Usucapione ed il possesso del bene anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 aprile 2024| n. 9566.

Usucapione ed il possesso del bene anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo

Ai fini dell’usucapione, il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo, in quanto, anche dopo l’invalido trasferimento della proprietà, l’accipiens può possedere il bene animo domini; ed anzi, proprio la circostanza che la traditio venga eseguita in virtù di un contratto che, pur se invalido, è comunque volto a trasferire la proprietà del bene, costituisce elemento idoneo a far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra l’accipiens e la res tradita sia sorretto dall’animus rem sibi habendi.

Ordinanza|9 aprile 2024| n. 9566. Usucapione ed il possesso del bene anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo

Data udienza 1 marzo 2024

Integrale

Tag/parola chiave: USUCAPIONE – Possesso del bene – Acquisito da un trasferimento invalido – Necessità del possesso animo domini – Sussiste. (Cc, articoli 1141, 1158, 1159-bis, 2697, 2721)
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REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dai Signori Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere Rel.

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10648/2020 R.G. proposto da:

RU.AN., rappresentata e difesa dall’avvocato CI. MA. SA. (omissis)

-ricorrente-

contro

IA.GI., rappresentato e difeso dall’avvocato GI. TA. GI. (omissis)

-controricorrente-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 798/2019 depositata il 19/12/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1° marzo 2024 dal Consigliere Francesco Maria CIRILLO.

Usucapione ed il possesso del bene anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso alla Sezione specializzata agraria del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto Ia.Gi. convenne in giudizio Fa.Fr., chiedendo che fosse dichiarato risolto il contratto di colonia parziaria intercorso tra il convenuto e la dante causa dell’attore, Ci.La., con condanna del Fa.Fr. al rilascio del fondo.

A sostegno della domanda il ricorrente espose, tra l’altro, di essere proprietario, quale erede della Ci.La., di un terreno agricolo sito nel Comune di M, che dagli anni 70 del secolo scorso era stato concesso in colonia parziaria dalla Ci.La. al Fa.Fr. Aggiunse che, venuta a mancare la Ci.La. e cessato per legge il rapporto contrattuale, questo era proseguito in via di fatto con l’attore, il quale intendeva però rientrare nel possesso del fondo.

Si costituì in giudizio il Fa.Fr., chiedendo il rigetto della domanda.

Il convenuto rilevò, innanzitutto, che il fondo oggetto di causa, corrispondente alla particella catastale n. 122, faceva parte di un fondo ben più ampio nel quale egli aveva svolto, effettivamente, l’attività di colono. Il fondo oggetto di causa era, rispetto a quello più grande, pari ad un “fazzoletto” di terreno, che la Ci.La. aveva deciso di donargli informalmente, agli inizi degli anni 90 del secolo scorso, nel momento in cui la proprietaria aveva frazionato il terreno per poi venderlo. Aggiunse, pertanto, di aver posseduto il fondo in questione uti dominus almeno a partire dal 1990 e avanzò domanda riconvenzionale di riconoscimento, in suo favore, della maturata usucapione ai sensi degli artt. 1158 o 1159-bis cod. civ., specificando che il fondo in contestazione gli era stato donato dalla Ci.La., con atto informale. Chiese, in subordine, che l’attore fosse condannato al pagamento delle migliorie apportate al fondo.

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Il Tribunale rigettò le domande riconvenzionali del Fa.Fr., dichiarò risolto per legge il contratto di colonia parziaria e condannò il convenuto al rilascio del fondo per il termine dell’annata agraria e al pagamento delle spese di lite.

Numero ai raccolta generale

2. La sentenza è stata impugnata in via principale dal Fa.Fr. in via incidentale dallo Ia.Gi.

Nel corso del giudizio, venuto a mancare il Fa.Fr. ed avendo i suoi due figli rinunciato all’eredità, si costituì in luogo del defunto la moglie Ru.An., quale unica erede, insistendo nella linea difensiva tenuta dal marito.

La Corte d’appello di Messina, Sezione specializzata agraria, con sentenza del 19 dicembre 2019, ha rigettato entrambe le impugnazioni, ha confermato la sentenza del Tribunale e ha compensato le ulteriori spese del grado.

