Servitù discontinue l’esercizio saltuario non è di ostacolo a configurarne il possesso

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|10 aprile 2024| n. 9626.

Servitù discontinue l’esercizio saltuario non è di ostacolo a configurarne il possesso

In tema di servitù discontinue, l’esercizio saltuario non è di ostacolo a configurarne il possesso, dovendo lo stesso essere determinato in riferimento alle peculiari caratteristiche ed alle esigenze del fondo dominante; pertanto, ove non risultino chiari segni esteriori diretti a manifestare l’animus derelinquendi, la relazione di fatto instaurata dal possessore con il fondo servente non viene meno per l’utilizzazione non continuativa quando possa ritenersi che il bene sia rimasto nella virtuale disponibilità del possessore.

 

Ordinanza|10 aprile 2024| n. 9626. Servitù discontinue l’esercizio saltuario non è di ostacolo a configurarne il possesso

Data udienza 4 aprile 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Servitu’ – Prediali – Costituzione del diritto – Delle servitu’ volontarie – Costituzione non negoziale – Per usucapione servitù discontinue – Possesso – Esercizio saltuario – Configurabilità – Sussistenza – Condizioni.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Rel. Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 32213/2020 R.G. proposto da:

Be.Si., elettivamente domiciliata in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato AN.MA. che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GI.MA., MA.CA.;

– ricorrente –

contro

Is.Co., elettivamente domiciliato in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato ST.CO. che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CL.DE.;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 548/2020 depositata il 25/05/2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2024 dal Consigliere LUCA VARRONE;

Servitù discontinue l’esercizio saltuario non è di ostacolo a configurarne il possesso

FATTI DI CAUSA

1. Be.Si. citava in giudizio, dinanzi il Tribunale di Cuneo, Is.Co. chiedendo di accertare l’inesistenza di una servitù di passaggio sul proprio fondo, ubicato in R, strada V n. 90, identificato al catasto al foglio (Omissis) particella (Omissis), di ordinare l’immediata cessazione del transito carraio al convenuto e ai suoi aventi causa attraverso il cancello in ferro di recente posa, chiedeva, inoltre, di accertare che Is.Co. aveva aperto e modificato alcune finestre a distanza inferiore di 75 centimetri dal confine, aveva eseguito un marciapiede e un muretto in cemento armato di circa 30 centimetri di altezza e aveva sistemato tubazioni a distanza inferiore a un metro dal confine e una bocchetta di areazione/eliminazione fumi, aveva sistemato una recinzione da cantiere con griglie di ferro plastificate color arancione in modo da chiudere la porzione di terreno di proprietà esclusiva della parte attrice sul lato nord della sua proprietà. Di tutti i manufatti chiedeva la rimozione.

2. Is.Co. resisteva in giudizio chiedendo il rigetto delle domande formulate dalla Be.Si. e, in via riconvenzionale, chiedeva l’accertamento della declaratoria per intervenuta usucapione in forza del possesso pacifico della servitù di passaggio sulla proprietà di parte attrice. In via subordinata, sempre in via riconvenzionale, chiedeva di accertare che i fondi di sua proprietà erano assolutamente interclusi non avendo accesso carraio alla via pubblica in modo diverso da quello esercitato e, dunque, di costituire a favore degli stessi la servitù coattiva di passaggio pedonale.

3. Il Tribunale accoglieva le domande di parte attrice e rigettava quelle azionate in sede riconvenzionale dal convenuto.

4. Is.Co. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

5. Be.Si. resisteva al gravame.

6. La Corte d’Appello di Torino, in parziale accoglimento dell’appello, rigettava la domanda azionata da Be.Si. di negatoria servitutis e accoglieva quella riconvenzionale dell’appellante, accertando il diritto di servitù di passaggio pedonale e carraio in favore dei fondi iscritti al catasto del comune di R fg. (Omissis), particelle (Omissis), sub. (Omissis) e (Omissis) nonché fg. (Omissis) particelle (Omissis) e (Omissis) e a carico del fondo della Be.Si.

