Solidarietà delle competenze anche per abbandono giudizio

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|20 settembre 2024| n. 25271.

Solidarietà delle competenze anche per abbandono del giudizio

La solidarietà ex art. 68 r.d.l. n. 1578 del 1933 richiede un giudizio bonariamente definito senza soddisfare le competenze del professionista, in modo che al giudice sia sottratto il potere di pronunciare sul processo; ciò si verifica anche quando le parti hanno previsto l’abbandono della causa dal ruolo o hanno rinunciato agli atti del processo, con conseguente estinzione di questo, purché i difensori non abbiano rinunciato alla solidarietà passiva delle parti ovvero, intervenendo nella transazione, non abbiano liberato il cliente dalla relativa obbligazione, accettando che, nei loro confronti, resti tenuta solo l’altra parte, a carico della quale la transazione abbia posto le spese giudiziali.

Sentenza|20 settembre 2024| n. 25271. Solidarietà delle competenze anche per abbandono del giudizio

Data udienza 6 giugno 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Avvocato e procuratore – Onorari – Transazioni solidarietà ex art. 68 r.d.l. n. 1578 del 1933 – Presupposti – Limiti.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

composta dagli Ill.mi Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere

Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere Rel.

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28502/2018 R.G. proposto da

No.Gi. E Om.Ca., rappresentati e difesi dall’avv. No.Gi., con domicilio in Roma alla Via Ci.N..

– RICORRENTI –

contro

AU. Srl, IC. Spa, PA.GR. Spa E Ie.En., rappresentati e difesi dall’avv. An.De., con domicilio in Roma alla via Ov.N. presso l’avv. Da.Re..

– CONTRORICORRENTI/RICORRENTI INCIDENTALI –

e

Pa.Al., rappresentata e difesa dall’avv. Pa.Bu., con domicilio in Conca de’ Marini, Via Ro.N..

– CONTRORICORRENTE –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno n. 258/2018, pubblicata il 23 febbraio 2018.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6.6.2024 dal Consigliere Giuseppe Fortunato.

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano Pepe, che ha concluso per il rigetto sia del ricorso principale che del ricorso incidentale.

Uditi gli avv.ti No.Gi. e No.Vi.

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FATTI DI CAUSA

1. Gli avv. Om.Ca. e No.Gi. hanno adito il Tribunale di Salerno, esponendo di essere stati incaricati dalla dott.ssa Pa.Al., amministratrice giudiziale dell’AU. Srl, di agire in giudizio per il risarcimento del danno nei confronti del liquidatore Enrico Ie.En. e per far dichiarare l’invalidità o l’inefficacia del trasferimento delle quote della PA.GR. Spa, effettuata dalla AU. Srl in favore della IC. Spa, oltre che per ottenere il sequestro giudiziario delle quote; che il procedimento ex art. 2409 c.c. e quello di sequestro erano stati archiviati, Ie.En. era stato reintegrato nella carica di liquidatore dell’AU. Srl in sostituzione dell’amministratrice giudiziale ed aveva revocato i mandati ai difensori; successivamente anche il giudizio di risarcimento era stato dichiarato estinto per rinuncia agli atti da parte dell’AU. Srl

Hanno chiesto la condanna delle società e del liquidatore al pagamento delle competenze professionali con vincolo di solidarietà ai sensi dell’art. 68 del R.D.L. 1578/1993.

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Si sono costituiti i convenuti, resistendo alla domanda; la IC. Spa e l’AU. Srl hanno eccepito l’incompetenza territoriale del Tribunale di Salerno e chiesto la chiamata in garanzia dell’amministratrice giudiziaria Pa.Al., che si è costituita, instando per il rigetto dell’azione di manleva.

Il Tribunale ha dichiarato la competenza del Tribunale di Vallo della Lucania e di Avellino sulle domande proposte – rispettivamente – nei confronti dell’AU. Srl e della IC. Spa; ha respinto la richiesta di pagamento nei confronti delle altre parti, reputando insussistente il vincolo di solidarietà ex art. 68 L.P, sul rilievo che la rinuncia agli atti del giudizio non è assimilabile ad una transazione volta ad evitare la liquidazione delle spettanze a favore dei difensori.

La sentenza, impugnata in via principale dagli avv.ti Om.Ca. e No.Gi. nonché, in via incidentale, da tutti gli originari convenuti è stata riformata in appello, con condanna dell’AU. Srl al pagamento in favore degli appellanti di Euro. 18.941,31, oltre accessori di legge.