2.1. La Corte territoriale ha esaminato per primo l’appello principale.

Ha osservato, riguardo a tale impugnazione, che non poteva essere accolta la tesi del Fa.Fr. secondo cui, avendo lo Ia.Gi. proposto un’azione contrattuale, egli avrebbe dovuto dare prova dell’esistenza del contratto; per cui, non avendola data, la domanda di rilascio avrebbe dovuto essere respinta.

Fermo restando che era irrilevante la circostanza, addotta dal Fa.Fr., secondo cui il fondo in questione era stato oggetto di una donazione informale da parte della Ci.La., la Corte d’appello ha affermato che l’attore aveva dedotto l’esistenza di un rapporto associativo asseritamente sorto negli anni 70 del secolo scorso e che nessuna eccezione era stata posta dal convenuto in relazione a tale circostanza. Il Fa.Fr., infatti, avendo allegato di possedere uti dominus dal 1990, non aveva contestato di essere stato fino a quel momento nella detenzione del fondo quale colono; ragione per cui, non essendo stata contestata l’originaria allegazione dell’attore, era da considerare provata l’esistenza del rapporto associativo sulla base del quale Ia.Gi. aveva agito. E poiché nessuno aveva invocato che il contratto di colonia parziaria si fosse convertito in affitto, quel contratto era da considerare cessato per legge al sesto anno successivo all’entrata in vigore della legge 3 maggio 1982, n. 203, e cioè alla data dell’11 novembre 1995 (art. 34, primo comma, lettera a, della legge ora citata). Il Fa.Fr., dunque, dopo tale data non aveva più alcun diritto di permanere nel fondo, del quale lo Ia.Gi. avrebbe ben potuto ottenere il rilascio.

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2.2. Esaminando, poi, i motivi secondo, terzo e quarto dell’appello principale, la Corte messinese li ha ritenuti tutti infondati.

In relazione alla domanda di usucapione abbreviata avanzata dal Fa.Fr. ai sensi dell’art. 1159 cod. civ., la sentenza ha osservato che si trattava di una domanda priva di fondamento, in quanto basata sulla circostanza dell’informale donazione del fondo da parte dell’originaria proprietaria; trattandosi, infatti, di una donazione asseritamente avvenuta in forma orale, la stessa era da ritenere comunque nulla per mancanza dell’atto pubblico. Correttamente, pertanto, il Tribunale non aveva ammesso la relativa prova testimoniale e, mancando ogni titolo idoneo all’acquisto, la pretesa usucapione decennale era da considerare inesistente.

Analogamente, la Corte d’appello ha dichiarato infondata anche la domanda di usucapione ordinaria avanzata dal Fa.Fr., osservando che quest’ultimo, trovandosi nella situazione di mera detenzione legittima del fondo, avrebbe dovuto dare prova del mutamento della detenzione in possesso; prova che non era stata data. Le prove richieste dal Fa.Fr., infatti, erano tese a dimostrare che egli aveva disposto e coltivato il fondo; circostanza, questa, non incompatibile con la posizione di detentore.

Era invece mancata totalmente ogni prova della c.d. interversio possessionis, che non poteva essere dedotta né dall’attività di coltivazione del fondo né dalla realizzazione di un fabbricato su quel fondo né dall’escavazione di un pozzo, anche perché la realizzazione di tali manufatti era stata posta dal Fa.Fr. a fondamento della domanda subordinata di avvenuta esecuzione di migliorie.

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Tale ultima domanda – destinata comunque all’improcedibilità per mancato esperimento del previo tentativo di conciliazione – era stata rigettata e sul punto si era formato il giudicato; e tuttavia, secondo la Corte d’appello, il fatto stesso della presentazione della domanda di migliorie era inidonea a provare l’esistenza del possesso esclusivo del fondo, indispensabile per l’usucapione.

2.3. Quanto all’appello incidentale proposto dallo Ia.Gi., la Corte d’appello l’ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse all’impugnazione.

Poiché, infatti, la domanda di usucapione proposta dal Fa.Fr. era stata rigettata nel merito, l’appello incidentale, finalizzato a ribadire l’inammissibilità della domanda di usucapione per mancato esperimento del previo tentativo obbligatorio di conciliazione, non avrebbe potuto condurre lo Ia.Gi. ad ottenere una pronuncia più favorevole.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Messina propone ricorso Ru.An. con atto affidato a sette motivi.

