Vendita di immobili destinati ad abitazione e la mancanza del certificato di abitabilità

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|5 marzo 2024| n. 5963.

Vendita di immobili destinati ad abitazione e la mancanza del certificato di abitabilità

In tema di vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancanza del certificato di abitabilità configura alternativamente l’ipotesi di vendita di “aliud pro alio” qualora le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili, l’ipotesi del vizio contrattuale, sub specie di mancanza di qualità essenziali, qualora le difformità riscontrate siano sanabili, ovvero l’ipotesi dell’inadempimento non grave, fonte di esclusiva responsabilità risarcitoria del venditore ma non di risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la mancanza della certificazione sia ascrivibile a semplice ritardo nella conclusione della relativa pratica amministrativa.

 

Ordinanza|5 marzo 2024| n. 5963. Vendita di immobili destinati ad abitazione e la mancanza del certificato di abitabilità

Data udienza 22 febbraio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Contratti – Vendita – Obbligazioni del venditore – Consegna della cosa -Mancanza del certificato di abitabilità – Rimedi impugnatori – Presupposti rispettivi – Individuazione – Fattispecie relativa a contratto preliminare di compravendita immobiliare

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 30480/2020) proposto da:

Sc.St. (…), rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dagli Avv.ti Gi.Be. e Fr.Bo., elettivamente domiciliata in Roma, (…), presso lo studio dell’Avv. An.Ma.;

– ricorrente –

contro

Sc.An. (…), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. Ma.Da., elettivamente domiciliato in Roma, (…), presso lo studio dell’Avv. Fe.De.;

e

Agenzia CASTELLO di To.Pa. (P.IVA: 03009090246), già Agenzia immobiliare Re/(…), in persona del suo titolare To.Pa. (…), rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dagli Avv.ti Fe.Ca. e Fa.Se., elettivamente domiciliata in Roma, (…), presso lo studio dell’Avv. Fe.Sc.;

nonché

(…) (C.F.: …), già (…), in persona del suo procuratore speciale Paolo Salomone, in forza di procura speciale del 3 dicembre 2020, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. Fr.Sa., elettivamente domiciliato in Roma, (…), presso lo studio dell’Avv. Ma.Pa.;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2375/2020, pubblicata il 15 settembre 2020, notificata a mezzo PEC il 25 settembre 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 febbraio 2024 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano;

lette le memorie illustrative depositate nell’interesse di Sc.An. e dell’Agenzia Castello di To.Pa., ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.

Vendita di immobili destinati ad abitazione e la mancanza del certificato di abitabilità

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 24 maggio 2004, Sc.St. conveniva, davanti al Tribunale di Vicenza, Sc.An. e l’Agenzia immobiliare Re/(…), per sentire accertare l’inadempimento del promittente venditore Sc.An., con la sua condanna alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria percepita, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, nonché per sentire dichiarare la responsabilità del mediatore per omessa comunicazione di circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, influenti sulla conclusione del definitivo, con la sua conseguente condanna al risarcimento dei danni patrimoniali per le spese sostenute, pari ad euro 1.484,33, oltre interessi legali dal 27 giugno 2003 e rivalutazione monetaria sino al saldo.

In particolare, l’attrice esponeva: che aveva sottoscritto in data 16 aprile 2003 una proposta irrevocabile d’acquisto di un appartamento sito in Vicenza, (…), promesso in vendita dallo Sc.An. al prezzo di euro 81.000,00, per il tramite dell’Agenzia immobiliare Re/(…); che aveva versato allo Sc.An., al momento della sottoscrizione della proposta, la somma di euro 8.000,00, a titolo di caparra confirmatoria; che il promittente alienante aveva dichiarato la conformità dell’immobile alla normativa edilizia e urbanistica; che aveva richiesto all’Agenzia immobiliare, in vista della stipulazione del rogito definitivo, la consegna dei documenti riguardanti l’appartamento e, in specie, del certificato di abitabilità, carteggio mai consegnato; che aveva appreso presso il Comune di Vicenza della mancanza del certificato di abitabilità e, quindi, con raccomandata a.r. del 27 giugno 2003, aveva comunicato allo Sc.An. e all’Agenzia immobiliare la volontà di recedere dal contratto; che solo in data 14 luglio 2003 lo Sc.An. aveva richiesto il rilascio del certificato di abitabilità al Comune di Vicenza, ottenendolo nel successivo mese di novembre.

