveva ritenuto il travisamento dei fatti relativi al giudizio di inidoneità di un concorrente il quale, nell’esposizione teorica, aveva riportato che la dottrina minoritaria riteneva ammissibile ” la trasformazione della comunione dell’azienda mediante il conferimento dell’azienda in una costituenda società”.
L’assunto complessivo è infondato.
Innanzitutto si ricorda che il giudizio in esame è infatti comunque una valutazione unitaria, che è condizionata in modo determinante dalla completezza, dalla profondità e dalla logica interna dei singoli elaborati (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV 02/03/2011 n. 1350; Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 novembre 2008, n. 5862; Consiglio di Stato, Sez. IV 17 gennaio 2006, n. 172; Consiglio di Stato, Sez. IV 22 settembre 2005, n. 4989).
Al riguardo il giudizio tecnico-discrezionale della Commissione di concorso, è espressione di valutazione di merito che, come tale, non è puntualmente sindacabile in sede di legittimità, se non nei casi in cui esso risulti ictu oculi macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento dei fatti (cfr infra multa; Consiglio di Stato Sez. IV 11/04/2007 n. 1643).
Al riguardo, l’indirizzo in tema di correzione degli elaborati del concorso notarile invocato dall’appellante ha dunque confermato l’orientamento tradizionale della giurisprudenza. La Cassazione aveva sottolineato che la fattispecie esaminata in quella sede integrava una classica ipotesi di eccesso di potere, per la ricorrenza di un errore “madornale” della Commissione, la quale aveva travisato il contenuto della traccia assegnata ai candidati. Su tali basi questa Sezione non aveva ritenuto di dover legittimamente sindacare negativamente l’operato della Commissione.
Ma nel caso di specie non ricorre né un errore madornale sui presupposti e neppure si ravvisano elementi, anche solo sintomatici, di un vizio funzionale del provvedimento.
Nello specifico, relativamente al contenuto dell’atto inter vivos di diritto commerciale, si deve ricordare infatti che la Commissione aveva deliberato di non procedere alla lettura del successivo elaborato — rilevando la grave insufficienza richiesta dall’art. 11, comma 7, D.Lgs. n. 166/2006 — perché “… il candidato, infatti, non considerando la natura evolutivo – modificativa della trasformazione, predispone un atto qualificabile come mera costituzione di società, con “conferimento” di azienda e di denaro, con conseguente travisamento della traccia. Inoltre, il regime autorizzativo riferito al minore prevede un iter ex art. 320 5° comma, che ha come conseguenza finale l’acquisizione della qualità di imprenditore per lo stesso; tale evento accreditando l’esistenza di una società di fatto, non rende possibile il ricorso all’istituto della trasformazione eterogenea ex art. 2500 octies espressamente richiesto dalla traccia. Tale errore è confermato dalle confuse argomentazioni della parte motiva. La parte teorica non approfondisce la trattazione su punti qualificanti degli istituti richiesti.”
E’ dunque evidente come la valutazione negativa sulla correttezza della soluzione individuata è qui logicamente supportata anche dalle sottolineature negative delle contraddittorietà delle altre prescrizioni, alla ritenuta confusione della parte motiva, nonché all’affermata superficialità della parte teorica.
Del resto la valutazione della correttezza o meno della fattispecie costituisce comunque una questione opinabile ed in ogni caso la motivazione dell’idoneità non è dunque limitata alla mera considerazione negativa della soluzione offerta nel suo elaborato, ma è altresì ancorata alla critica del relativo percorso logico e delle argomentazioni che le sostengono.
A quest’ultimo riguardo, non pare né risolutivo e né convincente il richiamo all’ammissione del candidato della busta n. 707 che avrebbe adottato un’identica soluzione.
