Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 12 ottobre 2018, n. 25612.
La massima estrapolata:
In tema di società di capitali, la domanda diretta all’accertamento della nullità delle delibere di approvazione dei bilanci ha quale contradditore necessario la società quale soggetto legittimato passivo, in quanto è proprio dalla compagine societaria che promana la manifestazione di volontà che forma oggetto dell’impugnazione
Ordinanza 12 ottobre 2018, n. 25612
Data udienza 16 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10776/2013 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’ (OMISSIS) S.r.l., rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS), (OMISSIS) S.r.l.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 581/2012 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 20/11/2012;
udita la relazione cella causa svolta nella camera di consiglio del 16/07/2018 dal cons. FALABELLA MASSIMO;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CARDINO ALBERTO che ha chiesto che Codesta Corte di Cassazione voglia rigettare il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. – Il Tribunale di Cagliari dichiarava improponibile la domanda di declaratoria di nullita’ di alcuni bilanci della fallita (OMISSIS) s.r.l.: domanda proposta da (OMISSIS), gia’ componente del collegio sindacale della stessa, al dichiarato fine di privare i bilanci in questione della loro naturale attitudine probatoria (posto che essi erano stati fatti valere dalla curatela del fallimento della societa’ nell’azione di responsabilita’ spiegata nei confronti dell’attore).
2. – La pronuncia era impugnata e la Corte di appello di Cagliari, con ordinanza del 6 luglio 2011, comunicata il 25 luglio dello stesso anno, rilevava che l’atto di citazione non era stato notificato alla fallita (OMISSIS) (rimasta contumace in primo grado), onde disponeva la rinnovazione dell’incombente. Essendo mancata la detta rinnovazione, la Corte dichiarava l’inammissibilita’ dell’impugnazione di (OMISSIS) e di quella di (OMISSIS), altro membro del collegio sindacale, il quale era intervenuto nel giudizio di primo grado e si era associato alla domanda dell’odierno ricorrente.
In sintesi, la Corte osservava: che il termine assegnato ex articolo 331 c.p.c., comma 1 per l’integrazione del contraddittorio in fase di gravame poteva essere inferiore a quello prescritto dall’articolo 163 bis; che il procedimento era stato instaurato prima del 1 marzo 2006, onde il termine per l’evocazione in giudizio era stabilito in 60 giorni; che tra il giorno della comunicazione dell’ordinanza e la data dell’udienza intercorrevano, comunque, 91 giorni; che l’appellante aveva richiesto la rimessione in termini senza allegare le ragioni per le quali non aveva provveduto alla rinnovazione della notificazione nel termine assegnatogli; che la partecipazione al giudizio della societa’ fallita era necessaria, posto che la curatela fallimentare operava nell’interesse dei soli creditori della societa’ stessa.
3. – Contro questa sentenza (OMISSIS) ricorre per cassazione facendo valere cinque motivi; non sono stati notificati controricorsi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – I motivi posti a fondamento del ricorso sono i seguenti.
Primo motivo: violazione e falsa applicazione degli articoli 331, 163 bis e 153 c.p.c.. Secondo l’istante il termine che egli avrebbe dovuto rispettare era quello di cui all’articolo 163 bis c.p.c.e non altri: era errato quindi ritenere che il giudice potesse assegnare, a sua discrezione, un termine inferiore.
Secondo motivo: violazione e falsa applicazione degli articoli 331, 163 bis e 153 c.p.c., nonche’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Sostiene il ricorrente che al giudizio di appello sia applicabile l’articolo 163 bis c.p.c. nel testo novellato dalla L. n. 263 del 2005, articolo 2, comma 1, lettera g), onde il termine di comparizione applicabile sarebbe quello di 90 giorni, non gia’ quello di 60.
Terzo motivo: violazione o falsa applicazione degli articoli 331, 163 bis e 155 c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Ad avviso dell’istante aveva errato la Corte di merito a ritenere che tra il giorno della comunicazione dell’ordinanza con cui era stata disposta l’integrazione del contraddittorio e il giorno dell’udienza intercorresse un arco di tempo di 91 giorni, giacche’, in contrario, il periodo in questione abbracciava 89 giorni.
Quarto motivo: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Rileva il ricorrente di aver esplicitato le ragioni a supporto della richiesta rimessione in termini e assume, in particolare, di aver evidenziato che la Corte di appello aveva a lui assegnato un termine inferiore a quello, concretamente applicabile, di 90 giorni.