Si costituiva in giudizio Sc.An., il quale contestava i fatti addotti a fondamento della domanda avversaria spiegata e, in via riconvenzionale, chiedeva che fosse accertato l’inadempimento contrattuale della promissaria acquirente, con la conseguente dichiarazione della legittimità del recesso da questi esercitato con raccomandata a.r. del 20 dicembre 2003 – in ragione del rifiuto opposto dalla Sc.St. alla stipulazione del definitivo dopo il rilascio del certificato di abitabilità – e del suo diritto a trattenere la caparra confirmatoria incassata.

Si costituiva altresì in giudizio l’Agenzia immobiliare Re/(…), la quale – in via preliminare – chiedeva di essere autorizzata alla chiamata in causa in manleva della compagnia assicuratrice (…) per l’ipotesi di accoglimento delle domande attoree e – nel merito – instava per il rigetto delle domande svolte dall’attrice e, in subordine, per la condanna dell’assicurazione terza chiamata a tenerla indenne da quanto avesse dovuto versare, a titolo risarcitorio, in favore dell’attrice. In via riconvenzionale, chiedeva che la Sc.St. fosse condannata al pagamento della somma di euro 2.916,00, a titolo di provvigione, oltre interessi legali.

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All’esito della chiamata in causa, si costituiva in giudizio anche la (…) S.A. – N.V., la quale concludeva per l’inoperatività della garanzia e la non spettanza dell’indennizzo, in ragione dell’inadempimento dell’assicurata agli obblighi di polizza. Nel merito, chiedeva il rigetto delle domande svolte dall’attrice e, in subordine, instava per la riduzione delle pretese attoree.

Nel corso del giudizio erano assunte le prove orali ammesse.

Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1765/2014, depositata il 19 giugno 2014: A) dichiarava l’inadempimento del promittente venditore nel rilascio del certificato di abitabilità e, per l’effetto, accertava la legittimità del recesso esercitato dalla promissaria acquirente e condannava Sc.An. alla restituzione, in favore di Sc.St., della somma di euro 16.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria ricevuta, oltre interessi legali dal 27 marzo 2003 al saldo; B) accertava, inoltre, l’inadempimento del mediatore e, per l’effetto, condannava l’Agenzia immobiliare Re/(…) al pagamento, in favore di Sc.St., della somma di euro 1.484,33, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, a titolo di risarcimento danni; C) rigettava le ulteriori domande riconvenzionali proposte.

2. – Con atto di citazione notificato il 6 febbraio 2015, proponeva appello avverso la sentenza di primo grado l’Agenzia immobiliare Re/(…), la quale lamentava: 1) l’erronea statuizione in ordine alla ravvisata responsabilità per difetto informativo dell’Agenzia immobiliare; 2) l’assenza di alcun nesso eziologico tra i danni lamentati e la condotta dell’Agenzia immobiliare nonché l’omessa precisazione delle voci di danno riconosciute; 3) la carenza di motivazione sul rigetto della domanda dell’Agenzia immobiliare diretta ad ottenere il pagamento della provvigione; 4) l’erronea esclusione della copertura assicurativa del terzo chiamato.

Si costituiva nel giudizio di impugnazione Sc.St., la quale concludeva per l’inammissibilità o il rigetto del gravame e, in via incidentale, chiedeva che la pronuncia impugnata fosse riformata nella parte in cui non era stato riconosciuto in suo favore, a titolo risarcitorio, a carico dell’Agenzia immobiliare, l’ulteriore importo di euro 950,00, relativo alla parcella emessa dal suo legale per l’assistenza fornitale nella pratica.