Resiste Ia.Gi. con controricorso affiancato da memoria.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio osserva, preliminarmente, che nel controricorso si eccepisce che il ricorso sarebbe tardivo e che la sentenza sarebbe quindi passata in giudicato; ciò in quanto, essendo stata la decisione di appello spedita per la notifica a mezzo posta all’avv. Ci il 30 dicembre 2019, in assenza di persone presso lo studio legale, la copia della sentenza notificata era a disposizione, presso l’Ufficio postale di S, fin dal 1° gennaio 2020. Ne consegue, secondo l’assunto del controricorso, che, poiché l’atto notificato fu ritirato solo il 3 gennaio 2020, la successiva notifica del ricorso, avvenuta a mezzo PEC il 3 marzo 2020, sarebbe tardiva, essendo decorso il termine breve per la proposizione dell’impugnazione.

1.1. L’eccezione non è fondata.

Leggendo insieme l’art. 149 cod. proc. civ e l’art. 8 della legge 20 novembre 1982, n. 890, ne risulta che la notificazione a mezzo posta si perfeziona per il notificante al momento della consegna del plico all’ufficio postale e per il destinatario “dal momento in cui lo stesso ha legale conoscenza dell’atto” (art. 149, terzo comma, cit.). La legale conoscenza si determina con le modalità di cui all’art. 8 cit.; esso prevede che, in caso di impossibilità di consegna, il piego è depositato entro due giorni lavorativi presso il punto di deposito più vicino al destinatario (comma 1). Del tentativo di notifica deve essere dato avviso al destinatario (comma 4) mediante avviso in busta chiusa a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento; con l’avvertimento che, in caso di mancato ritiro, la notifica si avrà comunque per eseguita dopo dieci giorni dalla data di spedizione della raccomandata di cui si è detto; fermo restando, ovviamente, che, la notificazione “si ha per eseguita dalla data di ritiro del piego, se anteriore al decorso del termine di dieci giorni di cui al comma 4” (così il comma 5).

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Tale ricostruzione conduce alla conclusione per cui, nel caso di specie, la notifica della sentenza d’appello si deve considerare perfezionata per il destinatario, ai fini del decorso del termine di 60 giorni per la proposizione del ricorso per cassazione, non il 1° gennaio 2020, ma il 3 gennaio 2020; di talché la notifica del ricorso in data 3 marzo 2020 è tempestiva (v., tra le altre, la sentenza 30 dicembre 2015, n. 26088, e le ordinanze 5 novembre 2021, n. 32130, e 18 marzo 2022, n. 8895).

2. Il controricorso pone, poi, un’ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso, consistente nel fatto che non era stata impugnata in appello quella parte della sentenza del Tribunale che aveva rigettato la domanda riconvenzionale, proposta dal Fa.Fr., di condanna dello Ia.Gi. al pagamento delle migliorie apportate sul fondo. Da tale decisione, passata in giudicato, deriverebbe che non potendosi più mettere in discussione l’esistenza del rapporto associativo agrario (colonia parziaria), si sarebbe determinata l’impossibilità di provare a mezzo testi la circostanza del possesso uti dominus da parte del Fa.Fr..

2.1. Anche tale eccezione è priva di fondamento.

La Corte osserva che il Fa.Fr. aveva proposto domanda riconvenzionale per il pagamento delle migliorie da lui apportate sul fondo in questione. Tale domanda è stata sì rigettata – come evidenzia il controricorso – sicché sul punto si è formato il giudicato; ma il rigetto della domanda subordinata appena richiamata non può esplicare alcuna efficacia preclusiva in ordine alla domanda principale, nella quale si controverte della sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del possesso valido ai fini dell’usucapione.

3. Si può, quindi, procedere all’esame del ricorso.

4. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), n. 4) e n. 5) cod. proc. civ., violazione dell’art. 132 n. 4) cod. proc. civ., degli artt. 112, 342 e 435 cod. proc. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., nonché dell’art. 2164 cod. civ. e degli artt. 25, 28, 29, 36 e 42 della legge n. 203 del 1982.

Osserva la ricorrente, prima di tutto, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere dimostrata, per asserita non contestazione, l’esistenza del contratto di colonia parziaria. Si ricorda, a questo proposito, di aver dedotto già in comparsa di risposta che il defunto Fa.Fr. aveva svolto sì l’attività di colono su un fondo molto ampio di proprietà della Ci.La., ma che quest’ultima gliene aveva donato una piccola parte, con atto informale, che era quella oggetto della causa in corso. Vi sarebbe, perciò, un’erronea applicazione del principio di non contestazione, perché i fatti non contestati non hanno bisogno di prova, ma non sono provati.