Infatti, in astratto, la configurabilità della disparità di trattamento tra diversi candidati del concorso notarile può ipotizzarsi solo raffrontando complessivamente tutti gli elaborati poiché, come visto, la Commissione non tiene conto soltanto della soluzione giuridica prescelta, ma anche della capacità espositiva ed argomentativa di tutte le prove.
Né, ancora, può avere rilievo la fattispecie oggetto della decisione della medesima Sezione del Tar Lazio che non concerne affatto un’ipotesi “assolutamente identica” come assume l’appellante. In qual caso la concorrente non aveva affatto ipotizzato che “la trasformazione della comunione d’azienda avvenga mediante il conferimento dell’azienda in una costituenda società”, come aveva sostenuto la Commissione, ma aveva soltanto riportato, nell’esposizione teorica, tale possibilità come posizione di una dottrina minoritaria, comunque non seguita nella redazione dell’atto dalla stessa.
Al contrario invece, nel caso qui in esame, tale soluzione era stata adottata nell’atto inter vivos dell’appellante.
A tale proposito non può quindi trovare una favorevole considerazione il suo tentativo di focalizzare il nucleo della contesa esclusivamente sulla pretesa erroneità della soluzione da lui adottata nell’atto di diritto commerciale.
Infine a completare un quadro sostanzialmente sfavorevole all’appellante contribuisce anche il giudizio sull’atto mortis causa, che non era rimasto indenne da sottolineature negative, che, del resto l’appellante non ha nemmeno contestato. La Commissione aveva infatti deciso di procedere all’esame del secondo elaborato pur rilevando che, nella parte teorica dell’atto mortis causa, il concorrente non aveva approfondito “adeguatamente le problematiche degli istituti di cui è richiesta la trattazione”.
In definitiva, non si rinvengono palesi, manifesti ed inequivocabili sintomi di una radicale erroneità del giudizio di non idoneità, in quanto non si ravvisano elementi che possano far ritenere esistente uno sviamento logico, un errore di fatto, una contraddittorietà o comunque un travisamento dei contenuti delle prove dell’appellante ictu oculi rilevabile da parte della Commissione.
In conclusione sul punto il motivo va dunque respinto.
2. Con il secondo motivo si lamenta l’illegittimità della fissazione dei criteri definiti dalla Commissione in violazione dell’articolo 11 del D.Lgs. n. 166/2006 per cui:
– “nella valutazione delle soluzioni adottate” la Commissione avrebbe avuto cura di considerare prioritariamente: a) la rispondenza dell’elaborato al contenuto della traccia; b) l’aderenza delle soluzioni adottate alle norme ed ai principi dell’ordinamento giuridico; c) la corrispondenza delle soluzioni all’interesse delle parti, quale manifestato al notaio dai contraenti e dei disponenti; d) l’adeguatezza delle tecniche redazionali, anche nella prospettiva della chiarezza espositiva dell’atto”;
– l’esame degli elaborati poteva “terminare anche prima della correzione del terzo elaborato, e comunque di dover dar luogo a giudizio negativo, nelle ipotesi in cui nella correzione di uno qualsiasi degli elaborati si verifichi una delle seguenti circostanze: 1. errata interpretazione, ovvero comunque travisamento della traccia, tali da far pervenire il candidato alla formulazione di un atto che non realizza le finalità pratiche indicate dalle parti; 2. contraddittorietà tra le soluzioni adottate, ovvero tra esse o una di esse, e le relative ragioni giustificative; mancanza di adeguata giustificazione delle soluzioni adottate; 3. omessa trattazione di argomenti richiesti in parte teorica ovvero gravi carenze emergenti nella trattazione di argomenti richiesti in parte teorica ovvero gravi carenze emergenti nella trattazione degli stessi; 4. gravi, non occasionali, errori di grammatica o di sintassi”.
– di correggere “dapprima l’atto di ultima volontà, poi l’atto di diritto commerciale ed infine quello di diritto civile”.