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Si costituiva altresì nel giudizio d’appello Sc.An., il quale chiedeva che l’appello spiegato fosse respinto e, in via incidentale, eccepiva: 1) l’erronea statuizione in ordine all’inadempimento del promittente alienante, atteso che i documenti relativi all’uso della cosa venduta avrebbero dovuto essere consegnati all’acquirente solo alla data della stipula del definitivo nonché per la sussistenza dei requisiti di agibilità/abitabilità sin dall’anno 1985, senza alcuna preclusione della commerciabilità dell’immobile; 2) l’erronea affermazione della gravità dell’inadempimento del promittente alienante, atteso che il certificato di abitabilità era stato rapidamente ottenuto e avrebbe consentito la stipula del definitivo, con la relativa consegna; 3) l’erronea motivazione in ordine all’identificazione del bene, che avrebbe dovuto essere effettuata con riferimento non già al numero civico ma ai dati catastali; 4) l’erronea motivazione circa la non surrogabilità della mancanza del certificato di abitabilità con la certificazione del rilascio di una concessione in sanatoria, atta ad escludere abusi non sanati; 5) l’erronea valutazione della gravità dell’inadempimento del promittente venditore, ai fini dell’accertamento della legittimità del recesso comunicato dalla promissaria acquirente il 27 giugno 2003, stante che la gravità dell’inadempimento, ai fini della legittimità del recesso, doveva essere ascritta, invece, alla condotta della promissaria acquirente, con il conseguente diritto a trattenere la caparra confirmatoria ricevuta.

Si costituiva, in ultimo, nel giudizio d’appello l'(…), già (…) S.A. – N.V., la quale chiedeva il rigetto del motivo di appello principale articolato nei suoi confronti dall’Agenzia immobiliare.

Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe, in accoglimento degli appelli proposti dall’Agenzia immobiliare e da Sc.An., in riforma della sentenza impugnata: A) rigettava tutte le domande spiegate da Sc.St. verso il promittente alienante e il mediatore; B) accertava la legittimità del recesso esercitato dal promittente alienante con la lettera raccomandata del 20 dicembre 2003 e, per l’effetto, dichiarava il diritto del medesimo a trattenere definitivamente la caparra confirmatoria ricevuta; C) condannava Sc.St. alla restituzione, in favore di Sc.An., della somma percepita in attuazione della sentenza appellata; D) condannava Sc.St. al pagamento, in favore dell’Agenzia immobiliare Re/(…), della somma di euro 2.916,00, a titolo di provvigione, oltre interessi legali; E) rigettava l’appello incidentale proposto da Sc.St..

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A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che, come affermato dal notaio incaricato della stipula del rogito, la mancanza del certificato di abitabilità non impediva la conclusione del definitivo, essendo l’immobile commerciabile sulla base della documentazione dell’ufficio tecnico comunale, così come era stato comunicato dallo stesso notaio alla promissaria acquirente; b) che, siccome il certificato di abitabilità non era in alcun modo necessario ai fini della commerciabilità del cespite, di certo la sua omessa consegna non poteva configurare inadempimento di gravità tale da legittimare il recesso; c) che il predetto certificato era a disposizione sin dall’8 agosto 2003, all’esito della richiesta avanzata dal promittente venditore del 14 luglio 2003, sicché, essendo stata differita la data del rogito, inizialmente fissata al 20 giugno 2003, non poteva affermarsi che il contratto definitivo non potesse essere concluso per inadempimento dello Sc.An., atteso che, seppure tale certificato non fosse necessario per il trasferimento del bene, comunque questi lo aveva procurato in brevissimo tempo; d) che il certificato di abitabilità aveva la funzione di accertare che l’immobile fosse stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche era oggetto della specifica funzione del titolo edilizio; e) che, in conseguenza, doveva essere esclusa la gravità dell’inadempimento del promittente alienante e sussisteva, invece, l’inadempimento grave della promissaria acquirente, la quale, sebbene l’immobile fosse commerciabile e malgrado la data per la stipula del definitivo fosse stata differita per ragioni non imputabili allo Sc.An., era receduta dal preliminare per mancanza di detto certificato e per l’asserita impossibilità di ottenerlo, quando – per converso – lo Sc.An. bene avrebbe potuto ottenerlo, e di fatto lo aveva ottenuto, anteriormente allo spirare del termine previsto per la stipula del definitivo; f) che il fatto che la Sc.St. volesse sciogliersi dal rapporto per ragioni diverse da quelle fatte valere in giudizio era comprovato dalla condotta ostruzionistica dalla stessa tenuta, una volta venuta a conoscenza del rilascio del certificato di abitabilità, avendo la stessa avviato un procedimento amministrativo per ottenerne l’annullamento, che però si era concluso il 5 novembre 2003 in favore del promittente venditore;

