La revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge costituisce sopravvenienza valutabile ai fini della revisione delle condizioni di divorzio

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|25 marzo 2024| n. 7961.

La revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge costituisce sopravvenienza valutabile ai fini della revisione delle condizioni di divorzio

In tema di divorzio, la revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge costituisce sopravvenienza valutabile ai fini della revisione delle condizioni di divorzio, in quanto il relativo godimento, ancorché funzionale al mantenimento dell’ambiente familiare in favore dei figli, riveste valore economico tanto per l’assegnatario, che ne viene privato con la revoca, quanto per l’altro ex coniuge, che se ne avvantaggia attraverso il compimento di attività suscettibili di valutazione economica, che gli erano state precluse col provvedimento di assegnazione, potendo lo stesso andarvi ad abitare o concederla in locazione o impiegarla per la produzione di reddito.

 

Ordinanza|25 marzo 2024| n. 7961. La revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge costituisce sopravvenienza valutabile ai fini della revisione delle condizioni di divorzio

Data udienza 27 Ottobre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Famiglia – Matrimonio – Scioglimento – Divorzio – Obblighi – Verso l’altro coniuge – In genere assegno divorzile – Revisione – Revoca della assegnazione della casa familiare – Sopravvenienza valutabile – Sussistenza – Ragioni.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso n. 22804/2021

promosso da

Ri.Ma., elettivamente domiciliato in Roma, (…), presso lo studio dell’avv. Al.Pl., rappresentato e difeso dall’avv. Ro.Ma. in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Lu.Fr., elettivamente domiciliata in Roma, (…), presso lo studio dell’avv. Da.Bi., che la rappresenta e difende unitamente all’avv. An.Li., in virtù di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. cronol. 366/2021 della Corte di appello di Brescia, pubblicato il 07/06/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/10/2023 dal Consigliere Eleonora Reggiani;

letti gli atti del procedimento in epigrafe;

La revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge costituisce sopravvenienza valutabile ai fini della revisione delle condizioni di divorzio

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza pubblicata nel 2014, veniva dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da Ri.Ma. e Lu.Fr. nel 1998, dal quale erano nati due figli, Ma. e Gi..

Con ricorso ai sensi dell’art. 9 L. n. 898 del 1970, depositato in data 22/11/2019, Ri.Ma. chiedeva al Tribunale di Brescia di revocare l’assegnazione alla Lu.Fr. della casa coniugale – sita in B, via U. 2, di proprietà esclusiva del ricorrente -in quanto entrambi i figli maggiorenni non erano più conviventi con la madre.

Nel costituirsi in giudizio, Lu.Fr. si dichiarava disposta a rilasciare la casa coniugale, ma chiedeva che le fosse riconosciuto un congruo termine ed anche l’aumento dell’assegno divorzile da Euro 800,00 ad Euro 1.500,00 mensili. Formulava, inoltre, la richiesta di accertare che il figlio Gi. fosse stato reso autonomo per scelta esclusiva del padre e che per tale motivo fossero poste a carico di quest’ultimo, con efficacia ex tunc, tutte le spese straordinarie mediche, scolastiche e ludiche, con esclusione del concorso della madre al sostentamento del figlio.

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All’udienza del 14/10/2020 le parti concordavano il rilascio della casa coniugale entro la data del 30/04/2021, ma non riuscivano ad accordarsi sulle altre questioni.

Con decreto n. cron. 9882/2020 del 26/11/2020, il Tribunale di Brescia accoglieva il ricorso presentato da Ri.Ma., disponendo la revoca dell’assegnazione della casa familiare, e rigettava la domanda di Lu.Fr. volta all’aumento dell’assegno divorzile.

Quest’ultima proponeva reclamo contro tale provvedimento, lamentando che il Tribunale non si era pronunciato sulla richiesta di porre a carico esclusivo del padre le spese straordinarie necessarie per il figlio Gi.. Censurava, inoltre, il rigetto della propria domanda riconvenzionale, volta ad ottenere l’aumento dell’assegno divorzile, in conseguenza della revoca dell’assegnazione della casa coniugale.

Costituitosi Ri.Ma., la Corte d’appello emetteva decreto di accoglimento del reclamo e, a modifica delle condizioni di cui alla sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, statuiva come segue:

“d) revoca l’obbligo di Lu.Fr. di contribuire, nella misura del 50% a tutte le spese straordinarie, mediche, scolastiche e ludiche del figlio Gi., divenuto maggiorenne e autosufficiente;

e) onera Ri.Ma. di versare a Lu.Fr. la somma di Euro 1.200 a titolo di contributo di mantenimento a decorrere dalla domanda, somma da rivalutarsi annualmente secondo gli indici Istat;

f) condanna il reclamato al rimborso delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio omissis.”