La Corte distrettuale ha respinto l’eccezione di incompetenza territoriale già proposta in primo grado, reputando non applicabile l’art. 33 c.p.c. sul rilievo che la norma deroga ai criteri di competenza in caso di cumulo soggettivo di domande esclusivamente riguardo ai fori generali e non a quelli speciali di cui all’art. 20 c.p.c., e che le società non avevano contestato la competenza con riguardo a tutti i fori concorrenti e, in particolare, con riferimento al luogo di conclusione del contratto professionale, ritenendo pacifico che l’AU. Srl avesse conferito la procura ad litem presso lo studio degli avvocati in Salerno.

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Ha liquidato le competenze professionali, ritenendo la causa in cui era stato svolto il patrocinio di valore indeterminabile; ha respinto la richiesta di condanna in solido dei convenuti, sostenendo che la rinuncia agli atti di causa, pur formalmente accettata, non integrava l’accordo transattivo richiesto dalla legge professionale affinché operasse lo solidarietà, essendo frutto della decisione unilaterale della società di rinunciare a tutte le azioni giudiziarie poste in essere dal cessato amministratore giudiziario. Quanto alla domanda di manleva, ha evidenziato che le azioni giudiziarie di cui la Pa.Al. aveva officiato i legali erano state intraprese sulla base di una valutazione prognostica che aveva fatto emergere i vantaggi che la società avrebbe potuto ottenere e che l’incarico era stato conferito in esecuzione della decisione del Tribunale di Salerno cui l’amministratrice giudiziaria non poteva sottrarsi.

Per la cassazione della sentenza gli avv. No.Gi. e Om.Ca. hanno proposto ricorso in tre motivi, cui hanno replicato l’AU. Srl, la Ec. Spa, la PA.GR. Spa ed Ie.En. con controricorso e con ricorso incidentale affidato a quattro motivi. Pa.Al. ha depositato controricorso; gli avv. No.Gi. e Om.Ca. hanno replicato al ricorso incidentale con controricorso ai sensi dell’art. 371 c.p.c.

Il Procuratore Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte.

In prossimità della pubblica udienza gli avv. No.Gi. ed Om.Ca. nonché l’AU. Srl, la Ec. Spa, la PA.GR. Spa ed Ie.En. hanno depositato memorie illustrative.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va esaminato con priorità il ricorso incidentale, dal cui scrutinio discende la definizione della causa relativamente all’AU. Srl e alla IC. Spa

1.2. La sentenza di primo grado aveva dichiarato l’incompetenza per territorio relativamente alle domande proposte nei confronti delle suddette dell’AU. Srl e della IC. Spa, dichiarando competente rispettivamente il Tribunale di Vallo della Lucania e il Tribunale di Avellino in relazione alla sede delle due società.

Il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 20 e 38 c.p.c., sostenendo che la Corte d’Appello abbia erroneamente ritenuto che l’eccezione formulata dall’AU. Srl fosse incompleta, sebbene nella comparsa di costituzione fosse stato chiaramente dedotto che non sussistevano altri criteri di collegamento per stabilire una competenza per territorio diversa da quella del Tribunale di Vallo della Lucania e benché nelle memorie ex art. 183, comma sesto, n. 2 c.p.c. fosse stato evidenziato che ricadevano nel circondario del Tribunale di Vallo della Lucania la sede dell’AU. Srl ed il luogo in cui era sorta e doveva essere adempiuta l’obbligazione di pagamento.

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1.1 Deve dichiararsi l’ufficio l’inammissibilità dell’appello avverso la pronuncia di incompetenza per territorio assunta dal Tribunale e vanno, perciò, cassate senza rinvio le statuizioni assunte in appello nei confronti dell’AU. Srl e della IC. Spa, impregiudicato l’esame delle altre censure tra e nei confronti delle altre parti processuali.

Rispetto a dette parti – chiamate a rispondere solidalmente dei compensi professionali ed essendo quindi la causa scindibile – il Tribunale si è limitato ad una statuizione sulla sola competenza senza decidere il merito per cui avverso la decisione, relativamente a tale capo di pronuncia, era esperibile esclusivamente il regolamento necessario di competenza e non l’appello, che il giudice distrettuale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile.