g) che, pertanto, la Sc.St. era inadempiente per non aver dato corso alla stipula del contratto definitivo all’esito dell’intimazione inviata dallo Sc.An. l’8 luglio 2003, affinché fosse fissata una data per la stipula del rogito, e della diffida ad adempiere del 24 novembre 2003, con il successivo legittimo esercizio del diritto potestativo di recesso dal contratto del 20 dicembre 2003 e con il conseguente diritto a trattenere la caparra confirmatoria ricevuta;

h) che nessuna responsabilità poteva essere ravvisata in capo all’Agenzia immobiliare, poiché l’affare era sicuro, il bene era commerciabile e il certificato di agibilità era stato rilasciato, ancorché non necessario per il rogito notarile; i) che, invece, doveva essere accolta la pretesa del mediatore di ottenere la condanna della promissaria acquirente al pagamento, in suo favore, della provvigione per l’importo di euro 2.916,00, in ragione della conclusione dell’affare per effetto della stipula del preliminare tramite l’opera del mediatore.

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3. – Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, Sc.St..

Hanno resistito, con separati controricorsi, gli intimati Sc.An., l’Agenzia immobiliare Castello di To.Pa. e la (…)

4. – Sc.An. e l’Agenzia immobiliare Castello di To.Pa. hanno presentato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1385, secondo comma, e 1477 c.c., per avere la Corte di merito accertato l’illegittimità del recesso esercitato dalla promissaria acquirente per mancanza del certificato di abitabilità, in ragione della ritenuta non necessità di tale certificato ai fini della stipula del rogito notarile, che non avrebbe precluso la commerciabilità del cespite, come comunicato dal notaio incaricato alla stessa promissaria acquirente, sicché il suo mancato rilascio non avrebbe integrato un inadempimento grave.

Al riguardo, l’istante obietta che l’abitabilità dell’immobile, della cui dimostrazione sarebbe stato onerato il venditore, avrebbe costituito un requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, tale da incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità.

Aggiunge che dalle indagini svolte presso il Comune di Vicenza era emerso che il mancato rilascio del certificato di abitabilità sarebbe dipeso dalla realizzazione di vani aventi altezze minime non accettabili a fini abitativi, e tanto nonostante il suo successivo rilascio.

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1.1. – Il motivo è infondato.

E ciò perché, per un verso, l’assenza del certificato di abitabilità (ora certificato di agibilità) non rendeva incommerciabile il bene e, per altro verso, la sanabilità del vizio da cui dipendeva la mancanza di tale certificato precludeva la risoluzione del preliminare per grave inadempimento e, quindi, l’esercizio legittimo del diritto potestativo di recesso, che postula l’integrazione di un inadempimento idoneo ad ottenere, in alternativa, la risoluzione negoziale.

In primis, deve escludersi che la carenza sostanziale o formale dell’agibilità infici la validità “strutturale” del contratto traslativo per illiceità dell’oggetto.

Ne discende che il rilievo in forza del quale l’abitazione sia priva dell’agibilità non determina comunque la nullità del contratto per la sua incommerciabilità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23604 del 02/08/2023; Sez. 2, Sentenza n. 16216 del 16/06/2008; Sez. 2, Sentenza n. 24957 del 29/11/2007; Sez. 2, Sentenza n. 3687 del 29/03/1995; Sez. 2, Sentenza n. 8199 del 11/08/1990).

Non è dato altresì rintracciare una norma imperativa, che contempli l’obbligo di un preventivo rilascio del certificato in questione e, dunque, neppure è configurabile una nullità “virtuale”.

Né si può escludere che le parti, nella loro autonomia, abbiano un meritevole interesse a contrattare ex art. 1322 c.c., pur in assenza del certificato.

Sotto il secondo profilo accennato, in tema di vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancanza del certificato di abitabilità configura alternativamente l’ipotesi di vendita di aliud pro alio, qualora le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili, l’ipotesi del vizio contrattuale, sub specie di mancanza di qualità essenziali, qualora le difformità riscontrate siano sanabili, ovvero l’ipotesi dell’inadempimento non grave, fonte di esclusiva responsabilità risarcitoria del venditore ma non di risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la mancanza della certificazione sia ascrivibile a semplice ritardo nella conclusione della relativa pratica amministrativa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23605 del 02/08/2023; Sez. 2, Sentenza n. 23604 del 02/08/2023).