Avverso tale pronuncia Ri.Ma. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi di impugnazione.

L’intimata si è difesa con controricorso.

Le parti hanno depositato entrambe memoria difensiva.

La revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge costituisce sopravvenienza valutabile ai fini della revisione delle condizioni di divorzio

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente ha formulato i seguenti motivi di ricorso:

“1) Articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 9 della Legge n. 898 del 1970, per avere, il giudice di secondo grado, riconosciuto l’aumento dell’assegno divorzile senza che il richiedente avesse assolto all’onere di fornire la prova del peggioramento della propria situazione economica, e per avere riconosciuto rilevanza, nell’ambito del procedimento di revisione delle condizioni di divorzio, a fatti il cui apprezzamento era già avvenuto nel procedimento di divorzio ai fini della determinazione della spettanza dell’assegno (pagine 6-11).”

“2) Art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.: nullità del Decreto impugnato per carenza e/o difetto di motivazione circa le ragioni dell’aumento dell’assegno divorzile (pagine 11-14).”

“3) Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: Violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c. e dell’art. 337 septies c.c., avuto riguardo alla ritenuta legittimazione passiva di Ri.Ma. in relazione alla domanda svolta da Lu.Fr. per ottenere l’esonero dal versamento del contributo di mantenimento del figlio Gi., maggiorenne e non convivente con alcuno dei genitori. Violazione e falsa applicazione degli artt. 30 Cost. e degli artt. 147 e ss. c.c. avuto riguardo all’obbligo di entrambi i genitori di contribuire nel mantenimento della prole in relazione alle rispettive sostanze (pagine 14-18).”

“4) Art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, avuto riguardo alla decorrenza dell’aumento dell’assegno divorzile (pagine 18-20).”

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Il ricorrente ha dedotto che la Corte d’appello ha aumentato l’assegno divorzile alla ex moglie, considerando le presunte cause della disparità di reddito tra le parti e il presunto contributo della donna alla vita familiare, in base a circostanze che erano già state valutate nel procedimento di divorzio e che non potevano formare oggetto di nuove valutazioni nel procedimento ex art. 9 L. n. 898 del 1970, se non limitatamente ai fatti sopravvenuti, ma nella specie la ex moglie aveva evidenziato, al fine di ottenere l’incremento dell’assegno, solo la perdita della disponibilità della casa coniugale, senza neppure dimostrare le spese per il reperimento di una nuova abitazione, che in effetti al ricorrente non risultavano sostenute perché la donna era andata a vivere gratuitamente in una casa di proprietà del padre.

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2.1. Com’è noto, l’art. 9, comma 1, L. n. 898 del 1970 (nella specie ancora applicabile ratione temporis), stabilisce che “Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondersi ai sensi degli articoli 5 e 6.”

2.2. Questa Corte ha precisato che l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, deve essere operato secondo una valutazione comparativa delle condizioni delle parti, senza che il giudice sia chiamato ad effettuare una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, che è già stata effettuata con la sentenza divorzile (v. da ultimo Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 7666 del 09/03/2022).

Il giudice adito per la revisione delle condizioni di divorzio deve, anzi, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto, provvedendo ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata (v. ancora Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 7666 del 09/03/2022).

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È, tuttavia, evidente che, una volta accertata, in fatto, la sopravvenienza di circostanze potenzialmente idonee ad alterare l’assetto economico stabilito tra gli ex coniugi al momento della pronuncia sulle condizioni di divorzio, il giudice deve procedere alla valutazione, in diritto, dei “giustificati motivi” che ne consentono la revisione sulla base del “diritto vivente”, tenendo cioè conto dei criteri che derivano dall’interpretazione giurisprudenziale delle norme applicabili al momento della decisione (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 1645 del 19/01/2023).