Quinto motivo: violazione e falsa applicazione dell’articolo 331 c.p.c. in rapporto all’articolo 28 L. Fall.. La censura investe l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui era necessaria la partecipazione al giudizio del societa’ (OMISSIS) s.r.l.; sono richiamate le difese svolte nel giudizio di merito, in cui era stato spiegato che il curatore rappresenta e surroga il debitore fallito in tutte le controversie attive e passive del fallimento e che la causa introdotta era conseguenza dell’azione di responsabilita’ promossa dal curatore nei confronti dell’odierno ricorrente.
2. – Gli indicati motivi non sono fondati.
Deve condividersi l’affermazione del giudice di appello, secondo cui la domanda diretta all’accertamento della nullita’ delle delibere ai approvazione dei bilanci aveva come contraddittore la societa’. E’ da osservare, in termini generali, che la societa’ e’ legittimata passiva nel giudizio di impugnazione delle sue delibere, giacche’ da essa promana la manifestazione di volonta’ che e’ oggetto di impugnazione (Cass. 5 ottobre 2012, n. 17060); la controversia avente tale oggetto non rientra, poi, tra quelle in cui, a seguito di fallimento, sta in giudizio il curatore in luogo del fallito: essa non rientra, infatti, tra le liti relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito, giusta l’articolo 43 L. Fall., comma 1.
Peraltro, anche a voler prescindere da tale rilievo, deve osservarsi come nella presente sede si faccia questione dell’applicazione dell’articolo 331 c.p.c.. In base a tale norma l’integrazione del contraddittorio va disposta anche in caso di litisconsorzio processuale (il quale determina una inscindibilita’ delle cause pure in ipotesi in cui non sussista il litisconsorzio necessario di natura sostanziale) e questo ricorre allorche’ la presenza di piu’ parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio (Cass. 17 ottobre 2007, n. 21832; Cass. 19 novembre 2008, n. 27437). Ora, e’ innegabile che ritenendosi scindibili le cause si correrebbe il rischio di dar vita a statuizioni confliggenti con riferimento alle medesime delibere.
Per il resto, e’ sufficiente osservare che la locuzione “procedimenti instaurati” che compare nella L. n. 263 del 2005, articolo 2, comma 4, come modificato dal Decreto Legge n. 273 del 2005, articolo 39 quater, convertito in L. n. 51 del 2006, deve riferirsi ai giudizi nella loro interezza: sicche’ quel che rileva, anche in caso di proposto appello, e’ il momento in cui e’ stato introdotto il procedimento in primo grado, giacche’ quella di gravame e’ solo una fase di quello stesso procedimento. In tal senso, le Sezioni Unite di questa Corte, occupandosi del giudizio di rinvio, hanno infatti precisato che “se il processo e’ iniziato prima dell’entrata in vigore della L. 28 dicembre 2005, n. 263, articolo 2, comma 1, lettera g), che ha modificato l’articolo 163 bis c.p.c.., la citazione introduttiva del giudizio di rinvio deve fissare al convenuto un termine a comparire di 60 giorni, a nulla rilevando che al momento della notifica di tale atto il termine in questione sia stato elevato a 90 giorni” (Cass. Sez. U. 17 settembre 2010, n. 19701; in tema pure Cass. 30 gennaio 2017, n. 2301). Ordinato pertanto il rinnovo della notifica “nei termini di legge” (cfr. ricorso, pag. 3), l’incombente doveva attuarsi rispettando lo spazio temporale dei 60 giorni liberi, giacche’ tale era, per effetto del rinvio alla prescrizione normativa vigente, il termine minimo di comparizione indicato nel provvedimento. Tale rilievo risulta assorbente rispetto ad ogni altro. E’ infatti del tutto pacifico che l’intervallo minimo di 60 giorni liberi tra la comunicazione dell’ordinanza di integrazione del contraddittorio e l’udienza sia stato osservato. A fronte di tale evenienza, la Corte di merito non era per certo tenuta alla pronuncia del richiesto provvedimento di rimessione in termini, non essendovi evidenza del fatto che l’istante fosse incorso nella decadenza per una causa a lui non imputabile: egli era infatti onerato – si ripete – di procedere alla notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio (per l’udienza indicata dalla Corte di appello) rispettando il temine minimo di comparizione di cui si e’ detto: cio’ che non e’ avvenuto. Da ultimo, va rilevato che non esiste alcuna ragione che imponga la rimessione della causa alle Sezioni Unite, secondo quanto richiesto dal ricorrente: e infatti la questione in esame non rientra tra quelle previste dall’articolo 374 c.p.c..
3. – Nulla deve statuirsi in punto di rifusione di spese, stante la mancata resistenza degli intimati.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.