A tale dichiarazione di inammissibilità deve provvedere d’ufficio questa Corte, in assenza di giudicato interno sul punto, essendosi definitivamente consolidata la competenza dei Tribunali di Avellino e di Vallo della Lucania, poiché non impugnata ai sensi dell’art. 42 c.p.c. (Cass. 20839/2021; Cass. 1372/2016).

Segue, inoltre, l’assorbimento del ricorso principale nella parte in cui è rivolto nei confronti di dette società, e di quello incidentale notificato dalle società destinatarie delle domande per le quali il giudice di primo grado ha dichiarato l’incompetenza per territorio, impregiudicati i restanti motivi di impugnazione proposti con il suddetto ricorso incidentale anche da Ie.En. e dalla PA.GR. Spa, oggetto della disamina che segue.

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2. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 6 del D.M. 127/2004, per aver la Corte d’Appello applicato gli onorari massimi di scaglione in virtù del semplice espletamento delle attività previste nella nota e per non aver considerato che la lite era unica, sebbene proposta nei confronti di più parti, non potendosi duplicare gli onorari per studio controversia, consultazioni cliente, ricerca documenti oltre che per assistenza all’udienza di trattazione.

Il motivo è inammissibile.

La censura non coglie il fatto che l’individuazione del valore della causa è stata effettuata dalla Corte di merito sulla scorta del valore effettivo della lite, ritenuto significativamente diverso da quello presunto a norma del Codice di procedura civile, in applicazione dell’articolo 6, comma 2, D.M. 127/2004, valore effettivo che motivatamente la sentenza ha ritenuto coincidente con l’importo degli onorari massimi per le cause di valore indeterminabile.

Il motivo difetta, quindi, di pertinenza rispetto al contenuto della decisione assunta in appello.

Non sussiste neppure la denunciata duplicazione dei compensi: la difesa era stata svolta sia nella causa di merito sia nel procedimento cautelare in corso di causa, spettando per ciascun procedimento le singole voci per le attività prestate nei due giudizi, come previsto dall’art. 11, comma 3, D.M. 127/2004, secondo cui per i procedimenti previsti dal libro IV, Titolo I, capo III, sez. 1, c.p.c., per quelli previsti dall’art. 669-quaterdecies c.p.c. e per quelli di cui all’art. 2409 c.c., sono dovuti gli onorari di cui ai paragrafi I, II, e IV della tabella A, in quanto applicabili (cfr. in tal senso, 3416/2023 in tema di sospensiva in corso di causa di delibera assembleare; Cass. 3606/1969).

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4. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. censurando la pronuncia di parziale compensazione delle spese di lite per carenza dei presupposti di legge.

La pronuncia è assorbita, occorrendo una nuova liquidazione delle spese esaurito il giudizio di rinvio, dato l’accoglimento parziale del ricorso principale – di cui si darà conto in seguito – su profili che interessano la posizione della PA.GR. Spa e di Ie.En.

5. Il quarto motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, sostenendo che la Corte di appello abbia mal interpretato il contenuto della domanda di manleva nei confronti di Pa.Al., che non era volta solo ad ottenere la condanna dell’amministratrice per aver officiato due difensori, duplicando gli oneri di difesa, ma anche la ripetizione delle somme versate ai ricorrenti, occorrendo considerare che il giudizio era stato proposto dinanzi ad un giudice incompetente, e verificare se fosse fondata l’istanza di sequestro e se le iniziative giudiziale avessero conseguito un risultato utile per la parte patrocinata.

Il motivo è infondato.

L’art. 360 comma primo, n. 5 c.p.c. contempla un autonomo vizio della sentenza che deriva dall’omessa considerazione di un fatto storico, inteso come accadimento oggettivo rilevante in causa. Costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “accadimento”, in senso storico e normativo, una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 7983/2014; Cass. 17761/2016; Cass. 29883/2017; Cass. 21152/2014; Cass. s.u. 5745/2015; Cass. 5133/2014, n. 5133), con esclusione delle argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. 14802/2017; Cass. 21152/2014); gli elementi istruttori; le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali rappresentano, piuttosto, i fatti costitutivi della “domanda” in sede di gravame, e la cui mancata considerazione, perciò, integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. 1539/2018; Cass. 21257/2014; Cass. 22799/2017; Cass. 6835/2017).