2.3. Nella specie, la Corte territoriale ha accertato la persistenza, nell’attualità, del significativo divario economico tra i coniugi, mediante una valutazione dei redditi e il patrimonio delle parti che ha tenuto della situazione già considerata in sede di divorzio cui ha aggiunto le novità intervenute (ad esempio, la vendita della casa a C da parte della controricorrente e i redditi dichiarati dal ricorrente nel 2019) e ha, poi, ritenuto che l’assegno attribuito nel 2014, secondo i criteri interpretativi in vigore al momento della decisione, fosse destinato a svolgere la funzione assistenziale ed anche compensativo-perequativa. Infine, ha rimarcato quanto segue: “essendo pacifico il raggiungimento dell’autonomia economica del figlio Ma., le risorse economiche del Ri.Ma. sono di fatto aumentate, non dovendo più lo stesso far fronte al pagamento della somma di Euro 800,00 in favore del detto figlio e ben potendo, quindi, corrispondere una somma maggiore in favore della ex moglie.”, aggiungendo che “lo stesso è oggi rientrato nella disponibilità della casa coniugale dalla quale ben potrà conseguire un ulteriore entrata.”

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La Corte d’appello, pur indicando le sopravvenienze rilevanti dopo aver valutato le condizioni economico-patrimoniali delle parti, ha, dunque, deciso secondo diritto sulla revisione dell’assegno.

In effetti, la menzionata Corte ha riscontrato l’esistenza di sopravvenienze rilevanti – in particolare, la cessazione dell’erogazione del contributo al mantenimento del figlio Ma. di Euro 800,00, divenuto economicamente autosufficiente, a carico del Ri.Ma. e l’acquisizione da parte di quest’ultimo della piena disponibilità dell’abitazione familiare di sua proprietà – che hanno determinato un miglioramento delle condizioni del medesimo, il quale si trovava già in una situazione reddituale e patrimoniale notevolmente avvantaggiata rispetto alla ex moglie, sicché, in conformità ai principi sopra enunciati, ha ritenuto doveroso l’aumento dell’assegno divorzile.

2.4. Si deve subito rilevare che la constatazione della prima delle due circostanze appena dedotte, non è oggetto di censura, avendo le parti concordemente dedotto che il figlio Ma. è divenuto economicamente autosufficiente, mentre il figlio Gi. non vive più con la madre ed è mantenuto direttamente dal padre.

2.5. Per quanto riguarda, invece, la revoca dell’assegnazione della casa familiare, occorre compiere alcune precisazioni.

2.5.1. Prima di tutto, si deve rilevare che l’affermazione relativa al trasferimento della controricorrente presso la casa del padre a titolo di comodato, costituisce una deduzione in fatto del ricorrente che, dalla lettura del ricorso per cassazione e anche della sentenza impugnata, non risulta essere stata offerta alla valutazione del giudice nei gradi di merito, né il suo mancato esame è stato in questa sede censurato, sicché si tratta di fatto che si presenta del tutto nuovo e, dunque, insuscettibile di essere valutato.

La revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge costituisce sopravvenienza valutabile ai fini della revisione delle condizioni di divorzio

2.5.2. In via generale, inoltre, la revoca dell’assegnazione dell’abitazione familiare costituisce una sopravvenienza sfavorevole per l’ex coniuge che ne sia stato assegnatario, la quale è suscettibile di essere valutata, ai fini della verifica dei presupposti per la revisione delle condizioni di divorzio ai sensi dell’art. 9, comma 1, L. n. 898 del 1970, tanto più quando si accompagna all’acquisto della disponibilità materiale della stessa da parte dell’altro ex coniuge che ne sia proprietario esclusivo.

È vero, infatti, che la statuizione sull’assegnazione della casa familiare è posta nell’esclusivo interesse del figlio minorenne o maggiorenne ma non ancora autosufficiente economicamente. Tuttavia, a prescindere da tale indiscussa funzione, finalizzata a conservare l’habitat familiare dei figli, non può negarsi che detta assegnazione abbia dei riflessi economici, perché consente al genitore assegnatario di evitare la ricerca di una diversa abitazione che invece deve essere reperita dal genitore che non vive in prevalenza con i figli, anche se è il proprietario esclusivo o il comproprietario dell’abitazione stessa.

Allo stesso modo, la revoca dell’assegnazione della casa familiare costituisce una modifica peggiorativa delle condizioni economiche del genitore che ne fruisce insieme ai figli e una sopravvenienza migliorativa per l’altro che ne sia il proprietario esclusivo, il quale, ad esempio, può andarvi ad abitare o concedere il bene in locazione a terzi o comunque impiegarlo in attività produttive, compiendo, in sintesi, attività suscettibili di valutazione economica che durante l’assegnazione all’altro genitore non erano consentite.