Con l’effetto che, in applicazione di tale criterio distintivo, solo allorché l’immobile presenti “insanabili” violazioni di disposizioni urbanistiche, incidenti eziologicamente sulle condizioni di igiene, salubrità e sicurezza, non essendo il cespite oggettivamente in grado di soddisfare le esigenze concrete di sua utilizzazione, diretta o indiretta, ad opera del compratore, si realizza un inadempimento qualificato che può dar luogo alla risoluzione del contratto, siccome conseguente alla vendita di aliud pro alio datum (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14900 del 29/05/2023; Sez. 2, Sentenza n. 39369 del 10/12/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 4826 del 19/02/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 30950 del 27/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 3851 del 15/02/2008; Sez. 2, Sentenza n. 17140 del 27/07/2006; Sez. 2, Sentenza n. 1391 del 11/02/1998).

Tale insanabilità nella fattispecie è stata esclusa proprio in ragione dell’attivazione del procedimento amministrativo volto al rilascio del certificato, come da istanza del 14 luglio 2003, e del successivo effettivo rilascio del certificato medesimo.

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D’altronde, per quanto anzidetto, il difetto della consegna del certificato – quando sia appurata la ricorrenza delle condizioni sostanziali che ne avrebbero giustificato il rilascio – non può dare luogo alla risoluzione del contratto, in quanto siffatta deficienza attiene ad un aspetto meramente formale e non influisce, per definizione, sulla funzione economico-sociale della res alienata, la cui identità sul piano statico e dinamico corrisponde esattamente all’oggetto della pattuizione.

Pertanto, qualora manchi la documentazione amministrativa, ma siano presenti, in concreto, i requisiti richiesti dalla legge per l’agibilità, non si può attivare il rimedio della risoluzione, presupponendo il ricorso a detto rimedio la verifica, sul piano oggettivo e subiettivo, dell’importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7187 del 04/03/2022; Sez. 6-3, Ordinanza n. 8220 del 24/03/2021; Sez. 2, Sentenza n. 15052 del 11/06/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 4022 del 20/02/2018; Sez. 2, Sentenza n. 10995 del 27/05/2015; Sez. 3, Sentenza n. 22346 del 22/10/2014; Sez. 2, Sentenza n. 7281 del 27/03/2014).

Può invece essere invocata, a fronte di detta carenza documentale, solo l’azione di esatto adempimento, sempreché il promissario acquirente non ne fosse a conoscenza e, di conseguenza, non l’abbia espressamente accettata (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1897 del 23/01/2023; Sez. 2, Sentenza n. 17123 del 13/08/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 20426 del 02/08/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 30950 del 27/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 25427 del 12/11/2013; Sez. 2, Sentenza n. 259 del 08/01/2013; Sez. 2, Sentenza n. 16024 del 14/11/2002; Sez. 2, Sentenza n. 3687 del 29/03/1995; Sez. 2, Sentenza n. 10616 del 05/11/1990; Sez. 2, Sentenza n. 8450 del 20/08/1990; Sez. 2, Sentenza n. 1991 del 25/02/1987; Sez. 2, Sentenza n. 6403 del 06/12/1984; Sez. 2, Sentenza n. 201 del 17/01/1978; Sez. 1, Sentenza n. 2050 del 22/06/1972; Sez. 3, Sentenza n. 581 del 06/03/1970).

E in questa logica il promissario acquirente può rifiutare la stipula del definitivo fino al momento in cui non riceva la consegna di tale atto, salvo che non abbia espressamente rinunciato al requisito dell’agibilità o comunque abbia esonerato il promittente venditore dall’obbligo di ottenere la relativa licenza (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24317 del 05/08/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 19749 del 22/09/2020; Sez. 6-2, Ordinanza n. 12324 del 23/06/2020; Sez. 6-2, Ordinanza n. 10665 del 05/06/2020; Sez. 2, Sentenza n. 2196 del 30/01/2020; Sez. 2, Sentenza n. 10820 del 11/05/2009; Sez. 2, Sentenza n. 15969 del 19/12/2000).

Ma, per quanto anzidetto, non potrà pretendere la risoluzione per inadempimento (o, in alternativa, esercitare il recesso), rispetto a vizi sanabili e, nella fattispecie, sanati.

2. – Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 1453, 1455 e 1460 c.c. nonché la violazione degli artt. 1175, 1375 e 1385 c.c., per avere la Corte territoriale effettuato un’erronea e ingiusta comparazione tra i recessi esercitati dalle parti e in ordine alla gravità degli inadempimenti dedotti, reputando contrario a buona fede e correttezza il recesso esercitato dalla promissaria acquirente.

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Osserva l’istante che il successivo rilascio del certificato di abitabilità non avrebbe potuto delegittimare e superare il recesso già esercitato, a fronte della sua mancanza nel momento in cui il diritto potestativo era stato fatto valere dalla promissaria acquirente, sicché la netta scissione temporale tra il recesso esercitato dalla promissaria acquirente per inesistenza del certificato di abitabilità e la successiva intimazione ad adempiere da parte del promittente venditore, e il conseguente esercizio del recesso a cura di quest’ultimo, non avrebbe potuto risolversi in un’affermazione di malafede o scorrettezza della parte promissaria acquirente, per prima receduta.

Deduce, ancora, la ricorrente che l’immobile non sarebbe stato utilizzabile come abitazione nel momento in cui il recesso è stato esercitato, il che avrebbe giustificato la legittimità del suo esercizio e la conseguente pretesa di ottenere il doppio della caparra confirmatoria versata.

2.1.- Il motivo è infondato.

Per quanto anzidetto scrutinando il primo motivo, le ragioni che hanno indotto a ritenere che il recesso esercitato dalla promissaria acquirente per la mancanza del certificato di abitabilità non fosse legittimo non hanno operato sul piano cronologico, bensì sul piano funzionale.

L’inadempimento sotteso all’esercizio del diritto potestativo di recesso ex art. 1385, secondo comma, c.c. è stato ritenuto non grave proprio alla stregua della sua non incidenza qualitativa sulla commerciabilità del cespite e della reversibilità degli ostacoli frapposti al suo rilascio, come testimoniato dalla successiva emissione del certificato (con la comprova della correlata sanabilità del vizio).

Tale sanabilità esclude, appunto, la sussistenza delle condizioni per ottenere la risoluzione (e, quindi, per esercitare il recesso).

3.- Con il terzo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 1453, 1755 e 1759 c.c., per avere la Corte distrettuale escluso l’integrazione dell’inadempimento in capo al mediatore, negando il risarcimento dei danni invocati dalla promissaria acquirente e riconoscendo all’agenzia immobiliare il diritto al conseguimento della provvigione per l’attività prestata.

Assume l’istante che l’esclusione della responsabilità del mediatore sarebbe avvenuta sulla scorta del richiamo alla sicurezza dell’affare, alla commerciabilità del bene e al successivo rilascio del certificato di agibilità, ancorché non necessario per il rogito notarile, il che non avrebbe comunque rimosso l’inadempimento dell’agenzia immobiliare, a fronte della richiesta formulata dalla promissaria acquirente, all’obbligo di consegnare, dopo la stipula del preliminare, i documenti necessari, tra cui anche il certificato di abitabilità, o di renderla edotta della sua assenza.

Sarebbe stato, dunque, obbligo del mediatore informare la promissaria acquirente, secondo il criterio della media diligenza professionale, delle circostanze note o comunque conoscibili, come quelle attinenti all’assenza del certificato di abitabilità.

3.1. – Il motivo è infondato.

Si premette che l’art. 1759, primo comma, c.c. – che impone al mediatore l’obbligo di comunicare alle parti le circostanze a lui note circa la valutazione e sicurezza dell’affare che possano influire sulla sua conclusione – deve essere letto in coordinazione con gli artt. 1175 e 1176 dello stesso codice, nonché con la disciplina dettata dalla legge n. 39/1989 – che ha posto in risalto la natura professionale dell’attività del mediatore, subordinandone l’esercizio all’iscrizione in un apposito ruolo, che richiede determinati requisiti di cultura e competenza (art. 2), condizionando all’iscrizione stessa la spettanza del compenso (art. 6).