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Sotto altro profilo, esclusa un’ipotesi di responsabilità dell’amministratrice e ribadita la corretta proposizione della domanda risarcitoria e di restituzione delle quote dinanzi al giudice competente, resta che l’attività era, con giudizio ex ante, utile per gli interessi della società e peraltro frutto di una disposizione del Tribunale che l’amministratrice era tenuta ad eseguire.

Il relativo accertamento, correttamente motivato, è insindacabile in cassazione.

3. Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione dell’art. 68 del RDL 1578/1933, per avere la Corte d’Appello ritenuto che la semplice rinuncia agli atti del giudizio in cui i ricorrenti avevano svolto il patrocinio – rinuncia ritualmente accettata dalle controparti – non integrasse un accordo transattivo tale da far sorgere l’obbligo solidale del pagamento di compensi a carico di tutti i convenuti.

Il motivo è fondato.

L’art. 68 L.P., dispone che, quando un giudizio è definito con transazione, tutte le parti che hanno transatto sono solidalmente obbligate al pagamento degli onorari e al rimborso delle spese di cui gli avvocati, partecipanti al giudizio, negli ultimi tre anni fossero tuttora creditori per il giudizio stesso.

La norma mira a garantire l’aspettativa del difensore a soddisfarsi sulle spese di soccombenza e ad evitare che le parti processuali si sottraggano al pagamento, ricorrendo alla transazione (Corte cost. 132/1974; Cass. 3052/2021), finalità che verrebbe elusa se detta solidarietà potesse essere posta nel nulla su semplice accordo delle parti in causa, senza l’adesione dei difensori.

La possibilità per il difensore di invocare la speciale solidarietà prevista dalla legge professionale richiede, pertanto, la sussistenza di un giudizio che sia stato bonariamente definito senza soddisfare le competenze del professionista (Cass. 7652/2017; 18334/2004) e che – proprio per effetto dell’accordo transattivo – al giudice sia stato sottratto il potere di pronunciare sugli oneri del processo (Cass. 21209/2015), il che si verifica anche quando le parti abbiano previsto l’abbandono della causa dal ruolo o rinunciato agli atti del giudizio, con conseguente estinzione del processo, sempre che i difensori non abbiano rinunciato alla solidarietà passiva delle parti (nel qual caso obbligato nei confronti del difensore continua ad essere solo il cliente) ovvero, intervenendo nella transazione, non abbiano liberato il cliente dalla relativa obbligazione ed accettato che nei loro confronti, a tale titolo, resti tenuta solo l’altra parte, a carico della quale la transazione medesima abbia definitivamente posto le spese giudiziali nel loro complesso (Cass. 184/2018; Cass. Cass. 13135/2006).

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In sostanza, l’obbligo solidale di pagamento del compenso a carico di tutte le parti non scaturisce solo dal perfezionamento di una transazione in senso tecnico, ma anche da accordi, inclusa la rinuncia agli atti ritualmente accettata, che determini l’estinzione della causa senza che il giudice abbia pronunciato sulle spese.

4. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 6, commi secondo e quarto, D.M. 127/2004, per aver la Corte di merito ritenuto la causa in cui era stato prestato il patrocinio di valore indeterminabile e per aver applicato gli onorari massimi di scaglione, assumendo che il giudice poteva aver riguardo al valore effettivo della controversia solo se il valore della lite non fosse stato dichiarato in domanda.

Sostengono i ricorrenti che, per contro, il valore della causa coincideva con quello delle quote sociali di cui era stata chiesta la retrocessione, stimato in Euro 7.000.000,00 nel procedimento 11056/2004 avente ad oggetto l’impugnativa dell’approvazione del bilancio dell’AU. Srl relativo all’esercizio 2002, valori implicitamente richiamati nelle conclusioni dell’atto di citazione, de che anche il risarcimento chiesto ad Ie.En. era stato quantificato in Euro 7.000.000,00 o nella maggiore o minor somma ritenuta di giustizia.

Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 6 del D.M. 127/2004 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per non aver la Corte d’Appello quantificato il valore della causa sulla base della domanda di restituzione del valore delle quote societarie, stimato in Euro 7.000.000,00.

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I due motivi sono infondati.

È orientamento assolutamente prevalente di questa Corte che “sulla base di una lettura dell’art. 6, comma 2, D.M. 127/2004, adeguatamente coordinata con quella del comma 4 (per il quale, nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, per la determinazione del valore effettivo della controversia deve aversi riguardo al valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti), nei rapporti tra avvocato e cliente sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione con quello derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito, anche quando la somma.