Anche nel valutare l’adozione delle statuizioni conseguenti alla separazione personale tra i coniugi, questa Corte ha più volte attribuito rilievo all’assegnazione della casa familiare, ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore dei figli e del coniuge economicamente più debole, perché, pur essendo finalizzata alla tutela della prole e del suo interesse a permanere nell’ambiente domestico, indubbiamente tale assegnazione costituisce un’utilità suscettibile di apprezzamento economico, precisando che ciò avviene anche quando il coniuge assegnatario dell’immobile ne sia comproprietario, perché il godimento di tale bene non trova fondamento nella comproprietà dello stesso, ma nel provvedimento di assegnazione, opponibile anche ai terzi, che limita la facoltà dell’altro coniuge di disporre della propria quota e si traduce, per esso, in un pregiudizio economico valutabile (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 27599 del 21/09/2022; Cass., Sez. 1, n. 20858/2021; Cass., Sez. 6-1, n. 25420/2015; v. anche Cass., Sez. 1, n. 4203/2006, ove è precisato che il godimento della casa familiare costituisce un valore economico, del quale il giudice deve tener conto ai fini della determinazione dell’assegno dovuto all’altro coniuge per il suo mantenimento o per quello dei figli, che di regola corrisponde al canone ricavabile dalla locazione dell’immobile).

La revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge costituisce sopravvenienza valutabile ai fini della revisione delle condizioni di divorzio

Come sopra evidenziato, le sopravvenienze possono divenire giustificati motivi di revisione o revoca dell’assegno divorzile, secondo i criteri forniti dall’art. 5, comma 6, L. n. 898 del 1970, dovendosi pertanto tenere conto “delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi” e tutti i suddetti elementi vanno valutati “anche in rapporto alla durata del matrimonio”.

In tale quadro la disponibilità dell’abitazione della casa familiare, come pure la perdita della stessa, costituiscono circostanze suscettibili essere valutate perché connotano le condizioni di vita della persona anche se non si trasformano in vero e proprio reddito o non incidono sul suo patrimonio, costituendo comunque un vantaggio suscettibile di assumere volta per volta connotazione economica.

Nel caso di specie, alla perdita del vantaggio derivante dall’assegnazione della casa familiare si è affiancato il vantaggio dell’acquisto della disponibilità del bene da parte dell’ex coniuge proprietario esclusivo, circostanza correttamente considerata dal giudice di merito, insieme all’altro elemento sopra riportato, quale causa dell’aggravamento del divario economico già esistente tra i coniugi.

2.5.3. In conclusione, con specifico riferimento all’incidenza della revoca dell’assegnazione della casa familiare sulla revisione dell’assegno di divorzio ai sensi dell’art. 9 L. n. 898 del 1970, la censura si rivela infondata, dovendosi dare applicazione al seguente principio:

“In tema di revisione delle condizioni di divorzio, costituisce sopravvenienza valutabile, ai fini dell’accertamento dei giustificato motivi per l’aumento dell’assegno divorzile, la revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge, il cui godimento, ancorché funzionale al mantenimento dell’ambiente familiare in favore dei figli, costituisce un valore economico non solo per l’assegnatario, che ne viene privato per effetto della revoca, ma anche per l’altro coniuge, che si avvantaggia per effetto della revoca, potendo andare ad abitare la casa coniugale o concederla in locazione a terzi o comunque impiegarla in attività produttive, compiendo attività suscettibili di valutazione economica che, durante l’assegnazione all’altro coniuge, non erano consentite.”

3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

3.1. Come è noto, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. (introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b, D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. in L. n. 134 del 2012) non consente più l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. “per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ma soltanto “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

La riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v. Cass., Sez. U, n. 8053/2014; conf. da ultimo Cass., Sez. 1, n. 7090/2022).

In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. di nuovo Cass., Sez. U, n. 8053/2014 e Cass., Sez. 1, n. 13248/2020).

A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016; conf. Cass. Sez. 63, n. 22598/2018; Cass., Sez. L, n. 27112/2018; Cass., Sez. 6-L, n. 16611/2018; Cass., Sez. 3, n. 23940/2017).

In particolare, questa Corte ha ritenuto che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice.

Secondo la medesima Corte, inoltre, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento del ragionamento del giudice (v. da ultimo Cass., Sez. 3, n. 27411/2021).

Il giudice deve, infatti, dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o respingere la domanda formulata, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 14762/2019).