Ne consegue che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell’adempimento della sua prestazione (che si dipana in ambito contrattuale), specifiche indagini di natura tecnico-giuridica (come l’accertamento della libertà dell’immobile oggetto del trasferimento, mediante le visure catastali ed ipotecarie) per l’individuazione di circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell’affare a lui non note, è pur tuttavia tenuto ad un obbligo di corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale, il quale comprende, in positivo, l’obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, nonché, in negativo, il divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su circostanze delle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle.

Pertanto, qualora il mediatore dia informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi inesatte e non veritiere, ovvero ometta di comunicare circostanze da lui non conosciute ma conoscibili con l’ordinaria diligenza professionale, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l’effetto, dal cliente (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 34503 del 11/12/2023; Sez. 2, Sentenza n. 18140 del 16/09/2015; Sez. 3, Sentenza n. 16623 del 16/07/2010; Sez. 2, Sentenza n. 5777 del 15/03/2006; Sez. 2, Sentenza n. 13767 del 22/07/2004; Sez. 3, Sentenza n. 16009 del 24/10/2003; Sez. 3, Sentenza n. 6389 del 08/05/2001; Sez. 3, Sentenza n. 5107 del 26/05/1999).

Ancora, è necessario precisare che il certificato di agibilità e il permesso di costruire sono collegati a presupposti diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre il titolo edilizio è finalizzato all’accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche (Cons. Stato, Sez. VI, Sentenza n. 10340 del 23/11/2022; Sez. VI, Sentenza n. 6780 del 02/08/2022; Sez. VI, Sentenza n. 3666 del 10/05/2021; Sez. VI, Sentenza n. 8180 del 29/11/2019), sicché l’omessa informazione contestata non attiene all’esistenza di irregolarità urbanistiche o edilizie non ancora sanate relative all’immobile oggetto della promessa di vendita.

In ultimo, occorre rilevare sul piano fattuale (per quanto emerge pacificamente dalla descrizione innanzi esposta) che, all’esito della richiesta del certificato di abitabilità, avanzata sia verso il promittente alienante sia nei confronti del mediatore, lo Sc.An. si è attivato per ottenerlo, come da richiesta del 14 luglio 2003 (e lo ha effettivamente ottenuto nel novembre 2003).

Ora – sebbene, in astratto, la mancata informazione sulla carenza del certificato di abitabilità possa incidere sulla responsabilità del mediatore (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8374 del 07/04/2009; Sez. 3, Sentenza n. 6219 del 03/06/1993) e sebbene l’azione di risoluzione per inadempimento del promittente alienante e l’azione di responsabilità contro il mediatore per mancata comunicazione alle parti di circostanze a lui note relative alla valutazione ed alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla sua conclusione, configurino istituti autonomi privi di qualsiasi relazione di continenza, dipendenza o necessaria concorrenza, concernendo rapporti ed obblighi contrattuali patologicamente diversi e non interscambiabili (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5183 del 21/09/1988) -, nondimeno, nella fattispecie, proprio per effetto del successivo rilascio di tale certificato in tempo utile per la stipulazione del definitivo, il deficit di informazione non ha influito, in concreto, sulla conclusione dell’affare, né sotto il profilo qualitativo (ossia sull’induzione a non perfezionare l’affare ovvero a concludere il contratto con diverse condizioni e clausole), né sotto l’aspetto quantitativo (ossia sulla determinazione di un diverso corrispettivo).

E tanto perché l’omissione (recte la mancata conoscenza e la mancata informazione dell’assenza del certificato di abitabilità) non ha avuto, per le ragioni esplicitate dalla sentenza impugnata, alcuna rilevanza causale sulla conclusione del preliminare secondo le condizioni ivi pattuite, in base ad una prognosi postuma.

Vendita di immobili destinati ad abitazione e la mancanza del certificato di abitabilità

Con il precipitato che la responsabilità risarcitoria del mediatore reticente o mendace, che deve essere correlata al minore vantaggio o al maggiore aggravio patrimoniale derivanti dalle determinazioni negoziali della parte che siano state effetto del deficit informativo subito, non ha provocato (sul piano eziologico) alcuna conseguenza lesiva, pur avendo riguardo al momento stesso della conclusione dell’affare (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11371 del 02/05/2023).

4. – In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.

Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione delle spese di lite, che liquida – in favore del controricorrente Sc.An. – in complessivi euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge, e – in favore di ciascuno degli ulteriori controricorrenti – in complessivi euro 1.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 22 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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