6.1 Secondo la Corte d’Appello le risultanze istruttorie provavano l’utilizzo del passaggio da parte dell’appellante e, con riguardo al requisito della continuazione, trattandosi di un transito sia pedonale che veicolare, esso poteva anche essere discontinuo o saltuario. Nella specie, dunque, si trattava di un utilizzo non diuturno ma certamente protratto nel corso del tempo in funzione della reiterazione agganciata allo svolgimento di attività stagionali legate all’agricoltura e, di conseguenza, la circostanza che i testi di parte avversa non avessero confermato l’esercizio del transito non valeva a smentirlo. A conferma dell’attendibilità delle dichiarazioni dei testi indotti dall’appellante vi erano anche elementi di ordine oggettivo costituiti dalla forma della chiusura tra le proprietà confinanti con la via pubblica: dalla fotografia prodotta dalla difesa di parte appellata e dalle planimetrie fotografie prodotte dalla parte appellante, dalle quali risultava chiaramente evidenziata la svasatura tra il passaggio e la via pubblica in coincidenza con i punti dell’incrocio del primo alla seconda. La strombatura assumeva l’univoco significato di giustificarsi al fine di agevolare il passaggio dalla strada pubblica i fondi interni e cioè dei fondi di proprietà di parte appellante altrimenti non avevano alcuna spiegazione i tagli degli angoli delle linee di incrocio tra i lati del passaggio e la strada.

6.2 La Corte d’Appello rigettava, invece, la domanda di usucapione di una parte di porzione di terreno per mancanza di prova così come la provenienza del bene da un frazionamento mancando peraltro il dedotto contratto di permuta.

7. Be.Si. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.

8. Is.Co. ha resistito con controricorso.

9. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione di diritto e nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c. con riferimento all’articolo 1061 codice civile, violazione o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c.

A parere della ricorrente la controparte non avrebbe allegato in alcun atto del giudizio di merito le circostanze in fatto dirette a provare l’esistenza del requisito dell’apparenza richiesto per far valere l’usucapione della servitù.

La sussistenza del requisito dell’apparenza sarebbe stata rilevata di ufficio dalla Corte d’Appello (pagina 11 della sentenza impugnata). La Corte d’Appello avrebbe ritenuto sussistente il requisito dell’apparenza sulla base di un elemento di fatto, ovvero la strombatura, mai allegato dalla controparte.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’articolo 2697 c.c. circa l’intensità e quindi la sufficienza della prova dei fatti posti a fondamento dell’usucapione anche con riferimento all’articolo 42 della costituzione e all’articolo 1 del protocollo addizionale numero 1 alla CEDU.

La censura attiene all’insufficienza della prova dell’usucapione fornita dalla controparte e pone la questione della violazione dell’articolo 2697 c.c. perché la Corte d’Appello avrebbe ritenuto non necessaria la prova piena e rigorosa dei fatti posti a fondamento della domanda di usucapione.

2.1 Il primo e il secondo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Preliminarmente deve evidenziarsi che costituisce indirizzo del tutto consolidato quello secondo il quale: Non incorre nel vizio di extrapetizione il giudice d’appello il quale dia alla domanda od all’eccezione una qualificazione giuridica diversa da quella adottata dal giudice di primo grado, e mai prospettata dalla parti, essendo compito del giudice (anche d’appello) individuare correttamente la legge applicabile, con l’unico limite rappresentato dall’impossibilità di immutare l’effetto giuridico che la parte ha inteso conseguire.

Si è più volte affermato che: In tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del “tantum devolutum quantum appellatum”, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante, né incorre nella violazione di tale principio il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del “petitum” e della “causa petendi”, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (Sez. 6 – L, Ord. n. 513 del 2019; Sez. 3, Sent. n. 20652 del 2009).

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In applicazione dei suddetti principi la sentenza impugnata risulta immune dalle violazioni prospettate dal ricorrente, infatti, la valutazione circa la sussistenza del requisito dell’apparenza è stata svolta dalla Corte d’Appello sulla base degli elementi risultanti dagli atti sicché, nessun vizio di ultrapetizione è riscontrabile nel caso in esame.