Richiamati alcuni passaggi della motivazione della sentenza, la ricorrente osserva che la donazione informale aveva una sua rilevanza, perché ai fini dell’usucapione il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di un atto traslativo della proprietà che sia nullo; né poteva la Corte di merito ignorare la circostanza che, avendo il Fa.Fr. invocato la donazione informale, tale comportamento costituiva comunque valida contestazione dell’esistenza del contratto di colonia parziaria. La sentenza impugnata, in definitiva, avrebbe esonerato Ia.Gi. dall’onere di provare l’esistenza del contratto di colonia parziaria, ritenendo pacifica l’esistenza di quel contratto senza considerare le contestazioni compiute dal Fa.Fr. e l’assenza di ogni riscontro dell’effettiva esistenza dello stesso.

Usucapione ed il possesso del bene anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo

5. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., violazione degli artt. 1141, 1158 e 1159-bis cod. civ. in materia di possesso e usucapione.

La ricorrente afferma che dall’errore in punto di prova dell’esistenza del contratto evidenziato col primo motivo discenderebbero gli ulteriori vizi della sentenza in esame. Dopo aver sottolineato il presunto errore commesso dalla Corte d’appello là dove ha affermato che il Fa.Fr. avrebbe dovuto dare la prova dell’interversione nel possesso, la ricorrente rileva che, essendo pacifica l’attività di coltivazione del fondo compiuta dal Fa.Fr., la Corte di merito avrebbe dovuto presumere l’esistenza del possesso. Ragione per cui, una volta correttamente esclusa l’esistenza del contratto di colonia parziaria, la sentenza avrebbe dovuto riconoscere l’esistenza del possesso ininterrotto almeno dal 1990, con conseguente avvenuta usucapione (ultraventennale). Ciò in quanto l’art. 1141 cod. civ., come da pacifica giurisprudenza, prevede che, una volta dimostrata l’esistenza del potere di fatto, pubblico e indisturbato sulla cosa per il tempo necessario all’usucapione, tale situazione fa presumere il possesso, salvo prova contraria che l’altra parte è tenuta a fornire.

6. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 1140, 1141, 1158 e 1159-bis cod. civ. in materia di possesso e usucapione.

Richiamato il passaggio della sentenza impugnata nel quale la Corte d’appello ha postulato che il rapporto associativo si sarebbe dovuto concludere, al più tardi, il 10 novembre 1995, la ricorrente osserva che la sentenza in esame avrebbe dovuto tenere nella giusta considerazione il fatto che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato depositato il 23 febbraio 2016, cioè oltre vent’anni dopo. Il che viene a significare che, avendo la Corte d’appello riconosciuto il protrarsi del possesso indisturbato dopo la data del 10 novembre 1995, la permanenza del Fa.Fr. nel fondo costituiva prova sicura dell’intervenuta usucapione.

7. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., violazione degli artt. 112, 342 e 435 cod. proc. civ., degli artt. 1140 e 1141 e 1159-bis cod. civ., oltre a violazione degli artt. 2721 e ss. cod. civ. in punto di esame della domanda.

Usucapione ed il possesso del bene anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo

Sempre in relazione all’acquisto per usucapione, la ricorrente osserva che la Corte d’appello avrebbe “equivocato la domanda” proposta ai sensi dell’art. 1159-bis codice civile. La sentenza, infatti, dopo aver ritenuto irrilevanti le prove dedotte a dimostrazione dell’avvenuta traditio del bene immobile, ha rigettato la diversa domanda di usucapione decennale, sul presupposto della mancanza di un titolo idoneo all’acquisto della proprietà. Il Fa.Fr., però, aveva invocato anche l’usucapione speciale per la piccola proprietà rurale (art. 1159-bis cit.), non in base all’informale donazione, bensì in ragione del possesso esercitato sul bene dal 1990; e su tale domanda la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi.

8. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., violazione degli artt. 112, 342 e 435 cod. proc. civ., degli artt. 1140 e 1141, 1158 e 1159-bis cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., nonché dell’art. 782 e degli artt. 2721 e ss. cod. civ., ancora in relazione al problema del possesso.