3.2. Nella specie, dalla semplice lettura del decreto impugnato, si evincono con chiarezza le ragioni della decisione. La Corte d’appello ha, infatti, evidenziato il divario economico esistente tra le parti, per poi rimarcare che “essendo pacifico il raggiungimento dell’autonomia economica del figlio Ma., le risorse economiche del Ri.Ma. sono di fatto aumentate, non dovendo più lo stesso far fronte al pagamento della somma di Euro 800,00 in favore del detto figlio e ben potendo, quindi, corrispondere una somma maggiore in favore della ex moglie.”, aggiungendo che “lo stesso è oggi rientrato nella disponibilità della casa coniugale dalla quale ben potrà conseguire un ulteriore entrata.”.

Il motivo deve pertanto essere respinto.

4. Il terzo motivo è inammissibile.

Il ricorrente ha affermato che la Corte d’appello ha errato nel ritenere estinto l’obbligo della madre di concorrere nel mantenimento del figlio, senza avere previamente verificato in contraddittorio con quest’ultimo, non più convivente con i genitori, il comprovato raggiungimento di un’effettiva e stabile indipendenza economica o la dimostrata colpevole inezia dello stesso.

La parte non risulta avere, tuttavia, colto la ratio della decisione impugnata, perché il giudice del reclamo non ha effettuato alcun accertamento in ordine all’esistenza o meno dell’obbligo della Lu.Fr. di mantenere il figlio Gi., ma ha semplicemente revocato la statuizione contenuta nella sentenza di divorzio, riguardante il rapporto interno tra i genitori, che prevedeva l’obbligo della Lu.Fr. di rimborsare al Ri.Ma. il 50% delle spese straordinarie relative al figlio.

Ovviamente, una volta cessata la coabitazione con i genitori, eventuali richieste di mantenimento per le proprie spese, ordinarie o straordinarie, o per la corresponsione degli alimenti, in presenza dei presupposti di legge, potranno, e dovranno, essere formulate direttamente dal figlio nei confronti di ciascuno degli ascendenti.

5. Anche il quarto motivo è infondato.

5.1. Come evidenziato nell’esaminare il secondo motivo di ricorso, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. consente l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

La norma si riferisce al mancato esame di un fatto decisivo, che è stato offerto al contraddittorio delle parti, inteso come fatto storico, accadimento naturalistico.

Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una questione o un punto, ma un vero e proprio evento, un preciso accadimento, una determinata circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., Sez. 2, n. 26274/2018).

Non integrano, viceversa, fatti, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass., Sez. 2, n. 14802/2017; Cass., Sez. 5, n. 21152/2014), le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, né i motivi di appello e neppure le singole questioni decise dal giudice di merito o i punti della sentenza (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016).

Neppure possono considerarsi fatti i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del giudizio (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 10525 del 31/03/2022).

Ovviamente, i fatti il cui omesso esame integra il menzionato vizio della sentenza devono essere “decisivi” e tale caratteristica deve essere, a pena di inammissibilità del motivo, chiaramente allegata dal ricorrente, che è tenuto a rappresentare non solo quale sia il fatto di cui sia stato omesso l’esame, ma anche il rapporto di derivazione diretta tra l’omesso esame e la decisione, a lui sfavorevole, della controversia (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 29954 del 13/10/2022).

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5.2. Nel caso di specie, il ricorrente ha dedotto che il giudice di merito avrebbe dovuto tenere conto del fatto che le parti avevano concordato proprio nel corso del giudizio di primo grado che la controricorrente avrebbe potuto continuare a godere della casa familiare fino al 30/04/2021 (v. verbale d’udienza del 14/10/2020 agli atti), circostanza che, se valutata, avrebbe determinato una diversa statuizione sulla decorrenza dell’aumento dell’assegno divorzile, che invece la Corte d’appello ha fatto risalire alla data della domanda giudiziale.

Come sopra evidenziato, tuttavia, non risulta che la Corte di appello abbia fondato l’aumento dell’assegno divorzile esclusivamente sulla circostanza del rilascio della casa familiare, come se fosse una conseguenza automatica della stessa, ma piuttosto ha ritenuto che tale evenienza, insieme ad altre (e in particolare la cessazione del pagamento del contributo al mantenimento del figlio Ma.), giustificavano la revisione dell’assegno nel senso indicato.

La circostanza dedotta, dunque, non risulta decisiva.

6. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

7. La statuizione sulle spese segue la soccombenza.

8. In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

9. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

La revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge costituisce sopravvenienza valutabile ai fini della revisione delle condizioni di divorzio

P.Q.M.

La Corte

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla controricorrente, che liquida in Euro 4.000,00 per compenso, oltre Euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge;

dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto;

dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 27 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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