La parte ricorrente lamenta anche l’inosservanza dell’art. 2697 c.c. ma la violazione di tale norma si configura solo nel caso in cui il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni. Inoltre, la ricorrente muove la censura sulla base di un erroneo presupposto circa il fatto che la Corte d’Appello ha ritenuto sufficiente ai fini dell’usucapione una prova parziale della stessa. In realtà la Corte d’Appello ha esaminato le dichiarazioni dei testi che avevano fornito versioni contrapposte e ha ritenuto che la valutazione operata dal primo giudice non fosse corretta, dovendosi attribuire maggiore attendibilità ai testi di parte convenuta, attrice in riconvenzionale. Infatti, i testi indicati da Is.Co. avevano tutti confermato l’utilizzo del passaggio sia per il transito pedonale che veicolare sin dagli “anni 80”. Inoltre, la Corte d’Appello, a conferma di tali dichiarazioni, ha evidenziato la sussistenza di elementi di carattere oggettivo fondando la decisione anche su quanto emergeva dallo stato dei luoghi, dalle planimetrie e dalle fotografie. In conclusione, nessuna inversione dell’onere probatorio è riscontrabile in una siffatta motivazione ed entrambe le censure proposte con i motivi in esame risultano del tutto infondate.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza per mancanza di motivazione, apparente e falsa applicazione dell’articolo 2697, comma 1, c.c. e dell’articolo 1061 c.c.

La censura verte ancora una volta sulla prova dell’usucapione fondata perlopiù su prova orale e senza confronto con le evidenze documentarie e con la consulenza. A fine di autosufficienza del ricorso parte ricorrente riporta stralci delle deposizioni testimoniali richiama alcune fotografie che rappresentano i luoghi di causa e ritiene che da tali emergenze non contestate dalla controparte emerga la maggiore credibilità delle affermazioni dei propri testi. Infatti, sostiene che anche se la servitù di passaggio è discontinua, comunque deve essere data prova rigorosa di un passaggio ripetuto, continuato, non contestato ed ultraventennale.

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3.1 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile sotto tutti i profili sollevati.

La censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile. Questa Corte a Sezioni Unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); – nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello come si è detto in riferimento al motivo precedente ha sufficientemente motivato.

In altri termini, la corte territoriale è giunta alle sue conclusioni con corretto apprezzamento di merito esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento. In questa sede non può che ribadirsi che la valutazione delle prove è rimessa all’esame del giudice del merito, le cui valutazioni, alle quali il ricorrente contrappone le proprie, non sono sindacabili in sede di legittimità, ciò comportando un nuovo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.

In definitiva, le complessive censure proposte dal ricorrente, anche là dove denunciano il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, si risolvono nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel giudizio di merito. Come si è più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.

D’altra parte, la sentenza è conforme alla giurisprudenza di legittimità in tema di servitù discontinue secondo cui: l’esercizio saltuario non è di ostacolo a configurarne il possesso, dovendo lo stesso essere determinato in riferimento alle peculiari caratteristiche ed alle esigenze del fondo dominante; pertanto, ove non risultino chiari segni esteriori diretti a manifestare l’animus dereliquendi, la relazione di fatto instaurata dal possessore con il fondo servente non viene meno per l’utilizzazione non continuativa quando possa ritenersi che il bene sia rimasto nella virtuale disponibilità del possessore (Sez. 2, Sentenza n. 3076 del 16/02/2005, Rv. 586433 – 01).

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Anche in riferimento al requisito dell’apparenza deve ribadirsi che: Il requisito dell’apparenza della servitù discontinua, richiesto al fine della sua costituzione per usucapione, si configura quale presenza di segni visibili di opere di natura permanente obiettivamente destinate al suo esercizio, tali da rivelare, in maniera non equivoca, l’esistenza del peso gravante sul fondo servente per l’utilità del fondo dominante e non un’attività posta in essere in via precaria, o per tolleranza del proprietario del fondo servente, comunque senza animus utendi iure servitutis; tale onere deve avere carattere stabile e corrispondere, in via di fatto, al contenuto di una determinata servitù che, peraltro, non implica necessariamente un’utilizzazione continuativa delle opere stesse (Sez. 2, Ordinanza n. 32816 del 27/11/2023, Rv. 669433 – 01).

4. Il ricorso è rigettato.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in Euro 6200, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;

ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile in data 4 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2024.

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