La ricorrente rileva che, non avendo la Corte d’appello ritenuto pacifici i fatti addotti per accogliere la domanda di usucapione, avrebbe dovuto ammettere le prove orali richieste. La sentenza, invece, avrebbe escluso le prove volte a dimostrare l’avvenuta traditio del bene in base all’erroneo rilievo che fosse stata avanzata domanda di usucapione ai sensi dell’art. 1159 cod. civ. (anziché dell’art. 1159-bis cit.) e che si fosse richiesto di provare per testi la donazione, come fatto costitutivo della domanda. Poiché, invece, la traditio deve ritenersi possibile anche in riferimento ad un contratto nullo, essa avrebbe comunque determinato la trasformazione della posizione del Fa.Fr. da quella di detentore a quella di possessore. Si sarebbero, dunque, dovute ammettere le prove testimoniali richieste; e i limiti legali alla prova per testi inibivano allo Ia.Gi. di dimostrare con tale mezzo l’esistenza del contratto di colonia parziaria. La Corte d’appello, in definitiva, avrebbe dovuto o ammettere le prove o constatare che, mancando la prova dell’esistenza del contratto, rimaneva dimostrato il fatto pacifico del possesso e la conseguente usucapione.

9. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., violazione degli artt. 1140 e 1141, 1158 e 1159-bis cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., sempre in relazione al problema del possesso.

Dopo aver ribadito che le attività svolte dal Fa.Fr. sul fondo non si conciliavano con la posizione di mero detentore, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe omesso di tenere in considerazione alcuni elementi decisivi che erano stati oggetto di discussione tra le parti. In particolar modo, la sentenza avrebbe “ignorato”: la prova documentale dell’avvenuta interversione nel possesso; il fatto che lo Ia.Gi. aveva mantenuto lo status quo per più di quindici anni, rispettando la volontà della zia Ci.La.; il fatto che il rapporto di colonia parziaria aveva ad oggetto un fondo diverso da quello in questione. L’autonomia con la quale il Fa.Fr. aveva asseritamente gestito il fondo contestato per oltre 25 anni costituiva, dunque, prova del possesso pieno e pacifico. Di quelle circostanze non vi sarebbe traccia nella motivazione della sentenza, la quale avrebbe errato anche nell’affermare che la coltivazione del fondo e la realizzazione di un fabbricato con escavazione di un pozzo fossero irrilevanti ai fini della dimostrazione del possesso continuato ed esclusivo.

10. La Corte osserva, innanzitutto, che la prima parte del primo motivo di ricorso, avente ad oggetto la lesione del principio di non contestazione, e, quando non inammissibile, comunque priva di fondamento.

Usucapione ed il possesso del bene anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo

La sentenza impugnata, come si e detto, ha affermato che Ia.Gi. aveva dedotto l’esistenza del rapporto associativo fin dagli anni 70 del secolo scorso, mentre il Fa.Fr. aveva sostenuto di aver cominciato a possedere uti dominus almeno a partire dal 1990. Tale affermazione, secondo la ricorrente, non sarebbe idonea a dimostrare che non vi fosse contestazione sull’esistenza del rapporto agrario.

In realtà, l’odierna ricorrente afferma che, in primo grado, il marito aveva eccepito che il fondo in questione era pari ad un “fazzoletto”, facente parte di un terreno ben più grande nel quale egli aveva davvero svolto l’attività di colono. Quindi, può dirsi che lo stesso Fa.Fr. aveva ammesso di aver svolto attività di colono (fatto non contestato), e che l’unico punto in discussione era quello dell’estensione del terreno.

Si deve rilevare a questo proposito, però, che, nella sommaria descrizione di cui a p. 3 del ricorso, la particella 122, il c.d. “fazzoletto”, faceva parte del terreno più ampio del quale il Fa.Fr. era, appunto, colono. Successivamente – questa è stata la tesi difensiva del Fa.Fr. – la Ci.La. avrebbe deciso di frazionare il fondo più grande e di donarne una parte al Fa.Fr. Il che significa che non sussisteva una vera diversità dei fondi, perché, da quanto è dato comprendere dalla formulazione del ricorso, non chiarissima sul punto, quello asseritamente donato era inserito nel maggiore sul quale il Fa.Fr. svolgeva attività di colono. Non solo. A fronte dell’accoglimento della domanda principale di rilascio da parte del Tribunale, la questione della presunta diversità dei fondi non risulta essere stata ribadita nell’atto di appello (per come è riportato nel ricorso). Il che vuol dire che tale questione non era più oggetto di discussione e non può diventare argomento di ricorso per cassazione, costituendo un punto implicitamente rinunciato.