Tale modalità operativa non sarebbe in alcun modo prevista dalla normativa vigente infatti il 7º comma dell’articolo 11 del D.Lgs. n. 166/2006.
La Commissione avrebbe dunque dovuto determinare criteri finalizzati alla votazione gli elaborati nell’ottica di un giudizio complessivo delle tre prove mentre avrebbe invece individuato una serie di ipotesi che le avrebbe consentito di non proseguire la lettura gli elaborati sulla base di criteri assolutamente scarni, generici, inadeguati, tautologici, troppo ampi, non tassativi e senza far luogo all’individuazione dei casi limite, delle omissioni e di specifici errori. La valutazione sarebbe dunque stata condizionata all’esito dell’esame di ogni singolo elaborato, e di conseguenza la valutazione di tutte e tre le prove sarebbe divenuta l’eccezione invece che la regola.
Inoltre alcuni dei parametri del primo gruppo coinciderebbero con i criteri del secondo gruppo per cui, una volta che la commissione avesse ritenuto “non gravemente insufficiente” gli elaborati sulla base del primo gruppo di criteri l’ulteriore valutazione con i parametri del secondo gruppo sarebbe stata del tutto arbitraria.
Erroneamente il Tar avrebbe quindi disatteso la censura affermando ragioni di celerità della fase selettiva e che le situazioni individuate dalla commissione costituiscono, secondo ragionevolezza ed esperienza, altrettanti casi di “gravi insufficienze”.
L’assunto va disatteso.
Non è esatto che l’esame di tutti e tre gli elaborati fosse una regola che sarebbe stata stravolta dai criteri adottati della Commissione.
Al contrario l’articolo 11 comma 7 del D.Lgs. 166/2006 comma specifica che “Nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione, ai sensi dell’articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi.”
Quindi, si deve concordare con la Difesa Erariale quando esattamente sottolinea che, proprio in base all’art. 10, II comma del predetto D.Lgs. la commissione valutatrice deve far luogo alla formalizzazione dei criteri di esclusione per le “gravi insufficienze” senza indicare le nullità che sono già tassativamente previste dalla legge (es.: scritto sia, in tutto o in parte, copiato da altro lavoro ovvero da altra fonte: art. 10, 9°; o concorrenti che comunque si siano fatti riconoscere: art. 10, 10° co).
Legittimamente dunque nel caso di specie la Commissione procede a limitare la propria futura discrezionalità individuando delle fattispecie astratte che possano integrare a priori le “gravi insufficienze”, vale a dire dei disvalori degli elaborati tipicamente ricorrenti.
Né è vero che siano stati illegittimamente adottati due differenti parametri di valutazione, ma i due elenchi sono una progressiva definizione delle diverse ipotesi in quanto è evidente che il primo elenco concerne elementi che valgono “prioritariamente” in positivo, mentre il secondo ordine di parametri ne costituisce la specificazione delle ipotesi.
Infine, alla luce delle considerazioni del punto che precede, si osserva che resta tutto da dimostrare che un eventuale giudizio favorevole sulla terza prova (tutto da dimostrare) avrebbe potuto comunque far superare la debolezza della parte teorica della prima prova e la grave insufficienza della seconda.
In definitiva ha dunque ragione il TAR quando sottolinea che, sulla base della comune esperienza, i criteri in concreto individuati appartengono al novero dei parametri ordinariamente adottati dalla Commissioni al concorso notarile.
3. In conclusione l’appello va dunque respinto e, per l’effetto, la sentenza merita conferma.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati sui singoli profili degli elaborati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le spese possono tuttavia essere compensate tra le parti in ragione dell’opinabilità dei singoli giudizi in materia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – definitivamente pronunciando:
1. respinge l’appello, come in epigrafe proposto.
2. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Raffaele Potenza – Consigliere
Andrea Migliozzi – Consigliere
Umberto Realfonzo – Consigliere, Estensore
Depositata in Segreteria il 13 ottobre 2014.
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