Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 27 febbraio 2017, n. 9357
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Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 27 febbraio 2017, n. 9357

Valido il decreto di citazione a giudizio rivolto nei confronti dell’imputato appellante inviato via pec al legale domiciliatario. Il divieto di uso della pec quale strumento di partecipazione agli atti è, infatti, prescritto esclusivamente per gli atti che devono essere notificati direttamente e personalmente all’imputato Suprema Corte di Cassazione sezione III penale sentenza 27 febbraio...

Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 21 febbraio 2017, n. 8397
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Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 21 febbraio 2017, n. 8397

Il giudice dell’impugnazione ha un dovere di motivazione rafforzata in caso di dissenso sulla decisione di primo grado (canone “al di là di ogni ragionevole dubbio”). Dovere di rinnovazione della istruzione dibattimentale e limiti alla refomatio in pejus si saldano sullo stesso asse cognitivo e decisionale. Suprema Corte di Cassazione sezione VI penale sentenza 21...

Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 9 settembre 2016, n. 37532
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Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 9 settembre 2016, n. 37532

Il difensore di fiducia ha pieno diritto, assistito da comminatoria di nullita’, ad essere avvisato della data fissata per la celebrazione del giudizio abbreviato d’appello, in quanto la facolta’ di prendere parte a tale giudizio presuppone che il patrono sia stato regolarmente avvisato e posto in grado di esercitare siffatta facolta’. Tale nullita’ non e’...

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Il pubblico ministero esercita l’azione penale con il decreto di citazione diretta a giudizio e cristallizza la pretesa punitiva con l’imputazione in essa descritta. L’avviso di conclusione delle indagini preliminari, invece, ha funzione del tutto diversa essendo atto procedurale finalizzato a compulsare, nell’ambito delle indagini preliminari e prima dell’esercizio stesso dell’azione penale, un contraddittorio endo-procedimentale finalizzato proprio a mettere l’imputato nella condizione, se lo ritiene, di proporre argomenti, temi difensivi ed elementi di prova a discarico. Si tratta, dunque, di un atto il cui scopo resta quello di consentire al pubblico ministero di assumere le più ampie determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, onde evitare – anche con la collaborazione del diretto interessato – inutili processi . È dunque fisiologico che il fatto descritto nel decreto di citazione a giudizio sia diverso da quello sommariamente enunciato nell’avviso di conclusione delle indagini; quel che conta è che non lo sia in modo radicale si che su di esso non v’è stato alcun reale ed effettivo contraddittorio. Occorre infatti considerare che la possibilità per il pubblico ministero di modificare l’imputazione successivamente all’esercizio dell’azione penale, sia nel corso dell’udienza preliminare che nel dibattimento (artt. 423, 516 e 517, cod. proc. pen.), anche per fatti che risultavano noti già dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale stessa, limita i casi nullità del decreto di citazione a giudizio (o della richiesta di rinvio a giudizio) ai soli casi in cui il fatto descritto nell’imputazione, rispetto a quello enunciato nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, non sia connesso o sia del tutto “nuovo” ai sensi dell’art. 518, cod. proc. pen., che denoti cioè un accadimento assolutamente difforme da quello contestato, naturalisticamente e giuridicamente autonomo. Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 27 aprile 2016, n. 17181.

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza  27 aprile 2016, n. 17181 Ritenuto in fatto 1. Il sig. B.S. ricorre per l’annullamento della sentenza del 27/10/2014 della Corte di appello di Brescia che, in parziale riforma di quella del 27/03/2014 resa dal Tribunale di quello stesso capoluogo all’esito di giudizio abbreviato, ha ridotto la pena...

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Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti, sono censurabili in sede di legittimità soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell’equivalenza. Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 aprile 2016, n. 15930.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II SENTENZA 18 aprile 2016, n. 15930 RITENUTO IN FATTO Con sentenza del 3/4/2014 la Corte d’Appello di Bari, in riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Trani del 12/7/2013, riconosceva agli imputati P., M. e S. (già condannati in primo grado per reati di rapina aggravata consumata e...