Stando così le cose, ne discende che l’unico titolo che il Fa.Fr. poteva vantare non era costituito dalla mancanza di prova del rapporto di colonia parziaria derivante dall’ipotetica e non dimostrata diversità dei fondi, bensì era quello dell’invalida donazione intesa come presupposto della successiva interversione nel possesso; in altre parole, una vera contestazione non ci fu e la Corte d’appello ha correttamente riconosciuto l’esistenza del rapporto di colonia parziaria, quantomeno fino al momento dell’indicata donazione da parte della Ci.La..

11. Ciò detto, si deve tuttavia esaminare la seconda parte dell’articolata censura di cui al primo motivo, che è da leggere, ad avviso della Corte, in connessione con i motivi successivi, fra i quali in particolare il quinto.

11.1. Il ragionamento svolto dalla Corte messinese può essere riassunto nei seguenti passaggi fondamentali: fra la Ci.La. e il Fa.Fr. esisteva un rapporto partecipativo; quel rapporto non si era convertito in affitto con l’entrata in vigore della legge n. 203 del 1982 (art. 34); la c.d. donazione informale da parte della Ci.La. era nulla per mancanza dell’atto pubblico (con conseguente inutilità della prova testimoniale dedotta); mancando la prova dell’interversione nel possesso (art. 1141 cod. civ.), il trascorrere del tempo non poteva comunque condurre all’usucapione, sicché non assumeva alcuna importanza il fatto che si trattasse di usucapione ordinaria (art. 1158 cod. civ.) o speciale (art. 1159-bis cod. civ.). In riferimento, poi, alla mancata ammissione della prova per testimoni sollecitata dalla difesa del Fa.Fr., la Corte di merito ha aggiunto che quelle prove erano irrilevanti, perché “miravano a dimostrare che egli avesse disposto e coltivato il fondo, circostanza che non è contestata trovandosi egli nella detenzione dello stesso quale colono”. Quella prova, cioè, avrebbe potuto giovare a provare il possesso “nella fattispecie di cui al primo comma dell’art. 1141 cod. civ.”, ma non a dimostrare l’interversione del possesso, valida ai fini dell’usucapione (art. 1141, secondo comma, cod. civ.).

11.2. Il Collegio ritiene opportuno ricordare che, a norma dell’art. 1141 cit., la trasformazione della detenzione in possesso può avvenire in due modi diversi: per mutamento del titolo dovuto a “causa proveniente da un terzo” oppure in forza di opposizione fatta dal detentore contro il possessore.

La giurisprudenza di questa Corte ha stabilito, con un principio che può dirsi pacifico, che l’art. 1141 del cod. civ. non consente al detentore di trasformarsi in possessore mediante una sua interna determinazione di volontà, ma richiede, per il mutamento del titolo, o l’intervento di una causa proveniente da un terzo – per tale dovendosi intendere qualsiasi atto di trasferimento del diritto idoneo a legittimare il possesso, indipendentemente dalla perfezione, validità, efficacia dell’atto medesimo, compresa l’ipotesi di acquisto da parte del titolare solo apparente – oppure l’opposizione del detentore contro il possessore; opposizione che può aver luogo sia giudizialmente che stragiudizialmente e che consiste nel rendere noto al possessore, e cioe a colui per conto del quale la cosa era detenuta, in termini inequivoci e contestando il di lui diritto, l’intenzione di tenere la cosa come propria (v., tra le altre, le sentenze 5 dicembre 1990, n. 11691, 29 luglio 1997, n. 7090, 8 marzo 2011, n. 5419, e 30 dicembre 2014, n. 27432).