Tale interpretazione – aderente al criterio finalistico, secondo cui il dato letterale va armonizzato con la ricerca dell’intenzione del legislatore (art. 12 preleggi) – appare rispondente al “principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata”, che le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 19014 del 2007), hanno ritenuto coerente con l’interpretazione sistematica del dato normativo (cfr., testualmente, Cass. 14691/2015; Cass. 1805/2012; Cass. 13229/2010).

Nel richiamo al “valore presunto a norma del codice di procedura civile”, la disposizione tariffaria ha semplicemente inteso riferirsi a tutte le regole dettate dal codice di rito, ivi compresa quella ex artt. 10 e 14, correlata all’indicazione del quantum nella domanda nelle cause relative a somme di danaro o beni mobili, per la determinazione del valore della controversia, attribuendo, tuttavia, al giudice una generale facoltà discrezionale, ove ravvisi la manifesta sproporzione tra il formale petitum e l’effettivo valore della controversia, di adeguare la misura dell’onorario all’importanza della prestazione, in relazione alla concreta valenza economica della controversia (Cass. 7807/2013; Cass. 23809/2012; Cass. 1805/2012).

Nel caso di specie, la Corte di merito ha appunto ravvisato una notevole sproporzione tra il valore della causa determinato a norma del codice di rito ed il valore effettivo, dando rilievo agli interessi perseguiti dalle parti e all’esito della lite.

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Il fatto che l’azione proposta dall’amministrazione giudiziaria era volta anche ad ottenere la retrocessione delle quote e il risarcimento del danno, per un valore stimato di Euro 7.000.000,00, poteva influire sul valore della causa ove determinata in base al contenuto della domanda, ma non precludeva la possibilità di dare prevalenza al valore effettivo della controversia alla stregua delle evidenziate peculiarità del caso concreto, benché in giudizio fosse stata richiesta una somma esattamente quantificata.

In conclusione, pronunciando sul ricorso incidentale, deve dichiararsi l’inammissibilità dell’appello proposto dagli avv.ti Om.Ca. e No.Gi. avverso la pronuncia di primo grado nella parte in cui ha dichiarato l’incompetenza territoriale relativamente alle domande indirizzate nei confronti dell’AU. Srl e dell’IC. Spa, poiché il gravame non poteva esser proposto, con conseguente cassazione senza rinvio, in parte qua, della pronuncia impugnata e delle statuizioni assunte in appello nei confronti delle suddette società, con condanna degli appellanti al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado, liquidate in dispositivo; sono dichiarati assorbiti il ricorso incidentale dell’AU. Srl e della IC. Spa e il ricorso principale nei confronti di dette società, con compensazione tra dette parti, delle spese di legittimità; è accolto il primo motivo del ricorso principale, sono respinti gli altri unitamente a tutti i motivi del ricorso di Ie.En. e della PA.GR. Spa, ad eccezione del terzo motivo, che è assorbito.

La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità nei rapporti tra i ricorrenti, Ie.En. e la PA.GR. Spa, oltre che nei confronti di Pa.Al.

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P.Q.M.

pronunciando sul ricorso incidentale dell’AU. Srl e della IC. Spa, dichiara inammissibile l’appello proposto dagli avv.ti Om.Ca. e No.Gi. avverso la pronuncia di primo grado nella parte in cui il Tribunale ha dichiarato l’incompetenza territoriale sulle domande indirizzate nei confronti di dette società, poiché il gravame non poteva esser proposto;

cassa senza rinvio, in parte qua, la pronuncia impugnata e condanna gli avv.to Om.Ca. e No.Gi. in solido al pagamento delle spese del giudizio di appello in favore dell’AU. Srl e della IC. Spa, liquidate, per ciascuna parte, in Euro 1888,50 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%;

dichiara assorbiti i ricorsi dell’AU. Srl e della IC. Spa nonché il ricorso principale nella parte in cui è rivolto nei confronti delle suddette società e compensa, relativamente a tali parti, le spese di legittimità;

accoglie il primo motivo del ricorso principale, respinge le altre censure nonché i motivi del ricorso incidentale proposto da Ie.En. e dalla Pa.Gr. Srl, ad eccezione del terzo che è dichiarato assorbito, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione, anche per la regolazione delle restanti spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, in data 6 giugno 2024.

Depositata in Cancelleria il 20 settembre 2024.

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