Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 13 maggio 2014, n. 10369
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte suprema di cassazione;
– ricorrente –
contro
PREFETTURA DI VITERBO, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e’ domiciliata per legge;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza del Giudice di pace di Viterbo n. 1126 del 2012, depositata in data 19 dicembre 2012;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11 aprile 2014 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti.
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che (OMISSIS) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 1126 del 2012 emessa dal Giudice di pace di Viterbo, depositata in data 19 dicembre 2012, che ha rigettato il ricorso da lui proposto per l’annullamento dell’ordinanza con la quale la Prefettura di Viterbo, ai sensi dell’articolo 120 C.d.S., aveva disposto la revoca della patente e di ogni altro documento di guida di cui il ricorrente risultasse titolare, in ossequio alla sentenza n. 271 del 2011 del Tribunale di Viterbo, divenuta irrevocabile, con cui era stata applicata una pena concordata per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 2009, articolo 73;
che la Prefettura resiste con controricorso, eccependo l’inammissibilita’ del ricorso;
che, essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio e’ stata redatta relazione ai sensi dell’articolo 380-bis cod. proc. civ., che e’ stata comunicata alle parti.
Considerato che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione, che e’ stata comunicata alle parti:
“(…) Premesso che la nullita’ della notificazione del ricorso, eseguita presso la Prefettura di Viterbo anziche’ presso l’Avvocatura generale dello Stato, risulta sanata, con effetto ex tunc, dalla costituzione in giudizio dell’amministrazione per il tramite dell’Avvocatura generale (Cass. n. 9411 del 2011), il ricorso appare comunque i-nammissibile.
Come correttamente controdedotto dalla Prefettura di Viterbo, il ricorso e’ stato proposto avverso un provvedimento appellabile e non direttamente ricorribile in Cassazione. Occorre rilevare che, per effetto delle modificazioni apportate dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 26 alla Legge n. 689 del 1981, articolo 23 avverso le sentenze pubblicate dopo il 2 marzo 2006 nei procedimenti iniziati ai sensi della citata disposizione, il rimedio proponibile e’ l’appello.
Occorre altresi’ chiarire che il presente procedimento e’ iniziato dinnanzi al Giudice di pace di Viterbo dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, che ha abrogato il citato articolo 23 e ha disposto, all’articolo 6, comma 1, che “le controversie previste dalla Legge 24 novembre 1981, n. 689, articolo 22 (opposizione ad ordinanza-ingiunzione), sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo”. E’ ben vero che il Decreto Legislativo n. 150 del 2011 non contiene una specifica disposizione nel senso dell’appellabilita’ delle sentenze emesse nei giudizi di opposizione a ordinanza-ingiunzione, e tuttavia, per effetto della previsione dell’applicabilita’, alle suddette controversie, del rito del lavoro, non e’ dubitabile che le sentenze di primo grado siano tuttora appellabili e non ricor-ribili per cassazione.
L’articolo 2 del medesimo decreto legislativo, infatti, dispone, al primo comma, che “nelle controversie disciplinate dal Capo 2 (rubricato Delle controversie regolate dal rito del lavoro), non si applicano, salvo che siano espressamente richiamati, l’articolo 413 c.p.c., articolo 415 c.p.c., comma 7, articoli 417, 417-bis, 420-bis c.p.c., articolo 421 c.p.c., comma 3, Articoli 425, 426, 427 c.p.c., articolo 429 c.p.c., comma 3, articolo 431 c.p.c., dal comma 1 al comma 4 e comma 6, articolo 433 c.p.c., articolo 438 c.p.c., comma 2, e articolo 439 c.p.c.”; il che comporta che alle medesime controversie siano invece applicabili le disposizioni del codice di rito concernenti la disciplina dell’appello, ad eccezione di quelle di cui all’articolo 433 c.p.c., concernente la individuazione del “giudice d’appello”, all’articolo 438 c.p.c., comma 2, contenente il rinvio all’articolo 431 c.p.c., in tema di esecutorieta’ della sentenza, e all’articolo 439 c.p.c., concernente il cambiamento del rito in appello.
In conclusione, il rimedio proponibile avverso la sentenza qui impugnata era l’appello e non il ricorso per cassazione.
Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, e qualora il Collegio condivida i rilievi in precedenza formulati, si ritiene che il giudizio possa essere trattato in camera di consiglio ed essere dichiarato inammissibile”;
che il Collegio condivide la richiamata proposta di decisione, alla quale, del resto, non sono state rivolte critiche di sorta;
che, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo sulla base del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55;
che sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in euro 800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente (OMISSIS), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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