Usucapione ed il possesso del bene anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo

È stato parimenti affermato più volte, dalla giurisprudenza di questa Corte, che ai fini dell’usucapione, il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo, in quanto, anche dopo l’invalido trasferimento della proprietà, l’accipiens può possedere il bene animo domini; ed anzi, proprio la circostanza che la traditio venga eseguita in virtù di un contratto che, pur se invalido, e comunque volto a trasferire la proprietà del bene, costituisce elemento idoneo a far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra l’accipiens e la res tradita sia sorretto dall’animus rem sibi habendi (v. le sentenze 29 luglio 2004, n. 14395, 4 giugno 2013, n. 14115, e l’ordinanza 17 giugno 2021, n. 17388).

Consegue dall’insieme di tali principi – ai quali la Corte intende dare oggi ulteriore continuità – che la sentenza qui impugnata contiene un errore di impostazione che si riflette nelle successive argomentazioni svolte a sostegno della decisione.

La tesi dell’odierna ricorrente, infatti, si fonda sulla circostanza che la Ci.La. avrebbe informalmente donato al Fa.Fr. l’appezzamento di terreno in questione, non formalizzando tuttavia la donazione; quell’atto, però, sebbene inidoneo al trasferimento della proprietà, avrebbe dovuto, tuttavia, essere ritenuto idoneo al trasferimento del possesso; o, meglio, a determinare quell’interversione, in capo al Fa.Fr., tale da rendere il successivo possesso atto all’usucapione (primo motivo di ricorso). Ne consegue che la circostanza dell’intervenuta donazione informale ben avrebbe potuto e dovuto essere oggetto di prova testimoniale (quinto motivo di ricorso), non certo per dimostrare con tale prova l’esistenza della donazione (art. 782 cod. civ.), ma per dimostrare che da quel momento il Fa.Fr. si era trasformato da detentore in possessore, con conseguente possibilità che il trascorrere del tempo determinasse in suo favore il maturarsi dell’usucapione. Ed è evidente che, in relazione al rapporto tra il Fa.Fr. e la res in questione, cioè il fondo, la Ci.La. assumeva, anche rispetto all’erede Ia.Gi., la posizione di terzo.

Il corretto inquadramento giuridico del problema -specialmente per quanto concerne la traditio fondata su di un atto invalido – svela l’errore della Corte di merito la quale, muovendo dalla corretta premessa dell’impossibilità di provare per testimoni l’esistenza della donazione, non ha considerato che quell’informale donazione, ove effettivamente dimostrata, avrebbe potuto determinare l’interversione nel possesso a favore del Fa.Fr., senza bisogno di alcun atto oppositivo da parte dello stesso nei confronti del detentore (Ia.Gi.).

Questa Corte non intende affatto affermare, naturalmente, che tutto ciò sia da ritenere come un dato di fatto già acquisito nel corso del processo; la donazione informale e la conseguente prova orale richiesta dal Fa.Fr. erano proprio finalizzati a dimostrare il mutamento della posizione del colono, il cui ruolo poteva ritenersi trasformato da quello di detentore in quello di possessore. In altri termini, l’accertamento compiuto dalla Corte d’appello circa l’esistenza del contratto di colonia parziaria non trasformatosi in affitto – che, in base a quanto si è detto in precedenza, è da ritenere ormai passato in giudicato – non esclude che da un certo momento in poi l’ex colono possa essere divenuto possessore. Ed è fuor di luogo il richiamo all’art. 1144 cod. civ., perché nella tesi del Fa.Fr. non si sarebbe trattato di atti di tolleranza.

L’accertamento dell’esistenza di simili condizioni, dunque, è rimesso al giudice di rinvio, il quale dovrà, alla luce dei principi qui enunciati, dare corso alla prova orale richiesta dal Fa.Fr. fin dal giudizio di primo grado e riproposta in appello (v. il ricorso alle pp. 5 e 11-13) per verificare se la ricostruzione dei fatti da lui compiuta risponda o meno alla verità.

12. In conclusione, sono accolti il primo motivo di ricorso (nei termini di cui in motivazione) ed il quinto, con assorbimento degli altri, ivi compreso il settimo, in punto di spese di lite, posto che il giudice di rinvio dovrà provvedere al loro nuovo regolamento in conseguenza di quello che sarà l’esito del giudizio.

La sentenza impugnata, pertanto, è cassata e il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione personale, la quale deciderà attenendosi alle indicazioni della presente decisione.

Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.

Usucapione ed il possesso del bene anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso (nei termini di cui in motivazione) ed il quinto, con assorbimento degli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 1° marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2024.

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